sabato 23 giugno 2007

Spiderman 3

Anno: 2007
Regia: Sam Raimi
Distribuzione: Sony Pictures

"Quanto a lungo un uomo può combattere l'oscurità, fino a trovarle dentro di sé?" con questo ideale incipit si apre il terzo capitolo della saga incentrata sulle avventure del "tessiragnatele di quartiere" più famoso dei fumetti: l'Uomo-Ragno. Per "Spider-man 3" ritroviamo un cast artistico e tecnico praticamente immutato, con una trama però molto più articolata e complessa rispetto ai capitoli precedenti.Nel momento di maggiore grazia nella vita di Peter Parker, alias l'Uomo-Ragno, dato dalla popolarità sempre crescente e una felicità rinnovata con Mary Jane a cui vuole chiedere di sposarlo, precipita sulla Terra un piccolo quanto minaccioso meteorite da cui fuori esce una sostanza nera. Nel frattempo: Harry è deciso a porre la parola fine alla sua disputa contro Peter, colpevole, secondo lui, di avergli ucciso il padre; e un ladruncolo di quart'ordine per sfuggire a un inseguimento con la polizia rimane vittima di un esperimento molecolare che lo rende... di sabbia! Quando Peter scopre che l'Uomo Sabbia altro non è che il vero assassino di suo zio Ben, decide di ricorrere alla sostanza nera che nel frattempo, subdolamente, si è introdotta in casa sua: si tratta di un simbionte alieno che lo rende più forte e aggressivo, aderendo a lui come fosse un nuovo vestito. Per aiutare il giovane eroe però, presto lo stesso alieno chiederà in cambio un prezzo che Peter non sarà disposto a pagare: la sua integrità morale...

Pamphlet gotico del perdono e della ricerca di un equilibrio interiore. Il tema del doppio, nel mondo dei fumetti americani, è sempre stato un ritornello che, di tanto in tanto, ricorreva nelle pagine dei vari eroi cartacei. Gli esempi sono innumerevoli: la pazzia latente di Bat-Man; la kryptonite rossa di Superman; la versione grigia e intelligente di Hulk; la follia omicida di Iron Man; e ovviamente anche Spider-Man con il suo vestito nero. Pare proprio che nessuno sia riuscito a sottrarsi alla logica per cui ad un tratto, nella vita del giovane eroe, si abbatte (proprio come un meteorite dal cielo) il germe della vendetta e del rancore che gli suggeriscono la possibilità di usare i propri poteri per scopi personali. Per fare ciò, Sam Raimi affresca un dipinto di dimensioni colossali, caratterizzato da tonalità gotiche, e puntando in alto, molto più in alto di quanto non abbia fatto per i due capitoli precedenti. “Spider-Man 3” mette in scena un balletto formato da cinque trame apparentemente distinte, ma tutte incentrate su vari aspetti di Peter Parker: abbiamo il rapporto tra lui e Mary Jane; l’arrivo di Gwen Stacy; la storia dell’Uomo Sabbia; l’attacco del simbionte; e ovviamente la resa dei conti tra Peter e Harry Osborn. Tanta carne al fuoco che però, pure se a tratti in affanno, Raimi riesce a non far bruciare nel capiente calderone delle emozioni. Modificando ampiamente (molto più di quanto non avesse fatto in precedenza) la trama originale del fumetto, e giungendo a soluzioni quasi totalmente ex-novo, Sam Raimi stupisce e appassiona confezionando lo spettacolo, nel contempo, con una quantità di effetti speciali (l’Uomo Sabbia e Venom in azione valgono da soli il prezzo del biglietto) che fanno pensare, ancora una volta, che di meglio non si può fare. Unico appunto negativo, dato proprio dalla quantità di note che Raimi decide di inserire sul suo pentagramma, è la sensazione, a volte, di far risuonare un po’ bruschi (stonati) certi passaggi, o svolte narrative, che paiono sopraggiunti senza il giusto respiro. Tale sensazione negativa, comunque, non mina certamente lo spettacolo: unico, nel suo genere e non, per quantità e qualità.

“Spider-Man 3” è un altro gioiello visivo che si aggiunge alla ormai lunga lista di titoli tratti dai fumetti usciti negli ultimi anni. Sorretto saldamente da un cast impegnato, questa volta, a interpretare parti non più così scontate come nei precedenti capitoli (Tobey Maguire e James Franco bravissimi), e firmato dalla sensibilità visionaria di un Raimi che riesce a rendere lo stesso film un “vestito nero”, un doppio negativo, del secondo capitolo, la pellicola si rivela essere un vero e proprio film d’autore. Forse non il migliore della saga (per i motivi già detti sopra), ma probabilmente, dei tre, quello più intimamente “Raimiano”. Splendido.

Finchè nozze non ci separi

Anno 2007
Regia: Julie Lipinski
Distribuzione: Officine Ubu

Ci sono pellicole che, inaspettatamente, come giovani eroi senza alcuna speranza di vittoria sul nemico, riescono a ergersi sopra a tutto e a tutti dimostrando di possedere una grande forza, carattere e la giusta volontà per imporsi. Questo è il caso di “Finchè nozze non ci separino”, prima pellicola della esordiente Julie Lipinski, premiata insieme a Laurent Tirard come miglior film e miglior sceneggiatura alla settima edizione del Miff 2007, Festival Internazionale del Cinema di Milano.

Storia semplice come quelle raccontate dai bambini: Arthur e Lola decidono, in seguito alla notizia del matrimonio di loro due cari amici, di convolare a giuste nozze anche loro. Pur tra mille indecisioni e paure, Arthur finisce per cedere: ma è solo il primo passo verso tutta una serie di disavventure che metteranno in vera crisi il suo rapporto con Lola...

Ci sono storie di registi famosi, supportati da produzioni altissime e cast da capogiro; ma ci sono anche storie più sommesse, raccontate a voce alta tra gli amici in un pub, in cui si è riusciti a compiere un piccolo ma significativo gesto dimostrativo: esagerando, una sorta di miracolo. E’ il caso di questo “Finchè nozze non ci separino” che con una produzione modesta, franco-belga, ed una trama che si discosta da ogni tentativo di voler essere avvincente, riesce a distinguersi dal panorama delle commedie giovanili su matrimoni e complicazioni: sceneggiatura ispirata, ma mai artificiosa; regia attenta, ma non intimorita; e cast giovane caratterizzato da visi espressivi e vivaci. Porta bandiera.

La pellicola di Lipinski, grottesca e ironica, si districa bene tra parenti impiccioni e sconosciuti; preparativi al limite dell’assurdo; passati che ritornano sconvolgendo le personalità dei protagonisti; e coppie che si sgretolano alle prime luci dell’alba. Cronaca di oggi.

Un film destinato forse a riscuotere più successo nell’Home Video che nelle grandi sale; conteso tra riflessione sull’oggi di coppia e mera commedia comica; “Finchè nozze non ci separino” riesce comunque a piacere e a raccontarci una bella favola di Cinema. Grazioso.

Diego Altobelli (06/2007)
estratto da www.filmup.com

Io e Beethoven

Anno: 2006
Regia: Agnieszka Holland
Distribuzione: Nexo

Il Cinema rincorre la Musica nata dal genio di Ludwing van Beethoven: lo segue, lo accerchia, lo acchiappa e infine lo lascia andare verso la libertà morale e creativa, la stessa che ha caratterizzato il maestro.

Anna Holts è una copista cui viene affidato, piuttosto fortuitamente, un lavoro importantissimo: affiancare Beethoven nella copiatura degli spartiti per la Nona Sinfonia. L’incontro non è dei più facili, ma tra i due si instaura, a poco a poco, una sintonia e un’affinità elettiva che porterà entrambi ad una nuova consapevolezza di sé.

Agnieszka Holland, nota non a tutti per “Il giardino segreto” e “Europa Europa”, si lancia in questa produzione ambiziosa quanto ammirevole: realizzare una pellicola sugli ultimi anni della vita di Beethoven, fondendo elementi biografici ad altri romanzati: lo stesso personaggio di Anna Holts ad esempio (interpretata dalla bellissima Diane Kruger) è di pura fantasia, ispirato, semmai, a fatti e circostanze citate poi nella pellicola. Regia di maniera quella della Holland, tutta concentrata ad accompagnare le note del maestro con le immagini, a volte tentando scapestrati “rallenty” in stile video clip. E’ però il talento, e una buona dose di esperienza, a salvarla in corner dal precipitare vorticosamente nei campi del cinema sperimentale. Nella scena più importante del film, quella della Nona Sinfonia della durata di quasi dieci minuti, riesce molto bene nel connubio musica/immagine che per tutta la pellicola rimane il leit motiv del suo lavoro. Lucida.

Ed Harris grandioso nei panni di Beethoven: interpretazione eccellente e non semplice che riesce a catturare e appassionare, facendo avvicinare lentamente lo spettatore ai turbamenti interiori vissuti dal musicista: molti dei quali, è bene ricordarlo, dovuti alla sua sordità. Sdoppiamento.

La musica come voce di Dio, la realizzazione di questa come eco delle sue parole. Beethoven amava scherzare molto con oltraggiosi e blasfemi paragoni tra lui e Dio. Odiava la sua incapacità di ascoltare le sue note, le stesse che nelle ultime opere dichiarerà essere rivolte ad epoche future. Ed era libero, primo musicista in assoluto a non avere obblighi verso clero o signori dell’epoca. Tutti questi elementi, e molti altri, emergono nella pellicola della Holland e il suo “Io e Beethoven” risulta così un complesso affresco storico/musicale. Non perfetto, certo, come la musica del maestro, ma con essa condivide il gusto fine per la libertà. Un’immagine sfuggente come una nota su un pentagramma. Discreto.

Diego Altobelli (06/2007)
estratto da www.filmup.com

TMNT – Teenage Mutant Ninja Turtles

Anno: 2006
Regia: Kevin Munroe
Distribuzione: Warner Bros.

Diretto dal poliedrico Kevin Munroe, che ha nel suo curriculum collaborazioni e produzioni nel campo dei videogame, dei fumetti, dell’animazione e del cinema, tornano, urlando, le quattro tartarughe ninja più divertenti del mondo dell’animazione.

E’ passato del tempo dall’ultima avventura delle quattro tartarughe ninja: Leonardo si è ritirato in allenamento solitario in sud America; Michelangelo fa l’animatore nelle feste dei bambini; Donatello è un operatore di call center; e Raffaello combatte il crimine in solitario, la notte, travestito da super-eroe. Un gruppo smembrato alle fondamenta e auto esiliatosi nel sottosuolo dovrà, però, fronteggiare l’arrivo imprevisto di una nuova minaccia che giunge dal passato di ben 13 mila anni fa. Riusciranno le quattro tartarughe ninja a ritrovare la forza e la fiducia nel proprio gruppo e a sconfiggere il male?

Con un look grafico molto simile a quello visto ne “Gli Incredibili” della Pixar, il nuovo cartone animato in CGI dal titolo “TNMT” è un vero e proprio intrattenimento visivo. Bellissime ambientazioni, con la città di New York che vive di luci e sporcizia; buona la sceneggiatura, che attinge a elementi magici (richiamando in pieno gli anni ’80 dei “Ghostbuster” o di “Grosso guaio a Chinatown”) riesce a regalarci una trama non scontata e dai risvolti cupamente affascinanti (il combattimento tra Raffaello e Leonardo profuma di epico); e regia ispirata per un prodotto che poteva tranquillamente passare inosservato e che invece regala divertimento e azione per tutte le età. Dinamico.

Certo: credere all’idea di quattro tartarughe mutate in ninja senzienti è sempre stato un po’ difficile, ma fortunatamente la pellicola sorvola su questo aspetto, e su molti altri fin troppo fantasiosi presenti alla base dell’idea originale e, sfruttando proprio la CGI, riesce a infondere nuova vita, trovandola proprio dal nuovo supporto visivo, alle “Teenage Mutant Ninja Turtles”. La CGI riesce quindi, in modo piuttosto imprevisto, a rendere credibile un’idea che, diciamocelo pure, credibile non è mai stata neppure nei cartoni animati. Imprevisto Frankeinstein.

Ma non lasciatevi ingannare dai pregiudizi: il nuovo film delle Ninja Turtles è una fresca sorpresa pre-estiva. Mantiene lo spirito visionario della serie a fumetti del 1984, ma riesce anche a narrare una nuova origine, un po’ come è avvenuto per altre pellicole come “Bat-Man Begins” o “Superman - The return”, offrendo qualcosa di nuovo anche all’appassionato della serie.
Divertente, scanzonata, roboante sequenza di combattimenti e battute a raffica. Efficace.

Diego Altobelli (06/2007)
estratto da www.filmup..com

venerdì 22 giugno 2007

Les choristes - I ragazzi del coro

Anno: 2005
Regia Christophe Barratier
Distribuzione: Filmauro

Nel 1949, Clément Mathieu, un ex-insegnante appassionato di musica rimasto senza lavoro, viene assunto come sorvegliante in un istituto di rieducazione minorile. Ma ben presto si rende conto che il sistema educativo vigente nell'istituto è terribilmente repressivo per i giovani ragazzi. Quando capisce che il direttore Rachin non intende cambiare metodi educativi, il quarantenne sorvegliante si improvvisa insegnante di musica e, attraverso il canto e l'organizzazione di un coro, riuscirà a rendere la vita degli alunni più facile da affrontare.

E' il primo lungometraggio di Christophe Barratier, chitarrista di formazione classica con una laurea di concertista. La sua prima esperienza cinematografica è molto recente e risale al 2001, quando gira un cortometraggio tratto da un racconto di Maupassaunt, Les Tombales. Ha al suo attivo il merito di aver prodotto i documentari: Microcosmos, Himalaya, e Il popolo migratore per la casa di produzione Galatée Films. Per Les choristes ha già vinto il premio CGS al Giffoni Film Festival 2004.

La trama del film è ricollegabile a produzioni come L'attimo fuggente o Scoprendo Forrester, di cui mantiene il fine ultimo di raccontare "delicatamente" le confusioni emotive di bambini prodigio in piena età adolescenziale. Il film, pur avendo un'ottima fotografia, luminosa e nitida, ed un montaggio perfetto tra musica e immagini, motivi questi che lo porta ad avere una candidatura agli oscar 2004 come miglior film straniero, non riesce a penetrare fino in fondo nell'animo dello spettatore, risultando solo "piacevole" e nulla più. La storia, pure con l'escamotage di essere raccontata in flash-back, purtroppo risulta debole e fine a se stessa, piena di buoni sentimenti e retoriche buoniste. Insomma è un film "furbo" che dal punto dal punto di vista puramente tecnico è innegabilmente ben realizzato, il cui giudizio però viene minato, in ultima analisi, da una trama che pare avere fini esclusivamente educativi senza possedere un più intenso significato sottotestuale.

Diego Altobelli (03/2005)
estratto da www.tempimoderni.com

Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi

Anno: 2005
Regia: Brad Silberling
Distribuito da: United International Pictures

Favole moderne dall'ambientazione gotica: i libri di Lemony Snicket sono diventati ben presto degli oggetti di culto in America, e nel mondo le "sfortunate" vicende degli orfani Beaudelaire sono entrate nel mito letterario giovanile, al pari di testi come Il mago di Oz o Alice nel paese delle meraviglie. In questa prima versione cinematografica ci pensa Brad Silberling (già autore di Casper e Moonlight Mile) a prendere le redini dei primi tre libri di Lemony Snicket e a farne un lungometraggio, sfruttando una regia dedotta dalla "scuola" di Tim Burton.

I giovani ragazzi Beaudelaire sono dotati di straordinario talento e acume intellettuale: Violet, la più grande, è capace di inventare più o meno qualunque cosa con qualunque oggetto; Klaus, il medio, possiede una conoscenza letteraria pressoché sconfinata; e Sunny, la più piccola, ha due incisivi capaci di addentare e staccare qualunque cosa... Un giorno però, i tre si ritrovano orfani: la loro casa è bruciata misteriosamente lasciando solo un briciolo di macerie. Solo quando i ragazzi vengono affidati alle cure del Conte Olaf, scoprono che dietro la morte dei loro genitori si cela un terribile segreto...

Catalizzatore: Lemony Snicket- Una serie di sfortunati eventi rapisce l'attenzione del pubblico e ne cristallizza i ricordi. Nel film il regista Silberling è riuscito a recuperare perfettamente le atmosfere dei libri con la cooperazione del lavoro di fotografia e sceneggiatura che si pongono, insieme alla regia, su ottimi livelli qualitativi. Jim Carrey la fa, ovviamente, da mattatore attingendo a tutta la sua esperienza di caratterista, ma anche i giovanissimi interpreti dei fratelli Beaudelaire non sono da meno e riescono a reggere il confronto con mostri sacri come lo stesso Carrey o Meryl Streep, letteralmente splendida. Lemony Snicket è un film da gustare, vedere e rivedere, nel religioso silenzio della sala.

Diego Altobelli (03/2005)
estratto da www.tempimoderni.com

Kiss kiss Bang bang

Anno: 2005
Regia: Shane Black
Distribuito da: Warner Bros. Picture Italia

Durante la fuga da dei poliziotti che lo hanno beccato rapinare un negozio di giocattoli durante la notte, Harry Lockhart si intrufola di soppiatto a un provino per attori emergenti. A sorpresa viene ritenuto idoneo per la parte e, nel giro di un paio di giorni, catapultato nel magico mondo della Los Angeles - vip. Tra feste private e discoteche esclusive a Harry viene affiancato "Gay Perry", un affascinante investigatore privato gay, che ha il compito di insegnargli il mestiere per prepararlo a entrare meglio nella parte per il suo prossimo provino. Ma i problemi non tardano ad arrivare, soprattutto quando Harry incontra una sua vecchia amica, Harmony, che finisce per coinvolgerlo in un ambiguo caso di suicidio. A Harry non serve altro che convincere Perry ad aiutarlo nell'indagine...

E' un mezzo esordio alla regia quello di Shane Black, che debutta ufficialmente con questo "Kiss Kiss Bang Bang" ma che può contare su un curriculum che lo ha visto scrittore della sceneggiatura di "Arma letale" e collaboratore alla regia per il suo sequel del 1989. La sua regia è un tributo a diversi generi e a diversi film: da "Pulp fiction" a "L'ultimo dei boyscout", di cui ha scritto soggetto e sceneggiatura, la pellicola si muove frenetica seguendo una trama sì avvincente, ma che risulta, a lungo procedere, un po' sconclusionata. Pur possedendo un buon ritmo infatti, con attori in parte e pure affiatati, così come avveniva nei vari "Arma letale" e "L'ultimo dei boyscout", il film pare a volte perdere il giusto filo narrativo, presentando scene e situazioni che trascendono l'elemento paradossale, pure desiderato dal regista, risultando inconseguenti.
Comunque "Kiss Kiss Bang Bang" diverte, pur non appassionando, con i suoi continui richiami alla letteratura noir e al genere pulp: complici anche due bravi attori che si divertono a vestire i panni di due improbabili detective romantici e a rilanciare un genere davvero inflazionato.
Un film disimpegnato dunque, per un debutto alla regia forse non del tutto convincente.

Diego Altobelli (12/2005)
estratto da www.tempimoderni.com

Hitch - Lui sì che capisce le donne

Anno: 2005
Regia: Andy Tennant
Distribuzione: Columbia Pictures

La nuova commedia di Andy Tennat, già regista di "Anna and the king" e "La leggenda di un amore, Cinderella", in America ha sbancato tutti i botteghini inserendosi nella classifica dei film più visti delle ultime settimane. In Italia minaccia di avere lo stesso consenso di pubblico.

Alex "Hitch" Hitchens è tutto ciò che un uomo vorrebbe essere: bella presenza, risposta sempre pronta, una bella casa, dei vestiti alla moda, e la capacità di fare sempre la mossa giusta con qualsiasi donna... Ma Hitch ha deciso di condividere il suo talento con il resto del mondo così, tra l'anonimato e il passa parola, viene contattato da uomini innamorati per avere consigli su come conquistare la donna dei loro sogni. Ma quando la strada di Hitch si incrocia con quella di Albert, la situazione cambia: per Albert infatti conquistare Allegra Cole, una bella ereditiera, non sarà facile, anche a causa di Sara Melas, bella e cinica giornalista d'assalto che si metterà sulle loro tracce...

Segno dei tempi che cambiano: Hitch è la prova vivente che qualcosa di grosso è successo sul piano sentimentale tra l'uomo e la donna negli ultimi 20 anni. Anche sul piano di puro Cinema: se Bridget Jones, corrispondente femminile di Albert, può riuscire a trovare l'amore contando solo su se stessa, ai maschietti di tutto il mondo è necessario contattare un consulente... Comunque la nuova impresa visiva di Andy Tennant è dinamica: diverte e incuriosisce per la verosimiglianza delle situazioni rappresentate, con la realtà di tutti i giorni. Solo a tratti si ha la sensazione che la sceneggiatura perda un po' di lucidità e cada in confusione narrativa, ma è una sensazione sfuggevole e che non mina il prodotto finale. Divertente, illuminante e con attori in parte: un film per giovani coppie e single incalliti...

Diego Altobelli (03/2005)
estratto da www.tempimoderni.com

Hero (Ying xiong)

Anno: 2004
Regia: Zhang Yimou
Distribuzione: Eagle Pictures

Dal 475 al 221 a.C. il territorio cinese fu diviso in sette regni: Qin, Zhao, Han, Wei, Yan, Chun, e Qi. Definito come il periodo degli “stati combattenti”, fu un’era fatta di massacri senza pietà e intrighi di ogni genere. Mentre però tutti i regni lottavano per imporre il proprio potere l’uno sugli altri, uno solo, l’impero dei Qin, guidato da un uomo descritto come uno spietato e brutale tiranno, lottava seguendo un sogno, una meta: l’unificazione della Cina “sotto un solo cielo”…

In questo momento storico fatto di distruzioni, ma anche di grande fioritura culturale (solo nel 472 a.C. moriva Confucio, dando vita al sistema morale noto come Confucianesimo), si alternano le vicende, in precario equilibrio tra verità e leggenda, di Senza Nome uno spadaccino viaggiatore che, dopo aver ucciso tre tra i più feroci persecutori del Re, ottiene di essere ricevuto a Palazzo per raccontare la sua storia al cospetto dell’Imperatore. Indicando le armi dei suoi assassinati come prova del suo successo, Senza Nome ottiene oro, terre e, soprattutto, la possibilità di avvicinarsi al Re di dieci passi in più per ogni combattimento vinto. Un onore riservato a nessun altro prima d’ora. Arrivato a dieci passi dall’imperatore, però, quest’ultimo gli intima di fermare il suo racconto: la storia narrata da Senza Nome fino a quel momento ha più di una lacuna. Il Re allora dà la sua versione dei fatti, spiazzando il giovane eroe…

La simmetria come meta culturale, come simbolo di una cultura pericolosamente in equilibrio tra la grandiosità della sua terra e un potere difficilmente gestibile. Un potere troppo grande, quello della Cina, per durare a lungo: giusto il tempo di un racconto, sorseggiando un thè con l’Imperatore. Zhang Yimou (regista del premiato “Lanterne rosse”, ma anche dello straordinario racconto di formazione “Non uno di meno”) è il primo della classe in un film fatto solo di prime donne: tutti artisti famosi e premiati sia in patria, la Cina, sia all’estero, dal vecchio continente fino a Hollywood. La fotografia, la scenografia e naturalmente la regia rasentano la perfezione, accompagnati da una recitazione non essenziale, ma sostanziale. E se i meravigliosi combattimenti, in una storia fatta di echi lontanissimi e visionari, sono il riflesso dei cinque elementi naturali descritti dal Confucianesimo, la vicenda pare strizzare ambiguamente l’occhio al nostro periodo storico: l’unificazione “sotto un solo cielo”, sprovvisto però, adesso come ai tempi dei Qin, di un vero eroe…

Diego Altobelli (10/2004)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1020

Hellboy

Anno: 2004
Regia: Guillelmo del Toro
Distribuzione: Columbia Pictures

La ricetta per realizzare un film da botteghino? Prendete un gruppo di eroi in stile X-men, una manciata di mostri dal mito di Chtulu, alcuni nazisti usciti dalla saga di Indiana Jones, un eroe a metà strada tra Wolverine, Frankenstein e Arnold Swarzeneger e mischiate tutto con un’abbondante dose di effetti digitali e tanta, tanta, oscurità, come suggerisce una tendenza hollywoodiana vista negli ultimi anni. Confusi? Questo è Hellboy, l’ultimo film diretto da Guillelmo del Toro già regista di Blade II e che quindi in qualche modo conferma di amare il genere del cinema dei fumetti.

Tratto dal fumetto di Mike Mignola, che di questo film è anche produttore esecutivo, la storia narra di Hellboy (Ron Perlman) un essere che, dopo essere stato richiamato accidentalmente da un’altra dimensione durante un esperimento nazista nel corso della seconda guerra mondiale, viene allevato dal prof. Broom (John Hurt) per sviluppare i propri poteri e combattere le forze del male. Nella sua guerra Hellboy sarà fiancheggiato da Abe Sapien (Doug Jones), un essere metà uomo e metà pesce dai poteri telepatici, e da Liz Sherman (Selma Blair), ragazza dal devastante potere pirocinetico. Insieme, e guidati dal giovane John Myers (Rupert Evans, al suo debutto sul grande schermo), dovranno fronteggiare la minaccia rappresentata da Grigori Rasputin, non-morto che trama di risvegliare le sette divinità del caos e dominare così sulla Terra.

Hellboy è un giocattolo. Divertente, spettacolare, costoso, ma anche ripetitivo, fragile e inanimato. Gli elementi narrativi usati per suscitare interesse nello spettatore risultano essere veramente troppi e variamente confusi, tanto che alla fine dello spettacolo si ha la sensazione di aver visto tante piccole storie non pienamente sviluppate malgrado, oltretutto, l’eccessiva durata del film. Durante la proiezione l’interesse va scemando nelle lunghe pause tra un combattimento e l’altro, aspettando con ansia la prossima scena d’azione per risistemarsi in posizione eretta sulla poltrona. E’ un film grondante di elementi interessanti e di grande impatto visivo ma manca di un’anima narrativa, un cuore che lo faccia pulsare autonomamente senza l’aiuto stanco del proiettore. Un così ampio campionario di effetti avrebbe avuto bisogno di una storia più solida e personaggi meno stereotipati. Grande spettacolo, mediocre la resa, insomma. Se amate il genere fumettistico e non avete visto Spiderman 2, correte a vederlo; se invece avete già visto il tessiragnatele in azione e desiderate passare un’altra serata con un film a fumetti senza aspettarvi nulla di ambizioso, comprate dei pop-corn, sedetevi e godetevi lo spettacolo.

Diego Altobelli (09/2004)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1013

Palle al balzo - Dodgeball

Anno: 2004
Regia: Rawson Marshall Thurber
Distribuzione: Twentieth Century Fox

L'idea è effettivamente geniale: fare un film sul gioco della "Palla-avvelenata" è quanto di più demenziale si possa concepire. Ben Stiller ci prova ancora una volta confermando il suo talento di attore comico e, dopo il riuscito Starsky e Hutch, produce Dodgeball un film sicuramente "minore", ma che non lesina risate e momenti esilaranti. Accompagnato da un Vince Vaghn, piuttosto "nella parte", e da una Christine Taylor, che si ricorda per molte comparsate in diverse altre commedie, il film si distingue dalle altre produzioni di Stiller per un umorismo più intelligente e spontaneo.

Peter La Fleur è il bonario proprietario della Pinco Pallino Joe's, una palestra per squattrinati poco frequentata e sull' orlo del fallimento. La modesta palestra di Peter però attira le attenzioni di White Goodman, suo ex-collega e proprietario ora della Globo Gym, una sorta di grande paradiso per il fitness, pieno di comodità, confort, e ricercatissima da tutti coloro che amano avere un fisico scolpito. Quando White decide di rilevare la Pinco Pallino Joe's, Peter deve impedirglielo e per riuscirci gli servono 50.000 dollari... ma dove trovare una tale cifra? Affiancato dal manipolo di uomini che compone la clientela della sua dimessa palestra e dalla affascinante e idealista avvocatessa Kate Veatch, Peter decide di partecipare ad un torneo di Dodgeball allo scopo di vincere l'ingente somma di denaro e sconfiggere la Globo Gym una volta per tutte.

Al suo debutto alla regia Thurber centra in pieno tutti i suoi avversari: Palle al balzo-Dodgeball è un film spassoso, esilarante e demenziale. Alcune scene sono da incorniciare al fianco di titoli come L'aereo più pazzo del mondo o Frankenstein Junior tanto sono divertenti e paradossali, e tutta la vicenda è un crescendo di risate ininterrotte. Il film entusiasma e Ben Stiller firma White Goodman come uno dei più divertenti cattivi della storia del cinema. Una sorpresa.

Diego Altobelli (11/2004)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1045

Garfield

Anno: 2004
Regia: Pete Hewitt
Distribuzione: 20th Century Fox

Creato da Jim Davis nel … il cinico gatto Garfield prende vita in una versione cinematografica adatta ai più piccoli e meno agli adulti. La voce di Fiorello

Garfield è un grosso gatto arancione, pigro e chiattone, amante soprattutto di televisione; poltrone; e lasagne. Un giorno il suo padrone Jon (Breckin Meyer), per conquistare il cuore della veterinaria Lisa (Jennifer Love Lewitt), di cui è innamorato dai tempi del liceo, porta a casa un cane di nome Odie. La vita di Garfield è così sconvolta da questa sorpresa e, dopo un breve periodo di convivenza con il piccolo bassotto, una notte decide di giocargli un brutto scherzo: lo lascia dormire fuori casa. Il mattino seguente però, di Odie non v’è traccia. Scoperto che il cucciolo è stato rapito da Felice Chapman (Stephen Tobolowsky), presentatore televisivo senza scrupoli, Garfield, divorato dai sensi di colpa, sente di doverlo salvare.

Il film si apre con uno stile che ricorda le strisce a fumetti a cui si ispira. Le brevissime sequenze che danno un idea molto chiara della natura del personaggio principale e del mondo in cui vive lasciano ben presto il posto ad una trama troppo banale e prevedibile, intervallata soltanto da un paio di stacchetti musicali in stile Walt Disney della vecchia guardia, e che mi sembra snaturino un po’ la natura del personaggio principale: Garfield.. A dargli vita sul grande schermo è Dean Cundey, che aveva già curato gli effetti speciali di “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, con l’aiuto del supervisore alle animazioni Chris Bailey e il team per gli effetti visivi Rhythm e Hues. Il risultato finale è stupefacente: il gatto arancione interagisce con persone e animali in carne ed ossa in maniera perfetta, tanto che ben presto ci si dimentica del fatto che è completamente generato e animato al computer. A far da spalla al protagonista troviamo un’adorabile Love Lewitt e un Breckin Meyer perfetto nell’interpretare il “tipo qualunque”, accompagnati entrambi dal cane Odie e dal cattivo fin troppo poco credibile Tobolowsy.

Diego Altobelli (09/2004)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1007

Chicken Little – Amici per le penne

Anno: 2005
Regia: Mark Dindal
Distribuzione: Buen Vista International

E' passato un anno da quando il piccolo Chicken Little ha diffuso il panico nella cittadina di Querce Ghiandose affermando, tra la paura generale, che l'intero villaggio sarebbe stato distrutto da una ghianda gigante proveniente da cielo. Da quel momento Chicken Little viene tacciato da tutti come un racconta storie e nessuno, nemmeno suo padre, crede più a quello che dice. Per recuperare il rispetto perduto, Little si iscrive al club di baseball della scuola e, inaspettatamente, riesce a portare in gloria la squadra. Finalmente la vita del giovane pollo pare avere una svolta ma ecco che, di ritorno a casa, qualcosa gli cade in testa dal cielo... e stavolta non sembra una ghianda...

Primo film della Walt Disney Picture interamente animato e generato al computer con la tecnica della computer grafica, "Chiken Little –Amici per le penne" utilizza una rivoluzionaria tecnica d'animazione 3D in digitale. Dopo cinque anni di lavorazione l'ultimo lavoro della Disney si presenta con una trama che ricalca, in modo ironico e volutamente superficiale, "La guerra dei mondi", affiancata da una regia più dinamica e frenetica rispetto ad altri titoli d'animazione. La scena iniziale di panico in città, ad esempio, si ricorda per la peculiarità di essere girata come fosse ripresa con la tecnica della camera a mano, soluzione insolita per un film in CG.
Il cast tecnico, davvero valido, ha lavorato in gran parte a "Le follie dell'imperatore" del 2000 e targato sempre Disney, che con questo "Chicken Little" condivide un senso dell'umorismo più pungente e adulto.
Unica nota dolente di un film comunque divertente e godibile va alle voci e al doppiaggio italiano. Pur riuscendo ad essere all'altezza della situazione le voci italiane del film non convincono del tutto, e non ci spieghiamo come mai non vengano mai scelti doppiatori professionisti invece che personaggi presi da fiction televisive, reality, vari programmi comici o, addirittura, dalla politica...
Comunque film coinvolgente e, sotto il punto di vista tecnico, innovativo "Chicken Little – Amici per le penne" si lascia guardare anche grazie a personaggi, una volta tanto, davvero ispirati.

Diego Altobelli (12/2005)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1424

Catwoman

Anno: 2004
Regia: Pitof
Distribuzione: Warner

Non credo che Bob Kane avesse in testa questo, quando, nel 1940, creò Selina Kyle, alias Catwomen, la nemica- amante numero uno di Batman dell’universo fumettistico D.C.. Per questo film alla regia abbiamo Pitof, autore francese che ha al suo attivo: “Vidocq”, fumettone di scarso richiamo; l’aiuto alla regia di “Alien- la clonazione”; e varie collaborazioni con registi come Wim Wenders, Luc Besson e Lars Von Trier.

In questa trasposizione cinematografica assistiamo alla vicenda di Patience Philips (Halle Berry) una ragazza che lavora senza successo come grafica pubblicitaria per una compagnia di cosmetici. Una notte la giovane scopre che la prossima crema di bellezza anti- età che la compagnia vuole mettere sul mercato è in realtà un farmaco che sì ringiovanisce la pelle, ma dà anche dipendenza. Senza di essa la pelle degenera fino a far diventare chi la usa un vero mostro. Quando Patience si fa scoprire maldestramente dalla cattiva di turno (Sharon Stone) nei laboratori della compagnia, viene messa a tacere nella maniera più classica. Per fortuna però rinasce poco dopo, baciata dall’alito della vita di un misterioso gatto magico, come Catwomen.

Pitof punta, con le sue vorticose riprese a volo d’uccello, ad una spettacolarizzazione del nulla. L’intento è quello di rendere interessanti e coinvolgenti tutte, e sottolineo tutte, le scene passando dal primissimo piano al campo lungo in movimento circolare, rapido e frenetico… il risultato è un discutibile delirio filmico a metà strada tra un videoclip di Britney Spears e uno spot pubblicitario per un videogioco. Sappiamo che il regista è stato uno sperimentatore della grafica per computer, e riconosciamo che alcune riprese risultano pure evocative, come quella della rinascita di Patience che la vede risalire il pendio di una discarica circondata da gatti, ma purtroppo tali scene si sposano male con la natura del film stesso, che oltretutto risulta troppo lungo e prevedibile. Se la precedente Catwomen del grande schermo interpretata da Michelle Pfeifer, che appare nel film ritratta in una foto, risultava più tenebrosa e schizofrenica in perfetta sintonia con l’animo tormentato di Batman, in questa versione Pitof ne fa un personaggio a metà strada tra una adolescente insicura e una pop star, dimenticandosi persino che l’universo narrativo di cui il personaggio è figlia è lo stesso appartenente al più famoso uomo- pipistrello. Infine neppure l’interpretazione di Halle Berry - con tutto l’impegno non risulta credibile nella parte - e della più esperta Sharon Stone – che pare essere l’unica a credere nella trama - riescono a risollevare le sorti di un film che si arrende al carisma di ben altri personaggi fumettistici prima ancora di indossare il provocante costume.

Diego Altobelli (09/2004)

Hostel - part 2

Anno: 2007
Regia: Eli Roth
Produzione: Sony Pictures

Hostel 2 inizia dove si era concluso il primo capitolo. Stavolta tre ragazze americane si mettono in viaggio verso le fascinose terre dell’Europa dell’Est. Esse diverranno presto le ignare vittime di un’organizzazione segreta, atta alla vendita di corpi umani...

Grazie a un maggior impegno e, probabilmente, a un budget più alto, Eli Roth, nuovamente alla guida della pellicola, riesce a tratteggiare un film dalla forte impronta politica. Il regista ritorna volutamente agli anni Settanta, periodo al quale si ispira con ripetuti omaggi (la comparsa di Edwige Fenech e Luc Merenda sono solo la punta dell’iceberg) per criticare aspramente il sistema americano, fatto di consumismo sfrenato. Quella di Eli Roth, senza mezzi termini, è una vera e propria critica politica: una pellicola che, come avveniva proprio in molti film degli anni Settanta, dietro la facciata di una trama scarna, cela dunque una denuncia sociale.

Hostel 2 decolla lentamente con connotazioni da thriller, prendendosi tutto il tempo necessario per indagare sui risvolti del primo capitolo e introdurre, senza lasciare nulla al caso, tutti gli elementi del secondo. Un horror vero e proprio, pieno di momenti splatter, nel quale, pare suggerci l’autore, l’unico modo per salvarsi dalla “società” è accettarne le regole.

Diego Altobelli (06/2007)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1710