lunedì 20 ottobre 2008

Vicky Cristina Barcellona

Anno: 2008
Regia: Woody Allen
Distribuzione: Medusa

Vicky e Cristina sono due ottime amiche con idee molto diverse sui valori della vita. Vicky sta per sposare l’uomo che ha sempre voluto; Cristina, invece, è in una fase di transizione e di instabilità sia in amore che sul lavoro. L’occasione di mettere a fuoco le reciproche priorità arriva una estate, quando possono trascorrere un paio di mesi a Barcellona. Lì, le ragazze conoscono Juan Antonio, un artista con alle spalle un matrimonio finito…

Quando Woody Allen torna a girare un film genera sempre pareri contrastanti. Accadde per il profondo “Match Point”, e si ripeté con il leggero “Scoop” e con l’ambiguo “Cassandra’s dream”. Anche in questo caso, con “Vicky Cristina Barcellona” Woody Allen presenta un film non semplice e caratterizzato da molteplici sfaccettature, sia visive che narrative.
Visivamente parlando Allen mette in mostra tutta la sua passione per la pittura, la scultura, la musica e l’Arte in generale, quasi a voler toccare ogni sua forma d’espressione. I personaggi si muovono tra le bellezze artistiche della Spagna, al ritmo delle malinconiche note di chitarre catalane, e assaporando i gusti della tavola spagnola. In questo scenario di “piaceri”, il regista parla dell’Amore: per la vita, in primo luogo, ma anche per l’innamoramento e la passione carnale.
Arte e amore, quindi, un dualismo che fa somigliare il film ad un affascinante e riuscito affresco bucolico, descritto da una voce narrante calda ma distaccata come l’occhio del regista.

Brave le attrici con una grande Penelope Cruz al suo meglio. La Johansson si lascia ammirare, come al solito, oltre che dal pubblico anche da un tenebroso e convincente Javier Bardem. I momenti in cui quest’ultimo duetta con la Cruz, rimangono comunque i più divertenti della pellicola.

Diego Altobelli (10/2008)

Wall - E

Anno: 2008
Regia: Andrew Stanton
Distribuzione: Walt Disney

Wall – E è un robot addetto al riciclaggio e allo smaltimento della spazzatura. Pur essendo l’unico sopravvissuto sul pianeta Terra, disabitata dopo che l’inquinamento atmosferico ha costretto la popolazione terrestre a emigrare su enormi città-astronavi vaganti nello Spazio, Wall – E ha comunque sviluppato una sua forma di coscienza. Ricorda gli avvenimenti recenti, cataloga e sceglie cosa buttare e cosa conservare della spazzatura che deve smaltire, e perfino ordina quest'ultima comprimendola a cubi, che poi sistema uno sopra all'altro creando suggestivi grattaceli di immondizia. Wall - E si crede solo, fino a quando sulla Terra non arriva un altro robot, dalle sembianze femminili, di nome Eve, che ha lo scopo di rintracciare sul suolo terrestre forme di vita. Questa viene rintracciata in una piantina, cresciuta miracolosamente su terreno arido. Eve deve quindi tornare sulla propria navicella a riferire dell'accaduto e Wall - E, come spinto da esentimenti d'amore, decide di seguirla. Sulla sua nave però, scoprirà che gli stessi robot hanno schiavizzato il genere umano, relegando i sopravvisuti a obesi nullafacenti...

Inutile dire che ci troviamo di fronte un altra opera complessa e assai "adulta" targata Pixar: questa volta però, l'aggettivo di "capolavoro" è solo sfiorato. L'assunto di partenza ha del poetico, un robot che smaltisce la "nostra" spazzatura è l'unico sopravvissuto sul pianeta Terra. La regia di Andrew Stanton, premio Oscar per "Alla ricerca di Nemo", decide di omaggiare la Fantascienza con trenta minuti iniziali che mozzano letteralmente il fiato. Il coraggio di mostrare nel quasi assoluto silenzio (interrotto solo da fonemi metallici di Wall-E) il futuro della Terra, lascia sconcertati e rapisce lo spettatore che non solo si affezziona al personaggio, ma prova per lui una gran pena e, quasi, vergogna.
Dalla prima parte, però, così "alta" per toni e regia - grandiosa a riguardo l'idea di mostrare Wall - E come ripreso da un satellite - si passa a una seconda parte più modesta, caratterizzata da idee e soluzioni tutto sommato già viste. Si tratta di una critica da prendere con le dovute distanze, però è innegabile la sensazione di già visto che si avverte nel momento in cui Wall - E sale a bordo dell'astronave di Eve.

Un film comunque incredibile, per suggestioni e atmosfere che riesce a trasmettere allo spettatore. Decisamente non adatto ai più piccoli, che probabilmente si annoieranno, e forse non il film migliore della Pixar, ma sicuramente uno dei più "umani" e poetici. Malgrado il protagonista non sia altro che un robot senza memoria.

Diego Altobelli (10/2008)

Quel che resta di mio marito

Anno: 2008
Regia: Christopher N. Rowley
Distribuzione: Teodora Film

Primo film americano distribuito dalla Teodora Film che inizia la stagione cinematografica 2008 – 2009 con una pellicola adulta, dal sapore amabilmente agrodolce. Le “divinità” Jessica Lange, Kathy Bathes e Joan Allen vengono dirette con mestiere dal regista esordiente Christopher N. Rowley in un “on the road” tutto al femminile.

Arvilla Holden, alla morte del marito, si ritrova di fronte un dilemma esistenziale: spargere per l’America le ceneri del marito, come lui stesso gli aveva chiesto, o cedere l’urna alla figliastra che la minaccia, nel caso di rifiuto della donna, di togliergli la casa. Arvilla decide di prendersi un periodo di riflessione in cui, con le amiche storiche Margene e Carol, compie un viaggio itinerante per gli Stati Uniti…

Partiamo dalle ovvietà: senza il cast che si ritrova, “Quel che resta di mio marito” sarebbe stato un film fin troppo fragile e senza alcun mordente. Come spesso accade in pellicole low-budget, è il pregevole cast la vera spina dorsale del film. Immense tutte e tre, anzi, tutte e quattro, se calcoliamo anche Christine Baranski (attrice versatile presente anche nell’ultimo “Mamma mia!”) nel ruolo di una figliastra troppo delusa dalla morte del padre per riuscire a razionalizzare il fatto.
Ecco quindi che sorprendentemente le quattro signore dimostrano, tra amori fugaci che diventano storie e botte di vita che si trasformano in vincite fortuite al Casinò, di avere molta più vitalità di tante ragazzine del Cinema contemporaneo di Hollywood.

Il viaggio come riscoperta di sé non è certo una novità: tanto meno al cinema, dove di on the road se ne sono visti di tutte le salse. Dal capolavoro “hippie” “Easy Rider” fino ad arrivare a “Crossroads”, quando la Spears aveva ancora una carriera felice davanti, e non alle spalle. In mezzo non possiamo non ricordare quel “Thelma e Luise” che fece scandalo e lanciò un giovanissimo Brad Pitt. “Quel che resta di mio marito” non si discosta da tutte le tematiche insite nel genere, ma tenta di differenziarsi anche grazie a qualche idea new-age efficace: come quella di spargere le ceneri in quattro regioni dell’America che richiamano visivamente i quattro elementi naturali terra, aria, acqua e fuoco. Al di là di questo il film non va, ma finisce per piacere e convincere comunque.
Forse anche perché riesce a evocare, in ultima istanza, l’immagine di un grido di vita - quello delle tre attrici - in una terra arida - il Cinema o l’America – ma ancora piena di prospettive diverse.

Diego Altobelli (10/2008)

Lezione Ventuno

Anno: 2008
Regia: Alessandro Baricco
Distribuzione: 01 Distribuzione

Anno 1824. La Lezione Ventuno è quella in cui il professor Killroy analizzava e smontava la celebre nona sinfonia di Beethoven. Malgrado il professore non vivesse di stima da parte dei suoi esimi colleghi, i suoi studenti, al contrario, hanno apprezzato e capito il senso di quella “lezione”, tramandandola attraverso appunti e la testimonianza di Martha, studentessa di rara sensibilità…

Dopo la parentesi “Seta”, che traeva spunto da un romanzo breve di Alessandro Baricco, ora è proprio lo scrittore a prendere in pugno la telecamera e a cimentarsi nel ruolo di regista con un soggetto difficile e caratterizzato da toni suggestivi quanto onirici. Quello della musica, del resto, è un argomento che nel Cinema ha avuto predecessori sia illustri – come l’ “Amadeus” di Milos Forman – ma anche esiti altalenanti come lo stesso “Io e Beethoven” di Agnieszka Holland (che della nona sinfonia faceva solo accenni), o il “Perduto Amor” diretto da Franco Battiato. A prescindere dai singoli esiti, comunque, tutte queste pellicole hanno dimostrato che il connubio musica e cinema è assai difficile da rendere sullo schermo. Ecco quindi motivate le perplessità sul primo film di Alessandro Baricco che intende analizzare niente meno che l’intima origine della Nona di Beethoven. Opera ambiziosa, quindi, ma da cui lo scrittore esce a testa alta sostituendo, non senza un pizzico di furbizia, i suoni musicali ai suoni della natura, donando alla pellicola una originale parvenza di sogno.
Per il suo film Baricco mostra un mondo irreale che attraverso la poesia, materia che il regista conosce bene, diventa reale e simbolo di un capolavoro, la Nona Sinfonia, non smontata dalla “Lezione Ventuno”, ma semmai legittimata dalla forza “fantastica” che la caratterizza.

Diego Altobelli (10/2008)