giovedì 24 gennaio 2008

La famiglia Savage

Anno: 2008
Regia: Tamara Jenkins
Distribuzione: 20th Century Fox

I fratelli Jon e Wendy Savage hanno due vite separate ormai da molto tempo. Lui insegna a New York e sta scrivendo un saggio sul dramma borghese. Lei invece vorrebbe veder realizzata la prima commedia a teatro, nel frattempo sbarca il lunario lavorando come segretaria nell’East Side. Le loro vite si incontrano di nuovo quando scoprono che, Jon, loro padre ha il morbo di Parkinson…

La regista indipendente Tamara Jenkins dà vita con efficacia a questo dramma famigliare dal retrogusto dolciastro. “La famiglia Savage” porta due ottimi attori come Philip Seymour Hoffman e Laura Linney a confrontarsi filmicamente sul piano degli affetti.Il rapporto che si instaura tra loro, spronato della comune sofferenza per il padre, è descritto con cura ed eleganza nella sceneggiatura firmata dalla stessa Jenkins. Dai dialoghi e dalle situazioni, infatti, trapelano efficacemente sfumature e atteggiamenti caratteriali dei due protagonisti coinvolti, ma senza mai far risultare la pellicola lenta o pesante, volgendo semmai il ritmo narrativo sul versante della commedia. La storia, insomma, assume i contorni e i toni di un dramma borghese ibseniano, quasi a voler richiamare idealmente gli interessi teatrali dei due protagonisti.

I buoni dialoghi, del resto, sono supportati in maniera esemplare dalla recitazione da Oscar (proprio la Linney ha ricevuto per questa parte la nomination) di entrambi gli attori. Grande Hoffman nel ruolo di un fratello nevrotico e sfiduciato nei confronti della vita. Ancor più grande l’interpretazione della Linney, che con la sua “debolezza” riesce a fronteggiare con orgoglio il carattere cinico del fratello. Grandiosi.

“La famiglia Savage” è insomma un buon film. Nostalgico, malinconico e che si ricorda per il suo finale affatto scontato e che rivela la vera natura della pellicola. Speranzosa e intelligente.

Diego Altobelli (01/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1810

Aliens vs Predator 2

Anno: 2008
Regia: Colin e Greg Strauss
Distribuzione: 20 th Century Fox

Nel 1979 Ridley Scott realizzò quello che rimane ancora oggi un capolavoro del cinema horror di fantascienza: Alien.
Nel 1987, John Mc Tiernan dà vita a un'altra pellicola dello stesso genere, ma ambientata nella giungla vietnamita: Predator.
Da lì in avanti i due alieni protagonisti hanno dato il via a un brand (un marchio), "AV", sul cui nome sono stati realizzati videogiochi, fumetti, e soprattutto molto merchandising di giocattoli. Fino al 2004, quando le due razze si scontrano nel film con Raul Bova diretto da Paul W.S. Anderson (lo stesso di Resident Evil) dal titolo “Alien vs Predator”.
Oggi gli esordienti fratelli Strauss si cimentano nel seguito di quella pellicola.

Lo scontro tra le razze aliene di Predator e Aliens questa volta ha come teatro una piccola cittadina americana. Sarà una carnefina...

Inizia come un B-movie di fantascienza degli anni Cinquanta, questo "Aliens vs Predator 2". E mai mossa è parsa più azzeccata. Il film dei fratelli Strauss, che si sono fatti un nome nell'ambiente hollywoodiano soprattutto per aver contribuito alla realizzazione degli effetti speciali di "300", "X-men – Conflitto finale" e "Fantastici Quattro", senza tanti preamboli - e lasciando volutamente lacunosi quelli che inserisce - getta da subito lo spettatore nell'azione. L'astronave con a bordo Aliens e Predator precipita, un padre e un bambino muoiono all'istante dopo essere "venuti in contatto" con gli alieni, e da lì inizia il massacro. Morti ammazzati ovunque, madri che partoriscono “baby-aliens”, esercito americano impotente (e quando mai!), e soliti adolescenti protagonisti di un film che si lascia andare senza scampo a un delirio totale. La regia? Assolutamente non impegnativa e tutta costruita sui luoghi comuni: attesa, notte, luci spente, grida... I dialoghi? Involontariamente comici ("Ma il Governo non farebbe mai una cosa del genere!", afferma uno dei personaggi quando i protagonisti scoprono che la CIA vuole bombardare la città per fermare la proliferazione aliena...). Le idee? Poche, per tutte le razze rappresentate sullo schermo: Aliens, Predator, e umani.

Eppure...

Sarà l'assoluta leggerezza della trama, cui si aggiunge una inverosimiglianza da Oscar. Sarà il cast di attori mai così allo stesso tempo scontati e male assortiti (si va dalla biondina "facile", al burbero uscito di prigione, dalla donna soldato fino al ragazzo delle pizze...). Saranno gli alieni che come al solito lasciano dietro di sé una scia di sangue lunghissima. O ancora saranno le battute involontarie. Insomma, “Aliens vs Predator 2” diverte dall'inizio alla fine.
A patto però che abbiate buoni stomaci, e che non vi aspettiate nulla di più di un ibrido “film-fumetto-videogioco” totalmente azzera- pensieri.

Diego Altobelli (01/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1808

mercoledì 23 gennaio 2008

Mr. Magorium e la Bottega delle Meraviglie

Anno: 2008
Regia: Zack Helm
Distribuzione: Moviemax

Mr. Magorium è il bizzarro padrone di un magico negozio di giocattoli nel centro di Manhattan. Un giorno però l’anziano signore decide di abbandonare questo pianeta e affidare la bottega alla bella Molly Mahoney, sua assistente fidata. Convincerla però di poter continuare l’attività senza di lui non sarà facile…

La bella Natalie Portman, mai così a proprio agio in un film, investe anima e corpo nell'ultima fatica del regista esordiente Zack Helm. Il talento e la bellezza della giovane attrice ben si inseriscono all'interno di una trama fiabesca circondata di trottole, aeroplani di carta, peluche e tutto l'immaginario appartenente ai giocattoli per bambini. L'altra grande stella della pellicola, del resto, non è da meno: Dustin Hoffman, per la prima volta in panni eccentrici e curiosi, modella magistralmente con la mimica e il trucco un personaggio sospeso tra malinconia e sogno. Un venditore di giocattoli che è abbastanza pazzo da credere ai sogni.
Purtroppo la recitazione e l'ottima caratterizzazione dei personaggi principali non riescono a sopperire alle troppe lacune presenti nella sceneggiatura.
Il problema di "Mr. Magiorium" risiede infatti in una fallimentare distribuzione e organizzazione della già fievole trama. Le scene - tutte realizzate con l’intenzione di stupire lo spettatore con la magia degli effetti speciali - paiono collegate male e non ben amalgamate nel flusso narrativo. Ed è così che il film si fa a tratti commedia; in altri dramma esistenziale; e ancora fiaba, e si potrebbe continuare ancora e ancora, senza riuscire, in ultima analisi, a trovare il vero bandolo della matassa. Il punto di partenza del film, o la sua vera conclusione.

"Mr. Magorium e la Bottega delle Meraviglie”, malgrado la generale confusione narrativa, ha il pregio di riuscire a trasmettere quella eccitazione che si provava da piccoli quando, tornando a casa, ancora si pensava ai giocattoli appena visti nelle vetrine dei negozi. Se questo possa bastare a un film, sta a ogni singolo spettatore stabilirlo.

Diego Altobelli (01/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1812

martedì 22 gennaio 2008

Scusa ma ti chiamo amore

Anno: 2008
Regia: Federico Moccia
Distribuzione: Medusa Film

Quando esce un film come “Scusa ma ti chiamo amore”, i critici vanno in un “brodo di giuggiole”. Le ragioni sono diverse: facilità nell’ironizzare sulle scene; stroncatura annunciata e facilitata dal fatto di essere il primo film da regista dell’autore del romanzo; e il fatto di aver riscontrato spesso, in operazioni di questo tipo, una non professionalità nel confezionare il prodotto filmico… Tutti questi elementi, purtroppo presenti nel film di Federico Moccia, tendono a rendere il lavoro di stesura piuttosto facile. Eppure, come diceva Maria Rosa Mancuso in occasione di un’altra recensione, “…qualcosa dobbiamo pur dire, e con garbo”. Quindi accolgo il consiglio della veterana e parto con la vera recensione del film.
Via!

Alex è un pubblicitario che di punto in bianco viene lasciato dalla moglie. La sua disperazione viene meno quando incontra la diciassettenne Niki. Da quel momento la vita di Alex cambia, ritrovandosi innamorato (e braccato) della giovane.

Tentativo nostrano di confezionare una commedia romantica moderna, nello stile di “Love actually”.
Purtroppo, come ci si poteva aspettare, la regia di Federico Moccia è superficiale così come la storia che racconta. Inquadrature fisse e idee registiche che sembrano prese in prestito da “recite scolastiche” (per fare un esempio le protagoniste vengono presentate come se fossero a una sfilata di moda: nome annunciato fuoricampo, ragazza che scende e risale una scalinata). Per sostenere la propria regia, Moccia sovrappone alle immagini di una "Roma-bene" fatta di un pantheon davvero nutrito di modelli presi in prestito dalla televisione, frasi d’amore in stile Baci Perugina (vengono scomodati tutti: da Neruda a Shakespeare). Se poi si nutre ancora qualche dubbio sulla natura giovanilistica della pellicola, interviene la bella voce fuori campo di Luca Ward che - invero questa volta un po’ mellifluo - intende spiegare agli spettatori cos’è l’Amore con la A maiuscola suggerendo: “…l’amore colpisce quando meno te lo aspetti…” e luoghi comuni similari.
Al miraggio di una regia degna di questo nome, si appoggia una sceneggiatura articolata da tanti personaggi che si intersecano e si domandano - ognuno col proprio metodo - cosa sia l’amore. Idea apprezzabile, ma realizzata male e con l’ausilio di battute inefficaci, frasi “fatte”, e atteggiamenti fintamente eclatanti. Cui si aggiunge una recitazione non convincente intenta semmai a sagomare i personaggi che rimangono così ancorati alla leggerezza di fondo.

Infine, nemmeno il montaggio giunge in soccorso della pellicola. Il regista decide infatti - e qui arriviamo al vero nocciolo della questione - di collegare le strade di Roma e le scene che ospitano per una sola ragione: compiacere l’immagine. Ma si badi bene, non l’immagine della pellicola, del Cinema, della celluloide. Piuttosto quella della Società. Federico Moccia infatti non cerca credibilità nel raccontare la sua storia (bella o brutta non vuole essere questo il luogo per giudicarlo), ma tenta di compiacere la sua idea di Società. Fatta di ragazzine pruriginose e superficiali; macchine di lusso; vari personaggi “che fanno cose e vedono gente”; ragazzetti che imitano icone televisive; generale benessere e esteriorità vantata, o ostenta come arma.

Si scopre quindi anche la natura intima della storia raccontata, là dove non si parla di un uomo e una ragazzina (davvero, ragazzina…) che si innamorano. Ma di due adolescenti che si attraggono. Tutti i suoi personaggi sono, in fondo, adolescenti di varia età e (im)maturità.
Non è l’Italia quella che racconta Moccia, e chiunque se ne accorgerebbe, ma la sua Italia. La sua idea di società italiana.

Del resto, a ben vedere, “Scusa ma ti chiamo amore” non è nemmeno un film e tanto meno Cinema, ma la sua idea di ciò.

Quindi nessun rancore e niente di personale, solo ansia che tutto questo Nulla possa essere preso a esempio.

Diego Altobelli (01/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1811