
Anno: 2008
Regia: Federico Moccia
Distribuzione: Medusa Film
Quando esce un film come “Scusa ma ti chiamo amore”, i critici vanno in un “brodo di giuggiole”. Le ragioni sono diverse: facilità nell’ironizzare sulle scene; stroncatura annunciata e facilitata dal fatto di essere il primo film da regista dell’autore del romanzo; e il fatto di aver riscontrato spesso, in operazioni di questo tipo, una non professionalità nel confezionare il prodotto filmico… Tutti questi elementi, purtroppo presenti nel film di Federico Moccia, tendono a rendere il lavoro di stesura piuttosto facile. Eppure, come diceva Maria Rosa Mancuso in occasione di un’altra recensione, “…qualcosa dobbiamo pur dire, e con garbo”. Quindi accolgo il consiglio della veterana e parto con la vera recensione del film.
Via!
Alex è un pubblicitario che di punto in bianco viene lasciato dalla moglie. La sua disperazione viene meno quando incontra la diciassettenne Niki. Da quel momento la vita di Alex cambia, ritrovandosi innamorato (e braccato) della giovane.
Tentativo nostrano di confezionare una commedia romantica moderna, nello stile di “Love actually”.
Purtroppo, come ci si poteva aspettare, la regia di Federico Moccia è superficiale così come la storia che racconta. Inquadrature fisse e idee registiche che sembrano prese in prestito da “recite scolastiche” (per fare un esempio le protagoniste vengono presentate come se fossero a una sfilata di moda: nome annunciato fuoricampo, ragazza che scende e risale una scalinata). Per sostenere la propria regia, Moccia sovrappone alle immagini di una "Roma-bene" fatta di un pantheon davvero nutrito di modelli presi in prestito dalla televisione, frasi d’amore in stile Baci Perugina (vengono scomodati tutti: da Neruda a Shakespeare). Se poi si nutre ancora qualche dubbio sulla natura giovanilistica della pellicola, interviene la bella voce fuori campo di Luca Ward che - invero questa volta un po’ mellifluo - intende spiegare agli spettatori cos’è l’Amore con la A maiuscola suggerendo: “…l’amore colpisce quando meno te lo aspetti…” e luoghi comuni similari.
Al miraggio di una regia degna di questo nome, si appoggia una sceneggiatura articolata da tanti personaggi che si intersecano e si domandano - ognuno col proprio metodo - cosa sia l’amore. Idea apprezzabile, ma realizzata male e con l’ausilio di battute inefficaci, frasi “fatte”, e atteggiamenti fintamente eclatanti. Cui si aggiunge una recitazione non convincente intenta semmai a sagomare i personaggi che rimangono così ancorati alla leggerezza di fondo.

Infine, nemmeno il montaggio giunge in soccorso della pellicola. Il regista decide infatti - e qui arriviamo al vero nocciolo della questione - di collegare le strade di Roma e le scene che ospitano per una sola ragione: compiacere l’immagine. Ma si badi bene, non l’immagine della pellicola, del Cinema, della celluloide. Piuttosto quella della Società. Federico Moccia infatti non cerca credibilità nel raccontare la sua storia (bella o brutta non vuole essere questo il luogo per giudicarlo), ma tenta di compiacere la sua idea di Società. Fatta di ragazzine pruriginose e superficiali; macchine di lusso; vari personaggi “che fanno cose e vedono gente”; ragazzetti che imitano icone televisive; generale benessere e esteriorità vantata, o ostenta come arma.
Si scopre quindi anche la natura intima della storia raccontata, là dove non si parla di un uomo e una ragazzina (davvero, ragazzina…) che si innamorano. Ma di due adolescenti che si attraggono. Tutti i suoi personaggi sono, in fondo, adolescenti di varia età e (im)maturità.
Non è l’Italia quella che racconta Moccia, e chiunque se ne accorgerebbe, ma la sua Italia. La sua idea di società italiana.
Del resto, a ben vedere, “Scusa ma ti chiamo amore” non è nemmeno un film e tanto meno Cinema, ma la sua idea di ciò.
Quindi nessun rancore e niente di personale, solo ansia che tutto questo Nulla possa essere preso a esempio.
Diego Altobelli (01/2008)
estratto da
http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1811