mercoledì 2 dicembre 2009

A Christmas Carol

Anno: 2009
Regia: Robert Zemeckis
Distribuzione: Buena Vista

Strana cosa il 3D. Davvero. Pare proprio che più vengono realizzati film che sfruttano questa tecnologia, più ci si divide tra chi ne vorrebbe ancora e chi invece già non ne può più. Poi arriva un film come A Christmas Carol, targato Disney e diretto da Robert Zemeckis, che invece che mettere tutti d’accordo aumenta i dubbi e ci si ritrova persino più divisi. Strana cosa il 3D…

Ispirato al celebre racconto di Charles Dickens, A Christmas Carol narra della redenzione di Ebenezer Scrooge, vecchio avaro che il dio denaro ha reso arido. Scrooge vive infatti da anni nella solitudine e nel disprezzo per il prossimo. Ma una notte, la vigilia del Natale, giunge a fargli visita il fantasma del suo caro amico e collega Marley, il quale gli preannuncia la visita di altri tre fantasmi: quello del Natale Passato, quello del Natale Presente e quello del Natale Futuro. Saranno loro a mostrare al vecchio Scrooge a cosa può portare una vita di cattivi propositi…

I discorsi da fare sono molti. Innanzitutto va chiarito che ci troviamo di fronte a una grande pellicola. Importante dal punto di vista cinematografico non solo perché segna un decisivo passo in avanti per le tecnologie utilizzate, il RealD 3D, l’IMax e il Performance Capture, mai come in questo caso sfruttate in tutta la loro suggestiva efficacia, ma anche perché rappresenta la migliore pellicola realizzata sul Canto di Natale, racconto che è stato proposto sul grande schermo e in tv complessivamente un centinaio di volte (basti pensare che la prima trasposizione risale al 1910!).

La regia di Zemeckis è al top. Ispiratissimo, il regista di Ritorno al futuro trasporta lo spettatore in un tripudio di effetti speciali, soggettive e corse a perdifiato alla ricerca del tempo perduto. Certo, non mancano i momenti dedicati allo sfruttamento del 3D (la fuga dal Natale Futuro o la lunga soggettiva iniziale), ma Zemeckis non rinuncia all’autorialità, proponendo soluzioni visive efficaci a prescindere dal 3D. E’ riprova di questo la differente resa dei vari momenti narrativi che evocano un crescendo di diverse emozioni nello spettatore: dalla nostalgia (il passato), alla paura (il futuro). Inoltre, vale la pena sottolineare come Zemeckis punti molto sull’aspetto “gotico” del racconto e giochi con le ombre (curiosamente, considerato che abbiamo a che fare con un film in 3D) e con le soggettive, come se A Christmas Carol stesso fosse visto attraverso gli occhi di Scrooge. O meglio, come se il pubblico fosse Scrooge. Un’intuizione che ha del geniale.

Sulla recitazione va fatto un chiarimento: la resa del Performance Capture varia a seconda dell’attore su cui esso è plasmato. Jim Carrey dal "canto" suo è talmente vulcanico che fa proprio il mezzo riuscendo a caratterizzare ben quattro personaggi. Rispetto a Polar Express o Beowulf poi, A Christmas Carol risulta più avvolgente e meno freddo. In qualche modo, più autentico. Bravi anche Colin Firth, Gary Oldman, Bob Hoskins e Robin Wright Penn.

Insomma, strana cosa questo 3D. Perché se è vero che ha il dono di stupire lo spettatore ogni volta di più, si ha anche la sensazione che senza di lui A Christmas Carol sarebbe stata comunque una pellicola eccezionale. E quindi ancora una volta si finisce per domandarsi: ma ce n’era davvero bisogno?

...Sapete cosa? Andiamo al cinema a chiederlo al fantasma del Natale Futuro!

Diego Altobelli (11/2009)
estratto da http://www.moviesushi.it/html/recensione-A_Christmas_Carol_Un_Canto_intonato_per_il_Natale_di_tutti-3856.html

lunedì 30 novembre 2009

Triage

Anno: 2009
Regia: Danis Tanovic
Distribuzione: 01 Distribution

Il premio Oscar per “No Man’s Land” (2001) Danis Tanovic presenta “Triage” (la tradizionale pratica di pronto soccorso, per smistare i pazienti sulla base dell'urgenza di cure), prima pellicola in concorso alla quarta edizione del Festival del film di Roma. Accolto freddamente dalla critica, “Triage” indaga i traumi post-bellici.

David e Mark sono due foto reporter d’assalto. Da anni, infatti, vengono inviati dai rispettivi agenti nei territori di guerra per scattare foto scioccanti da vendere poi a giornali e riviste. Un giorno però, durante un viaggio in Kurdistan e a seguito di un conflitto a fuoco, le strade dei due amici si separano. E per uno dei due il ritorno a casa, una grigia Dublino, sarà pieno di ombre…

Nel raccontare “Triage”, Danis Tanovic dimostra grande capacità nel gestire drammaticamente le scene di guerra. Tra amputazioni e eutanasie, il regista bosniaco riesce a catturare le facce, le sensazioni, le angosce dei personaggi coinvolti negli spargimenti di sangue e a rimandarle allo spettatore. Del resto, Tanovic aveva già convinto il pubblico di questo suo talento proprio con il film “No Man’s Land”, che riprendeva il conflitto serbo-bosniaco attraverso il punto di vista di un pessimista e di un ottimista.

A differenza di quel primo successo, però, “Triage” è più debole, e la visione si fa più faticosa, quando il regista si sposta a Dublino dove il protagonista (un modesto Colin Farrell) cerca di rimuovere il trauma di ciò che ha visto. Tanovic non riesce a scavare in profondità, a varcare la soglia che separa un film didascalico e un poco scolastico, da un melodramma emozionante. Rimane in superficie e l’idea di far spiegare la guerra a uno psicanalista (il mitico Christopher Lee) non paga, risultando un mero intellettualismo di maniera.

Brava la giovane Paz Vega, che speriamo di vedere presto in film più riusciti.

Diego Altobelli (11/2009)