Film della Festa del Cinema di Roma 2007 - Sezione ExtraAnno: 2007
Regia: Christina Clausen
Gli anni Ottanta sono appartenuti anche a Keith Harring, maniacale artista della pop art e dall’inconfondibile tratto fumettistico e stilizzato. Il documentario “The universe of Keith Harring” è un sentito omaggio all’artista e al ragazzo che ha saputo vivere la Manhattan delle droghe, delle visioni, e dell’eccesso. Sì perché c’era una Manhattan, quella prima della scoperta dell’Hiv, che non aveva freni. Dove il sesso era unione e orgia sensoriale su ogni fronte, e dove il divertimento stava nello scoprire nuove forme artistiche senza porsi limiti. Tutto questo viene in parte spiegato e in parte trapelato dal lavoro biografico di Christina Clausen che con una lunga serie di testimonianze e documenti video inediti, ripercorre la vita dell’artista Harring fino alla sua morte, avvenuta a causa dell’Aids a soli 31 anni.
Il documentario è molto ben spiegato e articolato, anche se di quando in quando pare soffermarsi più sulla vita sessuale dell’artista e sull’epoca da lui vissuta, che sulle sue opere. Peccato, perché l’occasione per esplorare un mondo davvero affascinante come quello di Keith Harring era molto ghiotta. Invece tocca improvvisare commenti e rivedere le opere che già si conoscono. Stupendosi ancora della sua capacità di improvvisare spazi artistici, ma non del documentario vero e proprio. Al lavoro di Clausen infatti manca una cosa che invece caratterizzava i lavori di Harring: un’identità visiva. Interessante comunque, da vedere senza pretese.Diego Altobelli (10/2007)



In "Elizabeth - The Golden Age" tornano i costumi e le scenografie barocche di Shekkar Kapur, regista "bollywoodiano" di razza, ma con meno enfasi e più ombre. La trama si articola piuttosto abilmente tra intrighi di corte e triangoli amorosi, ma pecca di eccessiva foga nel prendere le parti della bella e affascinante protagonista. Al film di Kapur si contesta una mancata oggettività e una eccessiva partecipazione emotiva nel raccontare le gesta di una donna che, per quanto intrigante e straordinaria, alla fine viene descritta visivamente come una santa: palmi delle mani rivolte verso l'alto e luce diffusa sul vestito bianco. Un po' eccessivo. Bravissimo, d'altra parte, il regista nel descrivere l’impossibilità di un uomo qualunque (nel caso specifico il pirata interpretato da Clive Owen) nell'innamorarsi della donna-regina di sì tale spessore caratteriale. E così viviamo davvero la delusione della donna nel non sentirsi amata per quello che è, e ne abbracciamo la scelta quando questa decide di dedicarsi anima e corpo all'Inghilterra.


