lunedì 3 novembre 2008

Si può fare

Anno: 2008
Regia: Giulio Manfredonia

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Anteprima

Diretto da Giulio Manfredonia "Si può fare" si rivela, a sorpresa, essere film caratterizzato da ironia pungente e sagace.

Anni Ottanta. In seguito alla legge Basaglia, che dispose la chiusura di tutti i manicomi, un gruppo di malati di mente si ritrovano senza lavoro e senza futuro. Aiutati da un sindacalista, tenteranno il reinserimento nel mondo del lavoro, dando vita a tutta una serie di contraddizioni ed equivoci...

Piaciuto alla critica del terzo Festival del Cinema di Roma, "Si può fare" si districa con agilità tra l’essere commedia ed apparire come film di denuncia.
Come affermato dallo stesso regista, "Si può fare" mira ambiziosamente ad essere continuazione ideale del film "Qualcuno volò sul nido del cuculo" del premiato Milos Foreman. Le similitudini con il capolavoro del 1975 si fermano però all’idea di fondo e alle intenzioni di denuncia sociale, tra l’altro molto diverse sul piano contenutistico. Più simile per ritmi e toni narranti, invece, a "Quattro pazzi in libertà" di Peter Boyle del 1989 con un grande Michael Keaton. Il personaggio dello psichiatra molto aperto di vedute che nel film di Boyle portava quattro matti a una partita di baseball, nel film di Manfredonia viene incarnato dal sindacalista Claudio Bisio, indiscusso padrone del palco come delle risate del pubblico. Tra il cast anche Bebo Storti e Anita Caprioli.
Si ride, insomma, ma non montiamoci la testa.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbnovita/novita.php?id=652

RockNrolla

Anno: 2008
Regia: Guy Ritchie

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Proiezione Speciale

Torna Guy Ritchie in una spregiudicata commedia nera, caratterizzata da tutti quegli elementi che hanno reso famoso il regista londinese, da "Lock and Stock" fino a "The Snatch - Lo strappo".
La trama di "RockNrolla" ruota intorno al mercato dell'edilizia, settore che attira malavitosi di ogni genere. Quando la rock star Johnny Quid, figlio di un potente malavitoso, entra in possesso di un quadro di grande valore, i nemici di suo padre si mettono sulle sue tracce dando vita a una guerra tra gangster...

Per la regia di "RockNrolla" Guy Ritchie unisce ritmo frenetico a musiche metallare, condendo il tutto con una sana dose di violenza gratuita e dialoghi degni dei peggiori bassifondi londinesi. Il risultato è un film irrequieto e confuso. Come nel già citato "The Snatch", Ritchie fa muovere sullo schermo decine di personaggi, tutti assetati di denaro e potere, senza però dare alla trama la giusta continuità narrativa. La debole storia d'amore tra il protagonista Gerard Butler (il Leonida di "300") e la bella Thandie Newton ("Mission: Impossible 2"), inoltre, che dovrebbe spezzare un poco il ritmo esagitato del film, non raggiunge lo scopo e al contrario si ricorda per la scena di sesso più "veloce" nella storia del Cinema.
Guy Ritchie, insomma, non si smentisce. "RockNrolla" è un film poliziesco nero che non aggiunge nulla di nuovo alla sua filmografia. L'utilizzo sincronizzato di musica e violenza non basta a salvare una pellicola ispirata, come rivelato dallo stesso regista, al personaggio controverso di Pete Doherty, compagno di Kate Moss. Un po’ poco.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbnovita/novita.php?id=650

JVCD

Anno: 2008
Regia: El Mechri

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Proiezione Speciale

Jean Claude Van Damme, nel ruolo di se stesso, tornato in Belgio per prendersi una vacanza dal lavoro e riflettere sulla propria vita, rimane coinvolto in una rapina ai danni di un Ufficio Postale. Cercare di convincere la Polizia della sua innocenza non sarà facile...

Interessante variazione sul tema dell’identità. "JVCD" - dalle iniziali dell’attore protagonista - è il film – confessione di un attore che, dopo aver raggiunto l’apice del successo, tira le somme del proprio percorso di vita. La scena più significativa del film è infatti quella in cui vediamo Van Damme sganciarsi dal film per esser trasportato da un carrello sopra il set. Lì, in un momento di intimità con il pubblico, l’attore Belga si confessa, commuovendosi, ricordando i propri eccessi con la droga e la sua carriera come attore. Scena toccante, ma un po’ troppo ambiziosa, tanto da apparire più come una specie di "mea culpa" nei confronti del proprio Paese, il Belgio, da cui se ne andò per cercare fortuna a Hollywood.
Il regista Mabrouk El Mechri, al suo quinto lungometraggio, gioca con il flashback, tornando indietro spesso nello svolgimento della trama per poi ricongiungersi al tempo presente. La sceneggiatura si dimostra invece capace di ironizzare con efficacia su molti luoghi comuni del genere "action" e di prendersela, non senza un pizzico di cattiveria, soprattutto con John Woo (regista cui il primo film hollywoodiano fu "Senza tregua", con lo stesso Van Damme), e Steven Seagal.

Nella parte del cattivo troviamo Zinedine Soualem, che ricorda volutamente il Sal di "Quel pomeriggio di un giorno da cani" interpretato da John Cazale, scomparso poi nel 1978.
Osannato dalla critica al terzo Festival del Film di Roma, "JVCD" è invece un film altalenante: in certi momenti diverte molto, in altri annoia e, sostanzialmente, sfugge, come una barzelletta di cui si è perso l’inizio.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbnovita/novita.php?id=643

Easy Virtue

Anno: 2008
Regia: Stephen Elliot

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Anteprima e In concorso

Stephen Elliot, regista del provocatorio "Priscilla – Regina del deserto", torna alla regia riscoprendo una commedia del 1924 scritta da Noel Coward e dal titolo "Easy Virtue". Ne viene fuori una commedia sofisticata, ambientata negli anni Trenta, sulla libertà e la difficoltà del rapporto genitori - figli.

Anni Trenta. Larita, sposata al giovane John Whittaker, ha mancato d’un soffio la possibilità di diventare la prima "campionessa" nella storia delle corse automobilistiche. La sua vittoria, infatti, è stata annullata per una scorrettezza inesistente fatta ad un altro pilota. Quando John la porta nella casa di Londra per presentarla alla sua famiglia, iniziano i guai. La madre del ragazzo infatti non tollera i modi emancipati della giovane pilota...

Il melodramma "Easy Virtue" era stato già notato da un giovanissimo Alfred Hitchcock che nel 1928 l’aveva adatta per il suo secondo lungometraggio. La versione di Stephen Elliot è un buon esempio di commedia sofisticata e adattamento di un testo teatrale al cinema. Il regista, mantenendo intatta la traccia iniziale, si serve soprattutto della colonna sonora per alleggerire i toni piuttosto drammatici che caratterizzavano gli scritti di Coward. Persino riadattando, nello stile degli anni Trenta, alcuni pezzi contemporanei come "Sex bomb" di Tom Jones. Un uso intelligente del sonoro, quindi, raramente visto al cinema e che vede la partecipazione canora anche degli attori protagonisti Jessica Biel e Ben Barnes.
Ottimi gli interpreti, tra cui oltre i citati Biel e Barnes spiccano la grande Kristin Scott Thomas e il buon Colin Firth, che con brio danno vita alla frizzante sceneggiatura, efficace e mai banale, densa di humour inglese.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbnovita/novita.php?id=642

Un gioco da ragazze

Anno: 2008
Regia: Matteo Rovere

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - In concorso

Il soggetto del bullismo scolastico in chiave femminile era intrigante, tratto dall’omonimo romanzo di Andrea Cotti. Malgrado questo assunto il nuovo film di Matteo Rovere “Un gioco da ragazze” arriva a malapena a sfiorare la sufficienza.
Dopo un inizio interessante e ordinato sul piano formale della messa in scena, in cui assistiamo alle bravate adolescenziali delle tre protagoniste e all'introduzione del personaggio cardine del professore (un bravo Filippo Nigro), il film degenera in fretta, mandando all'aria tutti quei presupposti narrativi che avrebbero fatto di “Un gioco da ragazze” un interessante film di genere. Matteo Rovere presenta situazioni “al limite” senza dargli l'onesta prosecuzione che ci si aspetterebbe, finendo per “gettare la spugna” di fronte la fragile sceneggiatura.

Guardando il film di Rovere si ha la sensazione che nel realizzare il film qualcuno abbia pensato che qualche scena di sesso gratuito e un intreccio improbabile tra studentesse e professore, sarebbero bastati a rendere il film quanto meno vedibile. Così non è, naturalmente, e il cinema italiano ha invece dimostrato, ancora una volta, di aver assoluto bisogno di ripassare le basi del mestiere. Ricominciare da storie semplici, purché siano storie con un soggetto, un verbo e un complemento, e non il solito tentativo di apparire autoriale senza comunicare nulla di davvero sensato: né per trama, né per contenuti.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbnovita/novita.php?id=630

Cliente

Anno: 2008
Regia: Josiane Balasko

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - In concorso

Il tema della prostituzione maschile è al centro della provocatoria commedia di Josiane Balasko dal titolo “Cliente”.
La trama: Judith, cinquantenne annoiata, trova compagnia in un giovane “escort” di nome Marco. Ben presto la donna diventa cliente abituale del ragazzo e finisce per innamorarsi di lui. Poi un giorno Judith viene fermata da una ragazza, moglie di Marco...

Record d’incassi in Francia dove il pubblico pare aver apprezzato il film proprio per la presenza di due temi così allo stesso tempo attuali e scottanti: da una parte la prostituzione maschile, dall’altra il tema della solitudine della donna nella terza età. La regia di Balasko, già autrice dell’omonimo romanzo dalle 200.000 copie vendute, si fa apprezzare per il ritmo e la sceneggiatura, due elementi che, quando vanno di pari passo come in questo caso, riescono a lasciare il segno. Davvero “grande” la protagonista femminile Nathalie Baye già vista in “Una relazione privata”, che risulta penetrante e sempre seducente.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbnovita/novita.php?id=630

Iri

Anno: 2008
Regia: Zhang Lu

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - In concorso

Nel 1978 nella stazione ferroviaria di Iri, in Corea, un’esplosione coinvolse, uccidendole, centinaia di persone. A trenta anni da quell’attentato, il regista Zhang Lu gira un sentito film drammatico che vuole sottolineare quanto quel fatto di sangue abbia pesato sullo sviluppo culturale della Corea.

"Iri" è un film fortemente coreano. Al popolo della Corea si rivolge, e difficilmente uno spettatore occidentale, estraneo ai fatti di sangue cui il film fa riferimento e ignorante su quanto pesi la cultura cinese al popolo coreano, riuscirà a capirne il senso e le vere intenzioni.
La regia di Zhang Lu, stimato regista di "Desert Dream" e "Grain in ear", è di quelle che hanno, per dirla chiara, l’inquadratura fissa: come se ogni scena fosse un palco teatrale al cui interno si muovono, troppo spesso silenziosamente, gli attori. Tutte le scene, inoltre, hanno l’unico scopo di essere un forte atto di accusa sia contro la prepotenza culturale cinese in Corea, sia contro lo stesso Paese che non riesce a imporsi, mancando di una vera e propria identità culturale. Esemplificative in tal senso le scene in cui la protagonista viene stuprata in pieno giorno da un insegnate di lingua cinese; o la scena della fellazio in un locale di Karaoke, dove (mi appoggio al suggerimento del collega Mauro Corso) per l’appunto il termine "karaoke" lascia intendere nella lingua coreana il rapporto orale. E così si prosegue in questo gioco di metafore, dove persino vediamo un personaggio impiccarsi con alle spalle l’enorme bandiera coreana; o un altro, arabo, maltrattato a sua volta dalla polizia coreana.

Malgrado però vengano comprese le intenzioni di protesta del regista, il film risulta comunque fortemente indigesto. La critica di Zhang Lu appare infatti troppo marcata e priva di sfumature, caratterizzata semmai da metafore piuttosto "concrete" e quasi volgari, inserite in una sceneggiatura quasi inesistente.
Bravi invece i due protagonisti Yoon Jin-seo, già vista nel bellissimo "OldBoy", e Eum Tae-woong, apprezzato in "Forever the moment".

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/iri.htm

Quell'estate

Anno: 2008
Regia: Guendalina Zampagni

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - In concorso

"Quell’estate" la famiglia Rienzi tornò a passare le vacanze nella vecchia casa di campagna. Per tutti i membri della famiglia, sarebbe stata l’occasione per rimettere in discussione tutta la loro vita...

Guendalina Zampagni, al suo primo lungometraggio si dimostra autrice delicata e attenta nel tratteggiare le psicologie dei personaggi. La famiglia Rienzi infatti è formata da un padre, Alessandro Haber, nevrotico eppure agguerrito nel difendere l’onore dei suoi parenti; una figlia, Diane Ferri, perennemente in difficoltà nel gestire i rapporti con i propri fidanzati; un figlio, Jacopo Troiani, che vive i dolori del suo primo amore; e una madre, ben interpretata da Pamela Villoresi, determinato capo di famiglia. Il nucleo famigliare descritto è di quelli in cui è facile immedesimarsi e rivedersi, con le loro ansie, le preoccupazioni, i loro silenzi e le loro liti improvvise. Tutti questi aspetti sono i pilastri portanti della sceneggiatura, che avvolge lo spettatore in un tepore visivo fatto di rievocazioni. Interessante, a proposito, l’utilizzo non banale che la Zampagni fa del "flashback", usufruendo anche delle belle musiche - colonna sonora interamente composta da pezzi famosi degli anni Ottanta – e soprattutto delle note malinconiche di "Anima fragile" di Vasco Rossi. Un autentico tuffo nel passato, insomma.
Un film discreto, quindi, nulla di "trascendentale", ma un buon esordio alla regia.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/quellestate.htm

Lol

Anno: 2008
Regia: Lisa Azuleos

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Alice nella città

Oltre venti anni dopo "Il tempo delle mele" Sophie Marceau torna a parlare di adolescenti e crisi sentimentali. Oggi nel ruolo di una madre che ha a che fare con i turbamenti emotivi della figlia Lol, ragazzina ai primi anni di liceo e alle prime esperienze sentimentali.
Il film di Lisa Azuleos fa centro: sia dal punto di vista della narrazione, nel descrivere le inquietudini dei protagonisti; sia visivamente, ricorrendo a idee interessanti e al "passo con i tempi" - come ad esempio le sovrapposizioni di varie applicazioni PC come Messanger, strumenti che i protagonisti utilizzano spesso.
Inoltre la sceneggiatura, serrata e credibile, diverte ed è di facile immedesimazione, mancando di quella presunzione che invece caratterizza altri film dello stesso genere. Difatti, qui la regista francese non vuole "scioccare" lo spettatore con tematiche gravi e seriose, ma più semplicemente raccontare il mondo di oggi, giovanile e non, in modo onesto e senza ricorrere a sensazionalismi.
La "Lol" del titolo (da una sibillina contrazione del termine "lolita"), una giovanissima Jocelyn Quivrin che tiene testa ad una magnifica Sophie Marceau, è una ragazza che vive le proprie emozioni con semplicità e romanticismo, senza lasciarsi andare a colpi di testa, ma comprendendo pienamente le regole del gioco chiamato Amore. Proprio questa consapevolezza, che condivide sia con i personaggi del film che con il pubblico, è il vero motore del film.
I tempi sono cambiati, sembra suggerire la regista, e mentre nel citato "Il tempo delle mele" la distinzione tra adulti e adolescenti era netta, oggi questa divisione si è fatta più sfumata e meno evidente. Ecco quindi svelato il mistero dietro i turbamenti dei giovani d'oggi, e a ben vedere non era poi nemmeno un gran mistero.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/lol.htm

L'Heure d'Ete

Anno: 2008
Regia: Olivier Assayas

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Proiezione Speciale

Olivier Assayas torna con grande stile al cinema con un lungometraggio a tema famigliare toccante, quanto elegante.

Un lutto improvviso colpisce una famiglia dell'alta borghesia francese. Resosi conto di non poter usufruire della casa di campagna, rifugio oltre che di ricordi anche di preziosi oggetti d'antiquariato, i figli della donna scomparsa decidono di venderla.
Sarà un'occasione per riunirsi, prima di tornare nuovamente lontani...

A colpire lo sguardo, questa volta, è l'attenzione che Olivier Assayas riserva agli oggetti e alla scenografia, parte integrante della trama: molti "pezzi" di antiquariato, tra quadri e mobilio, che assurgono a ruolo di contenitori di conoscenza e ricordi.
Attorno a loro si muovono infatti i personaggi che si interrogano sulle loro vite da adulti, e sul peso delle loro future scelte grazie a una sceneggiatura che dà la sensazione d'esser sospesa e quasi impalpabile.
La regia di Assayas, che ci ha abituato a vere ispirazioni di tipo sperimentale (basti pensare al finale di "Imma Vep" o ai movimenti di camera in "Demonlover"), questa volta è regale, elegante e austera e senza guizzi di tipo artistico.
Vale la pena, infine, spendere due parole sulla recitazione del cast: Juliette Binoche, Charles Berling e Jeremie Renier interpretano con forza la parte di tre fratelli messi di fronte la morte della madre, una splendida Edith Scob, tratteggiando un ritratto di famiglia complesso e crepuscolare. Un film quasi bergmaniano, dove il trascorrere del tempo si concilia con la rassegnazione di sentirsi vivi.
Olivier Assayas ha nuovamente lasciato il segno nel mondo del Cinema.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/lheuredete.htm

Opium War

Anno: 2008
Regia: Siddiq Barmaq

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - In concorso - VINCITORE DEL MARCO AURELIO D'ORO per la Critica

Siddiq Barmaq, dopo il premiato "Osama", presenta "Opium War", film dall'assunto intrigante e dalla messa in scena di tipo teatrale.

Un elicottero precipita in territorio afghano con due americani a bordo. Scorpion, un bambino che vive in un carro armato semi distrutto, li trova e comincia ad aiutarli a rimettersi in sesto. La sua famiglia, però, non è d'accordo e per i due soldati comincia una lotta per la sopravvivenza in mezzo al deserto.
"Opium War" è una commedia, strano a dirsi, molto "teatrale".

Un'unica vera scena: il deserto; pochi personaggi, che si alternano sullo schermo senza mai sovrapporsi; e dialoghi sparsi, con molte pause silenziose tra l'uno e l'altro, e che si interrogano sulla vita e la morte. Qualche idea decisamente buona invece la troviamo nella regia vera e propria, come la sequenza in cui gli uomini afghani si travestono da donna o il campo di oppio coltivato dalla famiglia di Scorpion. Nel film di Siddiq, insomma, si crea effettivamente una singolare finzione scenica caratterizzata da una vena grottesca e auto ironica. Un approccio intelligente al cinema che ci ricorda non solo di quanto la guerra - ogni tipo di guerra - sia fondamentalmente senza senso, ma anche di come due culture così lontane siano in fondo molto simili. Basta solo, sembra suggerire il regista nelle ultime scene, trovare un linguaggio comune.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/opiumwar.htm

Os Desafinados

Anno: 2008
Regia: Walter Lima

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Occhio sul Mondo

Con "Os Desafinados", Walter Lima dirige un film tutto giocato in interni, a metà strada tra il teatro e la sit-com. Regia ben attenta a muoversi con una certa discrezione tra i vari personaggi che spesso affollano la scena, senza apparire però mai invasiva per lo spettatore.

La vera storia degli Os Desafinados, gruppo musicale che negli anni Sessanta e Settanta hanno vissuto la loro personale rivoluzione.
Dalle prime aspirazioni musicali, tra provini e audizioni, fino al viaggio in America, a New York e il loro rientro in Brasile, sotto l'occupazione militare. Il tutto raccontato attraverso gli occhi di uno dei protagonisti del gruppo...

"Os Desafinados" spiazza il pubblico. Non solo per la capacità che ha di riuscire a raccontare la complessa vicenda del gruppo musicale di cui porta il nome, ma anche e soprattutto perché riesce a trasmettere l'essenza stessa della Bossa Nova, genere musicale che negli anni in cui il film è ambientato stava prendendo piede. In mezzo alle vicende legate alla musica, non mancano gli amori e le liti tra amici e componenti del gruppo, in una spirale malinconica e commovente, caratterizzata dalla comune speranza di raggiungere il successo e la realizzazione.

Molto bravi gli interpreti, tra cui spicca il protagonista Rodrigo Santoro, già apprezzato nella serie televisiva "Lost", e la bella Claudia Abreau, dalla voce seducente e l'atteggiamento felino.
Un film molto gradevole e onesto, cui non pesano affatto le due ore di girato, e che fa ben sperare per il cinema brasiliano: in continua crescita.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/osdesafinados.htm

High School Musical 3 - The Senior Year

Anno: 2008
Regia: Kenny Ortega

Festival Internazionale del Film di Roma 2008 - Anteprima

Evviva la Disney!
Finalmente si torna alla Realtà, dopo tanti film italiani che pretendono di piegare i turbamenti giovanili mostrando abusi di sesso e droga, torna la Disney, con quella che potremmo definire una delle opere più commerciali degli ultimi anni, e fa piazza pulita di qualsiasi cattivo pensiero."High School Musical 3", come i primi due film, è un vero concentrato di energia. Vita, sentimenti, azione, qualche turbamento, ma soprattutto tanta musica a ricordarci che in fondo ad ognuno di noi c'è qualcosa di meraviglioso pronto ad esplodere e a coinvolgere il Mondo intorno.

E' il momento di fare i conti con la propria vita e il proprio futuro. Alla High School Troy e Gabriella sono giunti al fatidico ultimo anno. Molte prospettive si aprono davanti ai loro occhi, ma di una cosa sono certi: reciteranno ancora insieme in quello che potrebbe essere l'ultimo musical della loro vita. Tra amori e turbamenti, cercheranno di trovare il modo di non perdersi, malgrado i trasferimenti e i dubbi sul futuro...

Magnifico esempio di come vanno trattati gli argomenti adolescenziali. "High School Musical 3", così come i suoi precedenti episodi, è uno spettacolo divertente ed emozionante che chiunque dovrebbe vedere almeno una volta, e questo a prescindere dall'età!
Ritmo e coreografie la fanno da padrone, con un soggetto che ruota intorno all'idea di "spettacolo nello spettacolo", e che riesce a rendere la pellicola leggermente più ambiziosa, dal punto di vista della messa in scena, delle precedenti. Non mancano neppure le citazioni "colte", riferite ai grandi coreografi e teatranti di Broodway, espresse dai protagonisti come nulla fosse. Fantastico: finalmente un pò di vera cultura.
Gli attori sono collaudati e malgrado il finale auto celebrativo, con tanto di motivetto che inneggia a "Vivi la tua vita come fosse un High School Musical", si lasciano apprezzare per voce e, soprattutto, doti di ballerini.
"High School Musical 3" è da vedere, sempre e a ripetizione. Basta con lo "snobismo" ad oltranza e ricominciamo a parlare di Cinema e al modo in cui i "messaggi" devono essere inviati allo spettatore per essere realmente compresi. Il Musical è una strada possibile, ma ce ne sono molte altre. Basta sceglierne una, e rimanere coerenti.

Post scriptum: E' in preparazione il quarto episodio...
Ancora, viva la Disney!

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/highschoolmusical3.htm

Life. Support. Music.

Anno: 2008
Regia: Eric Daniel Metzgar

Festival del film di Roma 2008 - Sezione Extra

La musica come mezzo per uscire da un brutto incidente, come salvezza intesa anche come ricordo della vita trascorsa. Il nuovo film-documentario di Eric Daniel Metzgar lascia sbalorditi.
Coinvolgente e tecnicamente ispirato. Un connubio perfetto di musica, immagine ed emozione.

Un musicista famoso nella scena newyorchese, Jason Crigler, durante un concerto, viene colpito da un’emorragia celebrale. La diagnosi è gravissima, se sopravvive all’intervento perderà quasi tutte le sue facoltà. I suoi famigliari si stringono a lui per opporsi con tutte le forze all’ingrata sentenza dei medici...

Storia vera, toccante, sorprendente e senza retoriche o facili moralismi. "Life. Support. Music.", con il punto tra una parola e l’altra come a far intendere i passi che il protagonista deve fare per tornare a vivere, è uno di quei film che raramente capita di vedere. Il regista Eric Daniel Metzgar, al suo secondo documentario, valica il confine tra verità e immaginazione, e lo fa utilizzando il mezzo Cinema. Un esperimento al limite del meta-cinema che, partendo dalle riprese effettuate in ospedale, segue tutto l’iter di riabilitazione; anche con crudezza, a tratti, ma senza lasciare mai che l'immagine diventi invasiva minando la grande dignità del protagonista e di tutta la sua famiglia.
Un film toccante, comunque, un esempio bellissimo e commovente di fare Cinema.

- La curiosità: Tra le varie star intervistate anche Nora Jones, che per salvare Jason si unì a un gruppo di musicisti per un concerto di beneficenza, incassando quasi 50000 dollari in una sola serata.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/lifesupportmusic.htm

Santa Mesa

Anno: 2008
Regia: Ron Morales

Festival Internazionale del Film di Roma - Alice nella città

Produzione americana e filippina per un film di formazione intelligente e ben diretto da Ron Morales.
Hector è un bambino di 12 anni che, a causa della morte della madre, comincia a frequentare un gruppo di giovani scapestrati. Per superare l’iniziazione alla banda, Hector è costretto ad entrare nella casa di un fotografo. Sara’ l’inizio di una bella amicizia.

Non originalissimo, questo "Santa Mesa", ma comunque efficace sia dal punto di vista registico, sia dal punto di vista della recitazione. Il giovane Jacob Shalov, nel ruolo di Hector, dimostra di possedere le carte in regole per il ruolo che deve ricoprire, e anche per proseguire nella difficile carriera di attore: tutto questo grazie ad una mimica facciale capace di trasmettere emozioni di smarrimento e sagacia.
La regia gioca con la fotografia, esattamente come fa il protagonista del film, e tramite quella cerca di andare al di là dell’immagine, cercando nuovi valori simbolici. Un tentativo riuscito a metà che si perde forse in un atteggiamento troppo scolastico e didascalico. I momenti migliori del film rimangono comunque quelli in cui il piccolo Hector rimane da solo con i suoi pensieri a scrutare silenziosamente gli animi vivaci dei suoi coetanei. Ispirato.
"Santa Mesa" è quindi una bella sorpresa, un film da vedere sia per grandi, che per i più piccoli che ha la capacità aggiunta di descrivere il rapporto tra la povertà e la cultura: per il regista, la prima impersonata da un bambino, la seconda dall’adulto.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/santamesa.htm

Un barriage contre le Pacifique

Anno: 2008
Regia: Rithy Pahn

Festival del Film di Roma - In concorso

Terzo film in concorso per il terzo Festival del Cinema di Roma. Al di là del numero tre, comunque, il film di Rithy Pahn, tratto dall’omonimo romanzo di Margherite Duras, non andrà, neppure nella classifica di gradimento: "Un Barrage contre le Pacifique", è si film poetico e intimista, ma gli manca quel "quid" in più, magari suggerito dal cast di attori, che lo avrebbe potuto portare a confrontarsi a testa alta con pellicole Hollywoodiane dello stesso genere. Invece così non è, e "Un Barrage contre le Pacifique" risulta soprattutto melenso.

Una madre scopre che la propria risaia è stata invasa dalle acque salate del Pacifico a causa del crollo di una diga di fortuna.
Quella contro gli esattori e lo stesso Oceano Pacifico, sarà una guerra che coinvolgerà anche la sua famiglia...

Margherite Duras metteva nel suo romanzo, ancora di origine autobiografica come altre sue opere, molti personaggi che si intrecciavano componendo un interessante affresco narrativo, sullo sfondo di una diga distrutta nel cuore della Cambogia. Il regista Rithy Panh si pone lo stesso obiettivo intimista, ma non riesce ad essere incisivo come le parole della Duras. Anche con una fotografia molto bella, caratterizzata da colori caldi e accesi, la sua regia non va molto oltre il melodramma didascalico. E’ il ritmo lento e un poco distaccato, inoltre a stancare facilmente lo spettatore.
Altra storia se si ha amato il romanzo. La location cambogiana descritta nel film non ha nulla da invidiare all’opera scritta e sensazione di alienazione e stupore rimane intatta così come la si conosceva nell’originale. Buona la sceneggiatura, quindi che risente positivamente del romanzo.
Un film interessante, quindi, ma riuscito a metà: rimanendo giustamente rispettoso dell’opera da cui trae ispirazione.

Diego Altobelli (10/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/unbarragecontrelepacifique.htm