giovedì 5 giugno 2008

Bratz

Anno: 2008
Regia: Sean McNamara
Distribuzione: Eagle Pictures

Dai giocattoli al cinema il passo è stato breve. Le "Bratz", note versioni fashion, griffate e glamour delle antiquate e soporifere Barbie solcano il grande schermo alla ricerca del successo, della bellezza, e dell’amicizia. Indossate le scarpe dai tacchi vertiginosi, spalmato l’ultimo lucidalabbra brillante Max Factor, indossato anche l’ultimo accessorio: magari cinta finta pelle rosa shocking, forse cappellino di brillantini firmato Prada, o più probabilmente serie di braccialetti ampi da ballare aritmicamente sul polso decorato con unghie finte in smalto viola spento; dunque, le quattro amiche sono pronte per la vita.
Ecco le "Bratz", prima bambole, ora ragazzine appena sedicenni stordite da moda e tv, ma con l’intento, sincero, di rimanere amiche per sempre, malgrado i circoli del liceo, le etichette della società, la famiglia, e la televisione...

La regia di Sean McNamara, noto al pubblico di giovanissimi soprattutto per aver diretto "Nata per vincere" con Hilary Duff, travolge il pubblico dalle prime scene, in cui assistiamo al risveglio mattutino delle quattro amiche che, conversando in web-cam, si preparano al primo temutissimo giorno di scuola. Ed è proprio da questa prima scena che "Bratz", tra urla e schiamazzi, dimostra di non voler solo essere un film pretestuoso quale effettivamente è, ma di elevarsi a nuovo paradigma del genere pre- adolescenziale. Narrato con piglio divertito e a tratti grottesco – con l’inserimento di accompagnamenti musicali che rompono o si allontanano da ciò che effettivamente sta avvenendo sullo schermo – McNamara trova il giusto appeal per divertire e raccontare una storia che, bando ad inutili allarmismi sociologici, è anche specchio dell’adolescenza di oggi.
Abbiamo una divisione studentesca degna del miglior lager nazista, dove ogni ragazzo è etichettato e inserito in un preciso contesto di compagnia (dai simpatici "disco-rinco" vestiti anni Settanta, ai geni della matematica, fino alle più inflazionate e sempre ammirate cheerleader); abbiamo un’attenzione alla moda e a ciò che viene mostrato vista solo in certe sfilate di grandi stilisti; c’è la televisione, in cui regna incontrastata la regina MTV con il suo programma sulle feste di compleanno delle sedicenni; e poi i telefonini che riprendono tutto meglio di una telecamera; la musica ad alto volume; e il liceo, soprattutto luogo di incontro per socializzare e farsi un nome, più che come luogo di studio e formazione culturale.

Vuoto? Inconsistenza narrativa? Regia stanca? Ma no, la verità è che l’unico vero interrogativo che si pone lo spettatore adulto di fronte tale spettacolo è come siano riusciti a coinvolgere nel progetto un attore come Jon Voight, che una volta aveva una carriera, che una volta era un attore, e che pure aveva una dignità.
Per il resto è roba da ragazzine un pò rimbambite, e ragazzini confusi: anni difficili, i loro, a cui questo film non farà forse nemmeno troppo bene. Però, va detto, "Bratz" è costruito per quegli stessi ragazzini e ragazzine e sul mondo che vivono, mostrandolo in modo praticamente perfetto.

Diego Altobelli (06/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/bratz.htm

martedì 3 giugno 2008

Once

Anno: 2008
Regia: John Carney
Distribuzione: Sacher Distribuzione

Dublino. Un ragazzo lavora come tecnico Hoover nella bottega del padre, e quando stacca suona per strada canzoni per racimolare qualche spicciolo; una ragazza vende fiori per le vie trafficate del centro. La musica li farà incontrare...

Nel cinema capita a volte che piccoli film nascondano un’anima grande. Che ti entrino dentro, che ti commuovano, che ti lascino dei segni. E’ il caso di “Once”, film leggerissimo, romantico e ispirato come una poesia scritta di getto o una musica che ti salta in mente senza averla mai ascoltata prima. E proprio sulla musica il film ruota, confezionando un copione a metà strada tra il genere musical e la commedia romantica.
Colpisce la sceneggiatura semplice, colpiscono le immagini che ti rimangono impresse, e colpiscono le musiche: struggenti, evocative, speranzose e innamorate. “Once”, diretto da John Carney – al suo secondo lungometraggio dopo “November Afternoon” del 1997 - ha già vinto il premio Oscar 2008 come Miglior Canzone Originale e si propone adesso di entrare nell’immaginario cinematografico di molti giovani spettatori innamorati. È un film semplice quanto delicato, incompiuto quanto sincero. Come un sentimento che ti lascia dentro la speranza che porta a un nuovo inizio.
Vedere “Once” ricorda film come “Quattro passi tra le nuvole” di Alessandro Blasetti o il più recente “Lost in translation” di Sofia Coppola, con entrambi ha infatti in comune la capacità di indagare nel mondo dei sentimenti senza risultare invasivo e pretenzioso. Lasciando lo spettatore libero di vagare per la pellicola alla ricerca del suo spazio di immedesimazione: trovando cioè la sua storia all’interno del film stesso.

Bravi gli interpreti Glen Hansard e Markéta Irglovà dalla magnifica voce e dall’interpretazione sentita e ispirata, per un film che si consiglia di vedere in lingua originale.
“Once” ha ispirato Steven Spielberg che ha dichiarato di aver ricevuto dalla pellicola energia sufficiente per tutto l’anno. Noi spettatori “umani” non possiamo che essere d’accordo: un bel film.

Diego Altobelli (05/2008)

Charlie Bartlett

Anno: 2008
Regia: Jon Poll
Distribuzione: DNC

Fortunato debutto alla regia per Jon Poll, già montatore di successo a Hollywood per i campioni di incasso “Ti presento i miei” e “Austin Powers”. John Poll dirige, sulla base della felice sceneggiatura di Gustin Nash, una commedia irriverente sull’era del Prozac, degli antidepressivi, delle sedute psicanalitiche e dei consigli al limite della medicina sperimentale tra i banchi di scuola di giovani studenti liceali.

Charlie Bartlett è un giovane ricco scapestrato, con una madre bipolare e un padre di cui si sono perse le tracce. Impulsivo, casinista, ma allo stesso tempo scaltro e impavido, Charlie è stato sbattuto fuori da tutti i licei privati in cui è stato mandato, così, quando entra per la prima volta in un liceo statale, il ragazzo è costretto a fare i conti con una realtà che non conosce e che non si aspetta. Per riscuotere successo, Charlie ingegna di installare una farmacia ambulante nel bagno della scuola: lì gli studenti potranno trovare conforto e una persona che li ascolta. Ma l’integerrimo preside non è d’accordo...

Evidentemente l’alcol non basta più ad affogare gli irrequieti pensieri degli adolescenti. Dalla commedia affatto scontata di John Poll esce fuori un profilo dei giovani d’oggi abbastanza allarmante. Insicuri, depressi, ingenui, e con la testa continuamente bersagliata da immagini irreali di vite mai vissute proveniente da televisioni e mass media. La soluzione alle loro frustrazioni viene dalla medicina: Prozac e antidepressivi di ogni tipo sembrano essere la nuova droga e l’alcol in cui affogare le preoccupazioni da liceali.
Quello che colpisce di “Charlie Bartlett” è la non banalità nella trattazione di temi quali integrazione e successo, sempre presenti nei licei di tutto il mondo. Con una regia che pare omaggiare vecchie pellicole anni ’80, anche grazie alla buona fotografia di Paul Sarossy - “Il prescelto”, “Il dolce domani” -, il film di John Poll diverte ed emoziona compiendo un’incursione decisamente originale nel mondo dei giovani.
“Charlie Bartlett” è quindi una pellicola efficace e decisamente gradevole, che strappa parecchi sorrisi e fa riflettere.

Esordio nell’esordio: nei panni del protagonista Charlie troviamo un convincente Anton Yelchin che qualcuno ricorderà per varie apparizioni in serie televisive e film quali “Alpha Dog” di Nick Cassavetes. A sorreggerlo nell’ispirata sceneggiatura un grande Robert Downey Jr., sempre in parte.

Diego Altobelli (05/2008)

Maradona di Kusturica

Anno: 2005 - 2007
Regia: Emir Kusturica
Distribuzione: Bim

La storia di Maradona è nota. Bambino povero, calciatore dilettante, poi il passaggio al football professionistico con il Boca Junior, il Barcellona e poi il Napoli, i trionfi con la nazionale Argentina. Un uomo che tra demoni e dei, tra luci e ombre, ha vinto tutto e ha fatto sognare i tifosi di tutto il Mondo regalando al calcio quello che è stato definito “il gol del secolo”: palla al piede da centro campo, fino alla porta avversaria dribblando cinque giocatori più il portiere e segnare la rete della vittoria.

Nel 2005 Emir Kusturica decide di realizzare un documentario “definitivo” sulla vita del calciatore argentino. Con un’intervista esclusiva in cui si parla del suo coinvolgimento con la droga; il suo rapporto con la politica e con gli uomini di potere; tornando sui luoghi che Maradona frequentava da bambino; e intervallando il tutto da inserti musicali e una grottesca iniziazione alla religione “Maradoniana”.Per Kusturica infatti Diego Armando Maradona è un dio in terra, “un Gilgamesh” come lo stesso regista lo definisce. Un uomo capace di dare speranza a un popolo sconfitto e fondamentalmente povero. Ma il regista non si limita a questo e inserisce anche scene tratte dai suoi film creando un singolare parallelismo tra ciò che Maradona dice nelle interviste e ciò che il regista ha diretto fino ad oggi.Assistiamo quindi a una sorta di sovrapposizione sia di idee, sia di personaggi. Le parole di Maradona diventano quelle di Kusturica, e le immagini del regista diventano la vita del calciatore.

A ben vedere il documentario di Emir Kusturica non aggiunge nulla di nuovo a ciò che già si sa della vita di Maradona. Le solite vicende di partite vendute, di campionati già scritti, di doping esasperato e di delirio delle masse. Malgrado l’assenza di cose nuove da dire sulla vita di Diego Armando Maradona, il documentario di Emir Kusturica si lascia comunque vedere per la singolare opera di mitizzazione apportata da un regista nei confronti di un uomo venuto dal nulla e arrivato a toccare il cielo.

Diego Altobelli (05/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1893