venerdì 14 settembre 2007

L'ultima legione

Anno: 2007
Regia: Doug Lefler
Distribuzione: 01 Distribuzione

V sec. d.C. In seguito all'attacco dei Goti, Roma cade e il giovane imperatore Romolo Augusto è confinato a Capri. Aurelio, comandante di un manipolo di guerrieri fedeli a Roma e all'imperatore, organizza così una missione di salvataggio.
E' l'inizio di una grande avventura alla scoperta di un antico mito...

Tratto dall'omonimo romanzo di Valerio Massimo Manfredi, "L'ultima legione" prende spunto da un episodio vero della storia dell'impero romano d'Occidente, per collocare storicamente il mito di Re Artù. Come però accadeva per "King Arthur", pellicola diretta da Antoine Fuqua nel 2004, anche in questo caso il risultato è poco avvincente e si finisce per sorridere all'involontaria comicità del soggetto e dei personaggi. Ben Kingsley nei panni di un "Gandalf di noantri"; Colin Flirth a vestire quelli di un comandante senza passato e, "ahinoi", senza futuro; la guerriera Aishwarya Rai, invece, bella e "impossibile", nel senso che nulla di quello che fa nel film è anche solo lontanamente plausibile. Insieme, compiono un viaggio da Capri alla Britannia riassunto in trenta secondi netti di girato: disastro.
Si salva la ricostruzione storica, piuttosto curata, ma anche perchè supervisionata da Valerio Massimo Manfredi, autore dell'ottimo romanzo.

Il passaggio da libro a film risulta sempre, in un modo o in un altro, una operazione traumatica. In questo caso però si esagera, e si assiste a una vera e propria amputazione narrativa operata su più fronti. Questo rende il film "L'ultima legione", diretto senza emozione da Doug Lefler, un mero prodotto di “serie b”.

Diego Altobelli (09/2007)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1732

mercoledì 12 settembre 2007

I Simpson - Il film

Anno: 2007
Regia: Dan Castellaneta
Distribuzione: 20th Century Fox

Dopo diciotto stagioni e innumerevoli riconoscimenti, giunge nelle sale l'atteso film di una delle serie televisive più amate di tutti i tempi: I Simpson. Precedentemente annunciata nel 2001 e poi rimandata per motivi di produzione, oggi si può tranquillamente affermare che la pellicola diventerà un sicuro “cult” di animazione comica.



L'eccessivo utilizzo del lago di Springfield a enorme discarica, ha irrimediabilmente compromesso l'equilibrio naturale della zona. Per rimediare a una catastrofe ambientale l'EPA (Ente per la Protezione Ambientale) serra l'intera cittadina all'interno di una cupola infrangibile. Toccherà ai Simpson tentare di liberare Springfield, e salvarla dagli intenti governativi che minacciano di cancellarla dalle cartine geografiche...

Diretto con brio energico, ma poco ispirato sul piano delle idee da Dan Castellaneta, "I Simpson - Il film" riesce comunque ad essere un vero e proprio concentrato di comicità. Alla sceneggiatura troviamo ben undici nomi storici, tra cui spiccano James L.Brooks e Matt Groening, di scrittori che hanno partecipato alla produzione della serie fin dalla prima puntata. Il loro lavoro, che amalgama elementi di satira politica e religiosa ad altri di puro intrattenimento narrativo, negli anni non è cambiato e assicura uno script di grande esperienza: la stessa che porta la sceneggiatura a dimesticarsi con disinvoltura nel difficile utilizzo dei tempi comici.

"I Simpson - Il film" pur utilizzando, rimaneggiate, gag già viste sul piccolo schermo e un plot narrativo piuttosto semplice, forse troppo, è certamente il film più divertente della stagione. Più incisivo di vecchie pellicole dello stesso filone come "South Park", e anni luce lontano da quella comicità demenziale e senza senso che ha caratterizzato il cinema comico americano degli ultimi anni. Un film da vedere, e che diverte e accontenta tutti: un successo.

Diego Altobelli (09/2007)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1730

martedì 11 settembre 2007

Su Spiderman 3 di Sam Raimi

INTRODUZIONE
E' innegabile che nel passaggio dalla carta alla celluloide i personaggi dei fumetti ci abbiano guadagnato in carisma, fascino, e spettacolarità: e "Spider-man 3" sembra essere la prova provata di questa affermazione. Per questo terzo capitolo Sam Raimi decide di rimodellare un vestito nero sul corpo del giovane Parker; di affiancargli ben tre antagonisti; e di divertirsi un po' nel rappresentare il rapporto del giovane eroe con la bella Mary Jane Watson, magari (perché no?) introducendo un elemento seducente come la bella Gwen Stacy. Per il terzo capitolo della saga la trama viene stravolta molto di più la trama originale dello Spider-Man fumettistico, e finisce per trattare questo terzo capitolo un po' come un capitolo finale della saga. Un ultimo tassello che va a chiudere alcuni (ma non tutti!) discorsi iniziati nel primo "Spider-Man". Infatti, insieme al fratello Ivan autore della buona sceneggiatura, Sam Raimi sembra suggerirci la sua intenzione a non continuare la serie.

ALCUNE CURIOSITÀ SUL TERZO CAPITOLO: I PERSONAGGI E LE TRAME
L'Uomo Sabbia è uno dei nemici più antichi e temibili dell'Uomo Ragno: nato sulle pagine di "Amazing Spider-Man n.4" del 1963 (in Italia "Uomo Ragno Classic" 2). Il suo vero nome è William Baker, poi cambiato in Flint Marko quando decide di entrare a far parte di un gruppo di criminali dediti al racket e all'estorsione. Proprio in questo giro criminoso Marko si riesce a creare una reputazione che lo porta anche ad agire in solitario. Purtroppo però ben presto l'FBI è sulle sue tracce e durante una fuga il ladro trova rifugio in una aerea militare utilizzata per esperimenti nucleari: è qui che diventa l'Uomo Sabbia, un essere che ben presto si scontra con l'Uomo Ragno e che di certo rappresenta l'intangibilità, e la virtuale immortalità, del crimine in quanto tale. Thomas Haden Church interpreta il personaggio di Flint Marko nella pellicola colpevole anche di aver ucciso lo zio di Peter Parker.Venom appare su "Amazing Spiderm-Man 299" del maggio 1988 dopo una lunga serie di piccoli indizi sulla sua esistenza lasciati sulle varie collane de L'Uomo Ragno. Ovviamente la sua apparizione è collegata al simbionte nero, il vestito che aderisce al corpo di Peter Parker quando questo si trova su un pianeta alieno a combattere, insieme ad altri supereroi, una "guerra segreta" contro la maggior parte dei super criminali dell'universo Marvel ("Secret Wars n.8" - in Italia "Guerre Segrete" 2). Comunque, Venom diventa tale dopo che Peter comincia a dare letteralmente di matto: non dorme più, fa cose di cui non si ricorda, dimentica appuntamenti, ma non cambia radicalmente il suo atteggiamento come invece accade nel film. Scopre che il simbionte è vulnerabile alle onde sonore dopo che Reed Richard, leader dei Fantastici Quattro, costruisce un fucile a onde soniche proprio per sperimentare la resistenza del "povero" alieno. Nell'indimenticabile storia "Finchè morte non ci separi" ("Amazing Spider-Man" 258 - "L'Uomo Ragno" 49) il simbionte, vedutosi rifiutato per l'ennesima volta da Peter trova riparo in Eddie Brock, ma solo dopo aver salvato Parker dalla morte causata dallo sforzo per togliersi di dosso l'alieno e il frastuono creato dal rintocco violento delle campane. L'unico, inspiegabile, gesto di compassione fatto dal futuro Venom. La storia del film differenzia molto da quella del fumetto, "evolvendo" il personaggio di Venom a incarnazione del rancore e della vendetta: ipotesi che era solo alla base del personaggio marvelliano nel momento della sua origine. La scena della chiesa e dell'unione con Eddie Brock però, rimane molto fedele al comic, così come anche il personaggio del fotoreporter che vuole rubare il lavoro a Peter...
Ma quale relazione con Eddie Brock? Il personaggio di Gwen Stacy è quello che più a fatto rigirare sulla poltrona i giovani appassionati di fumetti. La povera biondina tutto pepe pare proprio non voler trovare una giusta e dignitosa collocazione temporale e narrativa: nel film viene "utilizzata" per far ingelosire Mary Jane, ma noi tutti sappiamo che è stata la prima, indimenticabile, fidanzata di Peter, poi uccisa dal Goblin (Norman Osborn) gettandola dal ponte di Brooklyn. Da quel momento in avanti Gwen è diventata un po' il fantasma amletico di Peter che gli ricorda quanto limitato, in fondo, sia il suo potere. Nella pellicola Raimi la usa per sottolineare maggiormente il profondo cambiamento atto in Peter e, fortunatamente, ci risparmia la triste fine della bionda. Anche perché in fondo aveva utilizzato l'idea del ponte di Brooklyn nel primo film, solo che al posto di Gwen c'era Mary Jane... La storia di Harry Osborn rimane una delle più toccanti nella lunga vita dell'Uomo Ragno. Anche in questo caso Raimi stravolge profondamente la sua evoluzione lasciandosi solo ispirare alle pagine del fumetto. Lì infatti Harry impazzisce (letteralmente) poco a poco, fino a un finale al cardiopalma in cui combatte all'ultimo sangue con Peter avvelenandolo in un palazzo "tappezzato" di esplosivo. In un ultimo barlume di lucidità Harry decide di salvare Peter, portandolo in salvo, ma cadendo a sua volta poco dopo, mortalmente, ucciso dai potenziamenti di Goblin che aveva introdotto nel suo corpo. Consigliamo vivamente questa lunga saga che risulta, ad oggi, tra le più belle e ispirate, firmata dal grande J.M De Matteis sulle pagine di "Spectacular Spider-Man 200" ("L'Uomo Ragno" 163), una saga che consigliamo caldamente di recuperare. La curiosità del film risiede nel fatto che Harry combatte fianco a fianco con Peter. Questo non accade nel fumetto, ma effettivamente il Goblin ha vestito anche parti eroiche, soprattutto quando a indossarne i panni non erano più gli Osborn, ma il nipote di Ben Urich, Phill, reporter del Bugle... Ancora una volta ritroviamo il dott. Curt Connors consigliare Peter e assisterlo nei suoi studi universitari: ci chiediamo solo se, prima o poi, qualcuno non si "degnerà" di trasformarlo nel temibile Lizard come accade nel fumetto ("The amazing Spiderman" 6 - "Uomo ragno classic 2").

COMMENTI DAL PUBBLICO
"Spider-Man 3" non ha riscontrato un favore unanime dal pubblico che invece, in molti casi, si è dimostrato piuttosto tiepido nei confronti di questa terza pellicola. A leggere i forum e a sentire le opinioni fuori dai cinema, molti lo hanno ritenuto inferiore rispetto al secondo capitolo; altri lo hanno avvertito un po' lento in alcune scene, soprattutto considerando che la maggior parte dell'azione accade all'inizio e alla fine. Spero mi venga permesso di spezzare una lancia in favore di questo "Spider-Man 3", in questo senso: a prescindere dal rispetto letterale di un testo, dovrebbe essere preso in considerazione anche il rispetto sostanziale dello stesso, soprattutto se considerato e valutato nel passaggio da un mezzo comunicativo all'altro. Inevitabilmente molto si perde nell'adattamento cinematografico di un'opera fumettistica (senza scherzarci da questo Spider-Man 3" potevano essere tratti quattro film diversi!), ma certamente pur modificando molto, stravolgendo perfino (Harry sfregato non lo ricordo...), Sam Raimi però è riuscito a conservare l'anima di quelle storie nate sulle pagine di carta e inchiostro. Del resto come aveva fatto già negli altri due, roboanti, capitoli. In questo caso punta tutto sull'arte gotica, scegliendo abilmente gli elementi: "trasformando" l'Uomo Ragno in una sorta Gargoyle (la scena della chiesa in questo ne è un chiaro esempio), e facendogli affrontare nemici in qualche modo specchi del suo stesso essere (l'intangibilità dell'Uomo Sabbia riflette quella caratteriale del protagonista, e il nero Venom sottolinea l'aspetto oscuro della personalità di Peter), e facendoli danzare sulla sua tela (o ragnatela!). A questi elementi Raimi aggiunge le storie tormentate di Harry e Gwen, compensando così, esattamente come avviene nel fumetto da anni, la doppia natura umana e supereroica del protagonista. "Spider-Man 3", come accennavo nella recensione, appare voler essere una sorta di vestito ero, doppio o "rovescio della medaglia", del secondo capitolo. In quello infatti Peter abbandonava le vesti di Spider-Man rinunciando a combattere il crimine e perdendo, persino i poteri. In questo caso i poteri vengono potenziati dal germe della vendetta e Peter scopre l'altra faccia dell'essere un super eroe. Nella tanto criticata "scena della passeggiata" di un "tiratissimo" Peter per le strade di New York, Raimi voleva proprio contrapporre quella situazione a quella vista in "Spider-Man 2", dove invece, malgrado la perdita dei poteri, pareva riscuotere molto più successo tra le ragazze!
Infine non vogliamo poi commentare i giudizi di molti addetti ai lavori che vanno a vedere "Spider-Man" rimanendo delusi e commentando con un inconsistente "...speravo in qualcosa di più..." o "...alla fine lancia solo ragnatele..."!. Ma permettetemi di fare un po' di polemica nei confronti di questi ultimi, eterni insoddisfatti, a cui ricordiamo che se si va a vedere un film dal titolo "Spider-Man" difficilmente assisteremo a qualcosa di diverso da un tizio che combatte i cattivi arrampicandosi sui muri...

CONCLUSIONE
Per gli elementi sovra esposti, prendendo a riferimento la filmografia "horror-comics" del regista, e considerando il tragitto narrativo del suo Spider-Man in questi sei anni e più di produzione, consideriamo questo "Spider-Man 3" come una grande pellicola d'autore, in cui Sam Raimi è riuscito, infine, a dire di sé parlando di un personaggio non suo. C'è la sua attenzione alla psicologia dei personaggi, ci sono i temi di tormento che affliggono i protagonisti dei suoi film (da "Darkman" a "The Gift"), e c'è la sua regia attenta alla tensione (la nascita dei nemici di Spider-Man è sempre un evento di pathos e suspance, e basta osservare quella dell'Uomo Sabbia per rendersene conto) e all'umanità in un felice connubio che non risulta mai noioso. Questa pellicola non è semplicemente un film su un tizio che si arrampica sui muri e combatte il male: suggeriamo di andare più in profondità e osservare l'opera non come un mero film (quale offesa!), ma come arte visiva in continua evoluzione.

Recensione Spiderman 3

Diego Altobelli (05/2007)

Su Sin City di Frank Miller, Robert Rodriguez

SIN CITY - Osservazioni sulla città del peccato - Premessa
Frank Miller ha più volte affermato: «...Sin City [...] è il luogo dove mi rifugio sempre quando non ho altro da fare. Torno sempre a Sin City...». Sin City è una visione, un affresco disarmante ma fatto d'incanto, di netti passaggi emotivi e schizofreniche carrellate aeree. Sin City è un film crudo e violento ma, possedendo una lucidità che è propria delle grandi opere, in quegli anfratti oscuri e nascosti riesce a descrivere sentimenti eroici e nobili. Sentimenti difficilmente rintracciabili nella vita di tutti i giorni e, proprio per questo motivo, universali. Sin City ha una forza espressiva tale da infrangere anche l'ultima frontiera, la sottile linea di confine esistente tra Cinema e Fumetto: lo stesso modo di intendere la "narrazione per immagini". «...L'aspetto divertente di portare in vita un fumetto sta nel fatto che ci si ritrova in un mondo di completa fantasia.», confida Robert Rodriguez, «...Per cui non ho tentato di complicarlo, ho cercato di adattarmi al suo corso e di divertirmi, la chiave del mio lavoro in questo film è stata quella di adeguarmi all'integrità del lavoro di Frank Miller». Se queste erano le intenzioni iniziali del regista, il risultato si può considerare esaustivo. Il film riprende le stesse scenografie, la stessa sceneggiatura, gli stessi dialoghi, gli stessi personaggi, spiazzanti per somiglianza e credibilità; e, naturalmente, le stesse atmosfere del fumetto originale.Conclude Miller: «... L'intera realizzazione del film è stata sbalorditiva per me. Sin City sarà la trasposizione di un fumetto più fedele mai vista sullo schermo. Ci troviamo tutti gli elementi dei fumetti che da sempre i registi hanno affermato di non poter portare al cinema, il particolare tipo di dialoghi, i tagli veloci dell'immagine. Siamo stati in grado di realizzare tutto in maniera innovativa. Credo che gli appassionati del fumetto e quelli del cinema saranno sorpresi da quanto Sin City sia diverso da qualsiasi altra cosa vista prima. Non si tratta di un realismo fantastico, somiglia più a un sogno febbrile».
Sin City è, come si diceva all'inizio, l'ultima frontiera, il punto di arrivo da dove ricominciare a parlare di Cinema. In fondo un nuovo inizio.

SIN CITY 1 - I fumetti
Un breve accenno alle singole opere che vengono riprese nel film. Il primo episodio, con un eccellente Mickey Rourke nella parte di Marv, è tratto dalla prima miniserie chiamata proprio Sin City (The Hard Goodbye), di prossima ristampa e pubblicata in Italia già nel lontano 1997 dalla Play Press. Il secondo episodio si rifà a Abbuffata di morte (The Big Fat Kill), in cui Clive Owen veste i panni di un giovane investigatore privato di nome Dwight che, per proteggere la sua nuova "amica", si trova coinvolto in una guerra di potere tra le Signore della notte, prostitute spietate e sanguinarie, e la mafia locale. Il terzo e ultimo episodio è forse il più bello e toccante di questo primo ciclo di storie e ha per protagonista Hartigan (un bravissimo Bruce Willis), un vecchio poliziotto che deve proteggere la giovane Nancy (Jessica Alba) da un redivivo Bastardo giallo, un serial killer pedofilo che aveva già ucciso nove anni prima. Questa miniserie è comparsa in Italia sempre sotto l'etichetta Play Press e ha preso il titolo proprio di Sin City, Quel bastardo giallo (That Yellow Bastard). Un ultimo episodio è rintracciabile nelle prime battute del film, nello specifico sulla scena del tetto in cui vediamo una donna, vestita di rosso, venire uccisa da un misterioso sicario. L'episodio in questione è apparso su una storia auto conclusiva, una delle tante su Sin City raccontate da Miller, dal titolo emblematico di La pupa veste di rosso e già pubblicata in Italia sempre sotto l'etichetta Play Press. Anche nella versione cartacea la bella ragazza non faceva una bella fine..

SIN CITY 2 - La tecnica
Inizialmente Rodriguez realizza un cortometraggio su Sin City e lo propone ad uno scettico Frank Miller che però, dopo averle visionate, accetta di cedere i diritti per farne un lungometraggio. «... Lo volevo come coregista, non solo come produttore o autore di fumetti, affinchè attori e tecnici ascoltassero il suo parere e lo rispettassero...», afferma Rodriguez. Miller è riuscito così a trasporre cinematograficamente la propria opera, il proprio disegno. La collaborazione con Miller ha innestato "l'invidia" di Quentin Tarantino, amico di entrambi. Leggende metropolitane narrano che il regista di Pulp Fiction e Kill Bill si sia offerto come special guest director, una nomina piuttosto singolare a dire il vero, per poi essere pagato solo un dollaro... A Tarantino è stata affidata una singola scena del film, quella in cui Dwight guida la macchina parlando con Jackie Boy (Benicio Del Toro), che gli siede morto affianco. Alla fine della ripresa il regista italoamericano ha dichiarato: «... se facciamo il seguito, pretendo di essere pagato almeno due dollari!»Per rendere il bianco e nero del fumetto, Rodriguez ha prima girato tutte le scene con delle macchine da presa digitali, utilizzando la tecnica del green screen, che consiste nel recitare davanti a un telo di colore uniforme. Successivamente le immagini sono state trattate al computer e affidate a tre diverse società di effetti speciali, una per ciascuna storia. Gli ambienti sono stati interamente generati in computer grafica e integrati, solo in una seconda fase, con gli attori, su cui poi sono stati aggiunti anche i colori.Un lavoro impeccabile, che indica la grande attenzione per l'aspetto visivo da parte di Rodriguez: «...Spasimavo all'idea di ricreare quelle immagini così complesse che Frank aveva disegnato [...] abbiamo deciso di usare la stessa procedura adottata da Frank nella realizzazione dei suoi fumetti [...] Riducendo lo sfondo all'essenziale, si è ottenuto l'aspetto innaturale desiderato.» Per rendere il film identico al fumetto in tutto e per tutto, non si potevano tuttavia trascurare il trucco e i costumi, affidati agli esperti Greg Nicotero e Nina Procter che hanno fatto ampio uso di protesi facciali, trucco e cicatrici, al fine di rendere umani i personaggi spigolosi disegnati da Miller. Un esempio su tutti è il Bastardo Giallo, a cui Nicotero non solo ha ricostruito letteralmente la faccia, ma anche il corpo. La Procter dal canto suo aveva l'onere di rendere incisivo il guardaroba dei personaggi, così come appariva nel fumetto. I vestiti dei vari personaggi infatti sono molto iconografici e identificabili, spesso addirittura ne disegnano il carattere, così la costumista ha dovuto rendere ogni vestito speciale e "unico". Anche qui un solo esempio per tutti: i tre impermeabili indossati da Marv, dei trench molto simili tra loro, ma che impedivano i movimenti all'attore Mickye Rourke, il quale appariva così come un soldato legato nei movimenti.

SIN CITY 3 - Gli eroi
I personaggi di Sin City sono spesso eroi solitari. Uomini abbandonati a se stessi che hanno perso ogni speranza e, per questo, parafrasando un'altra opera di Frank Miller, sono "senza paura". Figure violente e perse in un mondo che li ha traditi troppo spesso. La consapevolezza della loro condizione li porta, ad un tratto nella loro vita, a ritrovarsi di fronte a un bivio, che offre loro la possibilità di redimersi, di credere in un sogno, di combattere, un'ultima volta, per una giusta causa. E' in questo modo che i personaggi di Sin City assumono toni e atteggiamenti di nobili e compiono gesta eroiche. Loro non vogliono "ripulire" il mondo dalla malvagità e dall'oppressione, non sono identificabili nelle figure dei supereroi più classici, tuttavia combattono lo stesso tipo di malvagità e credono a tal punto in ciò che fanno, che spesso si ritrovano ad andare incontro alla morte. Persino il suicidio diventa un'alternativa valida al vivere senza aver combattuto. La morte in Sin City viene intesa non come sconfitta e fine di tutto, ma come un possibile traguardo morale per estirpare un male più grande: la malvagità sadica e insensata del potere politico e sociale. Nella maggior parte dei casi, infatti, il nemico da combattere è una figura "intoccabile", protetta dalle forze dell'ordine o comunque inavvicinabile. Il Bastardo Giallo di Hartigan, la Mafia di Dwight, lo psicopatico Kevin, o ancora il cardinale Roark, hanno in comune il fatto di essere cattivi troppo forti, spietati, o politicamente influenti, per poter essere affrontati senza correre il rischio di perdere qualcosa di caro... o la vita stessa. I protagonisti di Sin City somigliano molto a quei samurai, spesso ronin (senza padrone), che abitavano il Giappone quattro secoli fa. Uomini spinti da giudizi morali indissolubili, sicuri nel riconoscere la differenza tra bene e male, pronti a morire pur di difendere un loro ideale. Del resto Frank Miller non ha mai nascosto la sua passione per il Giappone feudale e la cultura che lo abitava...

SIN CITY 4 - L'uso del colore
Sin City è stato interamente concepito in bianco e nero. Chiaroscuri netti che delineano figure che vivono esclusivamente di notte. A Sin City il giorno è dedotto e, se il bianco e nero diventa l'elemento predominante dell'immagine, il colore può avere il solo scopo di identificare il male, la fonte di guai. Il Bastardo Giallo è l'esempio più eclatante, ma a ben vedere molti altri personaggi hanno come elemento caratterizzante l'uso del colore. Con questo stratagemma Frank Miller stravolge il concetto iconografico di bene e male che li vuole divisi dalla luce (e colore), che identifica di norma il bene, e l'oscurità (e la prevalenza del colore nero), che al contrario nell'immaginario collettivo più usuale evidenzia l'elemento negativo.Il bianco e nero è utilizzato anche allo scopo di creare il giusto climax narrativo - drammatico, facendo appello all'immagine iconografica del cinema noir e alle atmosfere di film come I gangster, Scarface, o Alba tragica. L'intuizione, a questo punto, è stata quella di non creare sfumature di colore e di azzerarle, alternando il colore del bianco e quello del nero. Quindi non un vero e proprio chiaroscuro, ma un contrasto dato dall'incontro/confronto continuo di questi due colori. Ad esempio vediamo Hartigan perdere sangue di colore bianco da un braccio, dopo essere stato ferito: il colore chiaro e quello scuro si sono dunque scambiati i ruoli. L'immagine e il modo di intenderla visivamente assume maggior importanza rispetto ad ogni altra conclusione logica, che vorrebbe, in un bianco e nero, di norma il sangue di colore scuro.

SIN CITY - 5 Il nuovo Pulp fiction?
E' solo un'illazione ma... A ben vedere sono diversi gli elementi che avvicinerebbero i due titoli: primo fra tutti è la presenza in entrambi di Quentin Tarantino che, girando la discussione in macchina tra Dwight e Jackie Boy, trasmette a quell'episodio quell'humour nero che aveva già caratterizzato il suo Pulp Fiction. Inoltre, entrambi i film sono assimilabili allo stesso genere narrativo: il pulp. I protagonisti sono "intercambiabili": nel senso che sono personaggi avvicinabili caratterialmente e molto simili fisicamente. Ma soprattutto la vicinanza tra i due film risiede nel fatto che curiosamente Sin City presenta una struttura narrativa similare a quella descritta in Pulp Fiction. Come nel film di Tarantino, difatti, tutto avviene nello stesso microuniverso narrativo e con una logica spazio – temporale solamente deducibile. Le tre storie di Sin City, così come avveniva nei vari episodi di Pulp Fiction, non sono raccontate in modo cronologico e di conseguenza si possono incontrare personaggi di cui hai già conosciuto le eroiche gesta e la fine, poche scene prima.Gli elementi comuni tra le due pellicole sono vari e se ne vuole offrire, in questa sede, solo una minima parte allo scopo di far nascere un eventuale spunto di discussione. Un'illazione, non vuole essere altro.

SIN CITY 6 - Conclusioni
Parte della critica si è lamentata della violenza gratuita del film e della mancanza di morale. Purtroppo molti critici hanno trattato Sin city in maniera superficiale. Su una cosa sola, a prescindere dai gusti personali di ognuno, tutti sono d'accordo: la pellicola ha una forza visiva mai vista prima sul grande schermo. E questo già da solo è un elemento che dovrebbe invogliare le persone ad andarlo a vedere.L'immagine fatta di bianchi e di neri è riuscita ad andare oltre la forma, riuscendo quasi a materializzarsi non con la computer grafica ma, come era accaduto già nel fumetto, con l'aiuto dell'immaginazione di ognuno di noi spettatore/lettore. Sin City, con la sua tecnica di sintesi dell'immagine ottenuta dal bianco e nero, possiede questa grande caratteristica rispetto ad ogni altro fumetto (che poi è la caratteristica di ogni grande sceneggiatore): quella di «...rendere visibile [con l'immaginazione] ciò che non si riesce [o non si vuole] a rappresentare [diversamente] ...». (Benoit Peeters).

Buona Visione e, stavolta, anche buona lettura.

Recensione Sin City

Diego Altobelli (2005)

Su Spiderman 2 di Sam Raimi

1. ALLA SCOPERTA DI UN SUPER EROE AMLETICO (SPIDER-MAN) INTRODUZIONE
Tanti sono gli elementi che compongono un film e lo sono ancora di più quando il film in questione è tratto da un fumetto come Spiderman, un personaggio dall’apparente semplicità che invece cela, dietro una maschera di scanzonate evoluzioni acrobatiche, elementi narrativi degni di uno Shakespeare. Se nel primo Spider-man Raimi metteva in luce il conflitto eroe-minaccia con un confronto serrato tra spidey e la sua più terribile nemesi Goblin, nel secondo capitolo il dilemma a cui assistiamo è proprio il signore dei dilemmi: essere o non essere. Essere un super-eroe che per fare del bene perde la sua umanità, o divenire un uomo che rinuncia al più grande dei doni per riscoprire se stesso. Amleto, come Peter Parker, è un personaggio che vede e conosce cose che gli altri non sanno e non percepiscono. Questo li rende entrambi alieni nel loro mondo, entrambi però sanno che possono (e devono) lasciare un segno tangibile del loro passaggio. Amleto è disturbato dalla morte del padre che chiede vendetta. Peter è segnato dalla prematura scomparsa dello zio, Ben, che invece chiede responsabilità, desidera, attraverso un dialogo inespresso, che ciò che gli è accaduto non debba succedere a nessun altro. E Peter si addossa di questa responsabilità. Se in Amleto la morte del padre invitava alla lotta per estirpare una colpa, in Spiderman la colpa è rappresentata da se stesso. Peter Parker fa quello che chiunque altro farebbe al suo posto se un giorno scoprisse di avere dei super poteri, se ne fregherebbe di tutto il resto. E’ qui la sua colpa, qui la sua rivincita. Se Amleto risulta essere uno sconfitto, nel finale di una tragedia che vede cadere uno dopo l’altro tutti gli attori che l’avevano recitata, Spiderman ne esce più forte, più consapevole.

2. ALLA SCOPERTA DI UN SUPER EROE AMLETICO IL MONDO FUMETTISTICO DI SPIDER-MAN
Breve analisi del mondo fumettistico di Spider-man
Parlando del fumetto, quello che viene reso in maniera perfetta dalla narrazione del film è la natura straordinariamente umana del personaggio di Spiderman. Un eroe pieno di debolezze e fragile, ma dal carattere forte e vincente.
I nemici
L’elemento della fortificazione caratteriale nelle storie di Spiderman è un punto cruciale. Da ogni situazione limite, da ogni sciagura, l’eroe ne esce vittorioso e fortificato, a differenza dei suoi nemici che invece affrontano con rabbia e violenza i problemi che li coinvolgono. Un esempio concreto è dato proprio dal dott. Octopus: nel film il geniale dottore rimane vittima di un esperimento in cui, oltre a fondersi con delle braccia meccaniche, perde la vita anche la sua amata compagna. La sua reazione è estrema: ritentare l’esperimento anche a costo della vita di milioni di persone, e per farlo è disposto a uccidere chiunque, Uomo ragno compreso. Anche Spiderman è vittima di un fatto che non ha potuto controllare (il morso di un ragno radioattivo), e anch’egli è causa della morte di una persona a lui cara (zio Ben), ma al contrario di Octopus e di numerosi altri nemici (Goblin è un ulteriore esempio) reagirà cercando di rimediare a ciò che ha fatto provando a fare del bene. Spiderman insomma è come i suoi antagonisti, ma ciò che lo rende diverso da questi è un differente approccio al problema. Un’ulteriore conferma di ciò la possiamo ricavare se osserviamo con attenzione proprio i nemici che popolano il mondo dell’Uomo ragno. Questi possono essere divisi in quattro categorie: nemici che prendono poteri, e spunto per i costumi, da animali (Rhino; l’Avvoltoio; lo Scorpione; solo per citarne alcuni); nemici che sfruttano la tecnologia a loro vantaggio (Shocker e Electro, ma anche Boomerang, l’Ammazzaragni e la Giuria per citarne altri); avversari provenienti da esperimenti falliti o casualità drammatiche (Lizard, Octopus, Goblin e Venom in primis); e infine i “nemici cittadini” (Kingpin e Lapide su tutti), quelli cioè che provengono dal sottobosco narrativo della città di New York, luogo in cui si sviluppano le avventure dell’arrampicamuri. Il fatto da sottolineare è che gli avversari più temibili provengono dalla fusione delle prime tre categorie (pensiamo agli stessi Octopus e Goblin), fusione da cui proviene lo stesso Uomo ragno. Tutto pare sottintendere questo dualismo tra nemici e eroe. Difatti ci risulta difficile pensare ad una vera e sola nemesi per l’arrampicamuri. Ovviamente abbiamo il Goblin, certo (che al suo attivo ha il maggior numero di malefatte ai danni di Spidey), ma se osserviamo tutti i nemici nella loro totalità, ci rendiamo conto che chiunque di loro è un letale “predatore di ragni”. Inoltre tornando al concetto di “fortificazione”, se pensiamo alla natura fisica dell’Uomo ragno ci rendiamo conto che i suoi avversari sono, di solito, nettamente più forti. L’eroe in questione non dispone di attrezzature sofisticate o poteri invincibili: non è invulnerabile, non ha telepatie o poteri mentali, non spara raggi, non vola. Però riesce a sconfiggere il proprio nemico servendosi dell’intelletto e di una buona dose di umorismo, che lo accompagna nelle situazioni più drammatiche e lo rende più forte agli occhi degli avversari. Se pensando a un Batman associamo il Joker (e conseguente volto di Jack Nicholson), pensando a Spiderman associamo… Peter Parker. Non trovando un’unica, vera nemesi per il tessiragnatele dobbiamo necessariamente guardare all’interno di esso: del resto un uomo il cui motto è “…da un grande potere derivano grandi responsabilità….”, non è forse già causa dei suoi problemi?
I comprimari
Un'altra cosa che rende umano il personaggio dell’Uomo ragno è data dalla natura stessa dei suoi comprimari. Tutti i personaggi sono affetti da noie e frustrazioni personali: Mary Jane è un’adolescente maltrattata dal padre, che finge in continuazione una gioia interiore che non ha, e che sogna, senza mai raggiungere il desiderato successo, di diventare un’attrice famosa; Harry Osborn è un ragazzo che sente di non essere apprezzato dal padre, Norman, che a sua volta fa di tutto per piacere al figlio e farlo succedere alla direzione di una delle più grandi multinazionali di New York; zia May è una donna di 60 anni che una notte si vede portare via il marito senza poter fare nulla; il dott. Octavius è uno scienziato con megalomani sogni utopistici; e la lista potrebbe continuare a lungo. Tutti i personaggi insomma cercano di fare del loro meglio per essere apprezzati e tutti sembrano addossarsi responsabilità più grandi. Proprio come avviene con il nostro arrampicamuri di quartiere. Abbiamo quindi ancora un dualismo, questa volta da una parte abbiamo delle persone normali che combattono contro le paure di sempre: essere migliore; piacere alla donna o all’uomo che si ama; avere successo nel lavoro; riscattarsi; e dall’altra Peter Parker, un ragazzo che, come dicevamo all’inizio, è combattuto tra l’essere un eroe a cui non verrà mai nulla indietro (neppure la gloria) ed essere un tipo qualunque che ama la più bella delle “ragazze della porta accanto”. Ma anche qui il nostro ne esce vittorioso attraverso il compromesso che prenderà con se stesso. Capisce che gli è stato dato un dono, che deve usarlo per fare del bene. Peter Parker insomma si arrende all’Uomo ragno, lo accetterà perché sa che è l’unico modo per sopravvivere come uomo, prima ancora che come ragno.
Il sottobosco
La frustrazione del nostro eroe si fa più grande se si pensa che Peter Parker consegna le foto dell’Uomo ragno ad un tipo, J. Jonah Jameson, che odia gli eroi mascherati definendoli “pagliacci in calzamaglia” e che è il direttore di uno dei più letti quotidiani di New York. Peter sa bene che qualunque impresa compirà nelle vesti di Spiderman non servirà ad accrescere la sua fama o la sua reputazione, né tanto meno riuscirà a far cambiare idea a Jameson che sarà sempre pronto a denigrarlo. Anche zia May odia l’Uomo ragno, ne è spaventata, come un qualcosa di nuovo che non riesce a concepire. Lo rifiuta. Insomma nell’analizzare gli altri elementi narrativi che compongono il mondo di Spider, capiamo che Peter non è un eroe solo perché possiede poteri straordinari, e neppure perché sconfigge le altalenanti minacce mascherate che si propongono di volta in volta, Peter Parker è un eroe perché non ha mai favoritismi dal mondo esterno. Deve combattere per dimostrare ancora una volta a se stesso, prima che agli altri, che può farcela.

3. ALLA SCOPERTA DI UN SUPER EROE AMLETICO SPIDER-MAN AL CINEMA
Al cinema
Quello che è stato detto finora è stato reso in maniera esemplare da Sam Raimi nel girare il suo Spiderman che speriamo diventi una trilogia nel 2007. Come sia riuscito a compattare trent’anni di storie in due ore di girato non è cosa che possiamo spiegare facilmente. Però possiamo provarci iniziando a individuare i “richiami” alle storie originali a fumetti, in una sorta di ricostruzione narrativa al contrario. (Metterò tra parentesi le storie originali e quelle pubblicate in Italia dove potete trovare i riferimenti)
Peter Parker
1- All’inizio del film vediamo il nostro protagonista alle prese con la consegna delle pizze, che serve anche da spunto per la prima scena d’azione di Spiderman. Nel fumetto Peter non ha mai consegnato pizze, e non ha neppure mai girato con un motorino scassato (semmai con una motocicletta in alcune storie di fine anni sessanta), ma negli anni settanta ha posseduto per un brevissimo periodo di tempo un’ auto mobile: la Ragnomobile, appunto. Ai lettori non piacque quest’idea e dopo pochi numeri fu accantonata. Un motorino è decisamente più appropriato. (“The amazing Spiderman” 130, marzo 1974 – “Uomo ragno classic” 37, febbraio 1994)
2- Tutta la prima fase del film, in cui Peter decide di abbandonare l’idea di essere un super eroe e butta il costume da ragno nell’immondizia, è tratta da un famosissimo numero di Stan Lee e John Romita, in cui tra l’altro compare una splash-page (vignetta che occupa tutta la pagina) identica alla scena in cui Peter Parker se ne va girato di spalle verso l’orizzonte e in primo piano vediamo il costume all’interno di un secchione dell’immondizia. Identica anche l’idea del costume consegnato poco dopo a J. Jonah Jameson anche se nell’originale cartaceo era un ragazzino a trovarlo. (“The amazing Spiderman” 50, luglio 1967 – “Uomo ragno classic” 15, aprile 1992)
3- Nel film Peter Parker perde temporaneamente i poteri, la stessa cosa accadeva in una storia di Stan Lee, Gil Kane e Roy Thomas degli anni settanta, anche se poi gli crescevano quattro braccia supplementari. Un’idea effettivamente un po’ forte da mandare sul grande schermo… Comunque la stessa idea fu ripresa venti anni più tardi da David Micheline e Erik Larsen in un numero che si chiamava proprio “Senza poteri”, in cui Peter, un po’ come avviene nel film, si rendeva conto di essere un eroe, con o senza i famigerati poteri di ragno.(“The amazing Spiderman” 97-104, marzo-ottobre 1971 – “Uomo ragno classic” 29-30, giugno-luglio 1993 – “L’uomo ragno” 126, agosto 1993 ed. Starcomics)
Mary Jane Watson
Se nel primo “Spiderman” indossava i panni di un’altra ragazza, Gwen Stacy, uccisa dal Goblin in una indimenticabile storia del 1973, in questo secondo capitolo Mary Jane riprende un po’ i propri vestiti, anche se…:
1- Realmente l’amore di M. J. per Peter è sempre stato messo in discussione e non è mai stato molto chiaro. La loro storia d’amore nasce da un’amicizia di vecchia data approfondita subito dopo la morte di Gwen Stacy (ex-fidanzata di Peter Parker). L’inizio della loro relazione è da ricercare in una scena breve (solo una tavola di fumetto), ma intensa, di una famosissima storia del 1973 scritta da Gerry Conway e disegnata dall’eccezionale Gil Kane. La tavola in questione è un autentico capolavoro dell’arte narrativa. Una cosa per cultori…(“The amazing Spiderman” 122, luglio 1973 – “Uomo ragno classic” 35, dicembre 1993)
2- Se nel film vediamo Mary Jane scoprire l’identità del ragno solo alla fine e solo dopo lo scontro con Octopus, nel fumetto tale scoperta avveniva in modo meno spettacolare e con toni più da soap-opera. Tra l’altro in quel momento Spiderman era impegnato in una inconsistente relazione sentimentale con la Gatta Nera (un’abile ladra)…(“The amazing Spiderman” 257-258, novembre 1984 – “L’uomo ragno” 48-49, maggio 1990 ed. Starcomics)
3- A memoria d’uomo non mi pare di ricordare una relazione con John Jameson, però lo spunto dell’esperimento spaziale in cui dovrebbe essere coinvolto il figlio di J. Jonah Jameson, e che vediamo nella lunga scena del ricevimento notturno, è da ricercare in una delle primissime storie dell’Uomo ragno in cui il nostro arrampicamuri salvava, in maniera altamente improbabile, una piccola navetta da una rovinosa caduta.(“The amazing Spiderman” 1, marzo 1963 – “Uomo ragno classic” 1, gennaio 1991)
Harry Osborn
1- Il lento ma inesorabile crollo psicologico di Harry possiamo invece cercarlo nelle storie di “Spectacular Spiderman”, quando a scriverle era Jim De Matteis e a disegnarle Sal Buscema. Lo sceneggiatore De Matteis portò a conclusione la saga definita come “Osborn Legacy”, e durata una ventina d’anni, in modo perfetto. Descrivendo con lucida spietatezza la reale follia di Harry. Nel triste finale di questa saga, tra l’altro, Harry portava M. J. sul ponte di Brooklyn per ucciderla nello stesso modo in cui il padre, Norman, aveva ucciso Gwen Stacy…(“Spectacular Spiderman” 200, maggio 1993 – “L’uomo ragno” 163, marzo 1995)
Dott. Octopus
1- Il motivo per cui è stato scelto proprio Octopus come nemico principale, in questo secondo capitolo cinematografico, è probabilmente perché Octavius fu il primo a sconfiggere realmente l’Uomo ragno. Avviene nella sua prima apparizione nel 1963, quando Stan Lee ideò il personaggio dopo aver visto in televisione un documentario sugli esperimenti chimici. Nel documentario c’erano questi scienziati che, stando al di qua di un vetro, manovravano delle braccia meccaniche di cui si servivano per portare a termine un pericoloso esperimento. Stan Lee pensò così ad un nemico che avesse queste braccia supplementari e le usasse come armi. Tra le altre cose il personaggio di Octopus è fondamentale poiché, sconfiggendo Spiderman, dimostrò la sua effettiva vulnerabilità. Fino a quel momento Spiderman veniva descritto come il classico super eroe invincibile…(prima apparizione “The amazing Spiderman” 3, luglio 1963 – “Uomo ragno classic” 1, gennaio 1991)
2- La scena in cui “Otto” rapisce zia May potrebbe essere un omaggio ad un’altra storia scritta da Conway. In quel numero per poco Octavius non sposava zia May… (“The amazing Spiderman” 131, aprile 1974 – “Uomo ragno classic” 37, febbraio 1994)
Dott. Curt Connors
Il dott. Connors che vediamo sgridare Peter perché non si impegna negli studi è in realtà Lizard, l’uomo lucertola, che ipotizzo sarà presente nel terzo capitolo della saga. Nel fumetto Connors è uno scienziato che crea un siero, ricavato da D.N.A. di rettile, capace di far ricrescere gli arti agli animali. Poiché a lui manca un braccio, decide di testarlo anche su se stesso e la conseguenza è devastante: si trasforma in Lizard, l’uomo lucertola, un essere affamato di carne umana…(prima apparizione “The amazing Spiderman” 6, novembre 1963 – “Uomo ragno classic” 2, febbraio 1991).

4. ALLA SCOPERTA DI UN SUPER EROE AMLETICO: CONCLUSIONE
Questa brevissima analisi dell’Uomo ragno ha solo l’intenzione di far riflettere lo spettatore sprovveduto che storce il naso di fronte al nuovo vestito di Goblin, o davanti una Mary Jane meno “forte” rispetto al fumetto. Quello che è importante dire è che ciò a cui noi assistiamo andando al cinema a vedere Spider-man 2, è un film, non un fumetto. Mi duole utilizzare questo termine in modo denigratorio, “fumetto”, ma molti film del genere non sviluppano cinematograficamente l’idea originale, riadattandola, semmai, in “mischioni” narrativi forfettari e spesso abusati. Spiderman fa di più. Ricrea il personaggio da zero, lo fa ricominciare da capo. Non tenta di adattarsi al fumetto ma più semplicemente si costruisce su di esso. E’ così che la vicenda di Spiderman diventa una storia immortale, visibile sempre e da tutti. La regia di Raimi poi, che proviene dalla scuola “horror” degli anni ‘80, si sposa perfettamente con i numerosi risvolti psicologici dei protagonisti. Basta pensare alla scena di Goblin allo specchio, o al recente risveglio di Octavius in ospedale per averne un chiaro esempio. E in questo film Raimi risulta anche spassoso, mettendo in evidenza con lucida maestria il carattere in fondo immaturo di Peter Parker. Una scena in particolar modo è degna di nota, quella in cui, dopo aver rinunciato all’attività di “ragno”, Peter cammina per la strada facendo riflettere una rinata sicurezza. Il regista sfrutta un unico vero elemento per risaltare questo stato d’animo del protagonista: la musica. Raimi se ne serve come farebbe un maestro, facendo risultare spassosa l’intera scena, ma anche facendo capire allo spettatore che quel momento non può durare: tutti noi sappiamo che l’eroe non può avere quel commento musicale.Grazie a chicche come questa Sam Raimi crea un film che in alcuni aspetti è anche superiore al suo predecessore. Il film risulta più ambizioso e completo, le scene d’azione sono davvero stupefacenti e il ritmo del film è sempre incalzante. Uno spettacolo da vedere e rivedere senza storcere il naso di fronte a inutili e spocchiose prese di posizione da “patito di purismo del genere”. Gli aspetti di cui parlare e i riferimenti al fumetto sono tanti e, sono sicuro, alcuni saranno anche sfuggiti alla mia attenzione, ma spero comunque che l’analisi fatta possa essere d’aiuto a chi, come me, ama il cinema e il fumetto, ed è sempre in cerca di nuove forme narrative.Perché la narrazione è ciò che vediamo attraverso gli occhi di un altro.

Buona visione.

Diego Altobelli (2003)
estrapolato da http://www.tempimoderni.com/db/dbnovita/novita.php?id=248

Licenza di matrimonio

Anno: 2007
Regia: Ken Kwapis
Distribuzione: Warner Bros. Pictures

Pellicola estiva senza pretese diretta con qualche buona intuizione dal regista Ken Kwapis: "Licenza di matrimonio" non sarà certo il film dell'anno, ma riesce comunque a strappare qualche sana risata.
Robin Williams, nei panni del reverendo Frank della chiesa St. Augustine, tiene un corso piuttosto bizzarro di preparazione al matrimonio. Quando i due giovani Sandy e Ben decidono di sposarsi, la ragazza convince il suo futuro sposo a frequentare i corsi di Frank, che si scopre essere il prete di famiglia. Le tre settimane di preparazione al "grande passo" saranno le più dure della loro vita...

Soggetto e sceneggiatura affidate all'esordiente Kim Barker, caratterizzata da una scrittura acerba e un poco squilibrata sul piano delle idee. Lo script alterna infatti situazioni molto spassose, come quella dei bambini robot, ad altre meno convincenti, come la prova di guida con la benda sugli occhi, che sembrano contare molto (forse troppo) sulla bravura degli attori e soprattutto sul veterano Williams, non particolarmente felice di sostenere questo compito. Atlante.
Regia fresca e appassionata, invece, che riesce nel difficile compito di trasmettere buoni sentimenti e convincere lo spettatore della "sincera ingenuità" della pellicola. Il regista Ken Kwapis, carico di buone intenzioni, trascina il pubblico verso lo scontato "happy end" che quantomeno si ricorderà per l'originale intuizione delle "promesse" scritte sulla sabbia. Romantico.

Buona, infine, la scelta dei due protagonisti: la bella Mandy Moore (finalmente una ragazza un pò rotonda sullo schermo!), e il semi-esordiente John Krasinzky (protagonista della serie "The Office") appaiono come due innamorati un poco timorosi l'uno dell'altro e, proprio per questo, convincenti.
"Licenza di matrimonio" è una commedia onesta, fresca e "innamorata". Forse più dello spettatore che del Cinema, e per una volta questo non è un male...

Diego Altobelli (08/2007)

Disturbia

Anno: 2007
Regia: D.J.Caruso
Distribzione: UIP

Da "La finestra sul cortile" a "Disturbia" senza fare tappe intermedie e arrivando, rapidi, ad un altro teen-thriller di resa piuttosto scarsa.
L'appena diciassettenne Kale è rimasto traumatizzato dall'improvvisa morte del padre, picchia un professore, e viene messo agli arresti domiciliari per tre mesi. Dopo vari tentativi futili di ammazzare la noia (videogiochi, televisione spazzatura, "modellismo"), altro non può fare che appostarsi alle finestre di casa sua e spiare il vicinato. Se inizialmente le sue attenzioni ricadono sulla nuova, e naturalmente bellissima, vicina di casa, ben presto si accorge che anche il signor Turner è ugualmente interessante... pur se per altri motivi: possibile che sia proprio lui il serial killer di cui parlano alla TV?

A dire il vero di rifacimenti del film di Hitchcock ce ne sarebbero tanti, "Omicidio a luci rosse" di Brian De Palma o il remake interpretato dal grande Cristopher Reeves solo per citarne un paio, quindi viene da pensare che l'unica ragione per cui è stato realizzato un film del genere è quello di lanciare il giovane, e molto bravo, Shia LeBeouf, lo stesso del prossimo Transformers che infatti uscirà in Italia più o meno parallelamente a questo "Disturbia". Per il resto davvero "poca roba" e il piatto langue sia di idee (quelle buone le aveva già messe tutte Hitchcock) che di motivazioni o elementi davvero distintivi dal plot originale (non bastano il collare al piede anti-fuga in stile "2013-La Fortezza" e un paio di scene gore).

Carrie-Anne Moss (la stessa di "Matrix") e David Morse (lo avete già visto un centinaio di volte in pellicole come "L'esercito delle 12 scimmie" e "Il miglio verde") assicurano a "Disturbia" quel minimo di serietà che serve per non farlo naufragare totalmente.Rispettivamente nei panni della madre di Kale e del vicino Turner i due fanno poco, ma lo fanno bene: scialuppe.

Alla regia D.J. Caruso, lo ricordiamo per aver diretto alcuni episodi di serie come "The Shield" e "Smallville", si assicura che il suo film fili liscio e non si preoccupa di molto altro. La scuola c'è, il talento anche (introdurre l'espediente narrativo della telecamera è stata una buona idea), e speriamo in un suo prossimo, più personale, progetto."Disturbia" è un teen-trhiller come ce ne sono tanti, la sua somiglianza al capolavoro del maestro Hitchcock però lo fa distinguere un po' di più dalla massa: il nostro augurio è che i più giovani non si accontentino di una mera copia...

Diego Altobelli (06/2007)

Premonition

Anno: 2007
Regia: Mennan Yapo
Distribuzione: Eagle Pictures

Linda Hanson ha una vita perfetta: una bella casa, un bel lavoro, un uomo, Jim, affascinante e innamorato al suo fianco, due adorabili figli. Un giorno però il suo compagno ha un terribile incidente automobilistico e la sua improvvisa morte getta la donna nello sconforto. Il giorno dopo però, misteriosamente Jim è di nuovo lì, al suo fianco nel letto, come se nulla fosse accaduto. L’episodio si ripete e si ripete ancora e Linda vede morire e risorgere suo marito ogni nuovo giorno. Possibile che la donna si stia immaginando tutto? La ricerca della verità la porterà a rimettere in discussione tutta la sua esistenza...

L’attrice “ever green” Sandra Bullock tiene le redini di questo “Premonition”, un thriller girato con mano acerba da Menna Yapo, senza guizzi artistici, che presenta una sceneggiatura, scritta da Bill Kelly, dalla narrazione non lineare. Il risultato è un mezzo pasticcio “temporale”, dove sabato viene prima di mercoledì e dove realtà e sogno non si distinguono l’uno dall’altra.Accanto alla brava Bullock troviamo Julian McMahon, il dottor Doom di “Fantastic Four”, nonché protagonista della serie di culto “Nip e Tuck”, svogliato nel vestire i panni del “perseguitato” Jim.

“Premonition” è dunque un thriller piuttosto ordinario, che senza una precisa e logica costruzione narrativa, finisce per soffocare, miseramente, sotto la confusione dei suoi intenti drammatici.

Diego Altobelli (09/2007)

L'ora di punta

Anno: 2007
Regia: Vincenzo Marra
Distribuzione: 01 Distribuzione

Chiamato a rappresentare l'Italia alla 64a edizione del Cinema di Venezia, il film di Vincenzo Marra racconta in modo asciutto le gesta di un rampante scalatore sociale.
Filippo Costa è un agente della Guardia di Finanza ambizioso e senza scrupoli. Per raggiungere lo scopo, infatti, l’uomo riscrive verbali di accertamento previo compenso e distribuisce mazzette, fino a quando non viene scoperto dal proprio comandante. L'uomo, quindi, costretto a lasciare la Guardia di Finanza, si getta nel mondo dell'imprenditoria. Lì conosce Catherine, donna più matura che con le sue conoscenze lo aiuterà a ottenere tutto ciò che vuole…

“L’ora di punta” di Vincenzo Marra giunge nelle sale seguito da un coro di dissenso da parte di tutta la critica cinematografica. Film “spento”, secondo alcuni, “svogliato”, secondo altri, alla pellicola di Marra viene contestata soprattutto l’incapacità di raccontare una storia, qualunque essa sia. La trama, infatti, descrive un'italietta sfuggente e piccola, fatta di "strette di mano" e di "pacche sulla spalla", senza però raccontare davvero qualcosa. L'unico espediente narrativo del triangolo amoroso, infatti, poco credibile quanto banale nel suo dipanarsi, riesce solo a inquadrare il film in un genere ben preciso: il fotoromanzo.

Ritmo da serial televisivo, recitazione statica e una sceneggiatura poco credibile con dialoghi caricaturali. Tra gli attori segnaliamo una Fanny Ardant egocentrica e un Michele Lastella scialbo. "L'ora di punta" è un film il cui unico "merito", è denunciare la nostra piccola Italia: non solo quella dei politici e della corruzione, ma anche quella della mediocrità del nostro "Cinema".

Diego Altobelli (09/2007)

Io non sono qui

Anno: 2007
Regia: Todd Haynes
Distribuzione: Bim Distribuzione

Per raccontare i difficili aspetti della vita del cantante e poeta Bob Dylan, Todd Haynes sfrutta appieno le capacità di un cast stellare: Richard Gere, Cate Blanchett, Christian Bale, Heath Ledger e molti altri. Tutti interpretano Bob Dylan in un alternarsi evocativo, ma sfilacciato dal punto di vista narrativo, caratterizzato dalle parole e dalle musiche dello stesso cantautore.

"Io non sono qui" è certamente un lavoro ambizioso. Haynes tenta in tutti i modi di omaggiare, e per questo inscena, in sei racconti diversi, il personaggio Bob Dylan. Cantante, poeta, anticonformista, profeta, contestatore, cantastorie, e amante: il suo Dylan è "tutto", ma purtroppo è anche "niente". Alla fine della pellicola, infatti, non si può non rimanere perplessi dalla visione di una (non)storia, che in un film fatto di canzoni e strofe rubate ai testi del cantante, finisce per essere, appunto, una mera visione.

"Io non sono qui" intende essere il racconto di un mito che, in quanto tale, non deve necessariamente avere né un inizio né una fine. E’ un non-film insomma, un non-racconto che parla di una figura leggendaria.Dei sei protagonisti certamente degni di nota sono Richard Gere, splendido nella parte di un vecchio fuorilegge stanco e annoiato, e Cate Blanchett, per la cui interpretazione androgina ha ricevuto la Coppa Volpi come miglior attrice alla 64a Mostra del Cinema di Venezia.

Sei erano i personaggi di Pirandello in cerca di autore, e sei sono questi personaggi che cercano (o ricercano) la loro identità in Bob Dylan. Ma proprio come avveniva nel teatro del genio di Agrigento, anche questa volta nessuno troverà davvero la giusta corrispondenza drammaturgica.

Diego Altobelli (09/2007)

Shrek - Terzo

Anno: 2007
Regia: Chriss Miller
Distribuzione: UIP

Quando il re Ranocchio passa a miglior vita, è a Shrek che lascia il trono del regno di Molto Molto Lontano. Messo alle strette dalla principessa Fiona, che gli annuncia l’arrivo di un piccolo orco in famiglia, e spinto dalla convinzione di non poter essere un degno successore al trono, Shrek decide, insieme al Gatto con gli stivali e all’inseparabile Ciuchino, di mettersi in viaggio alla ricerca del giovane Artie, cugino di Fiona e prossimo in linea di successione alla direzione del Regno. Egli non sa tuttavia che così facendo lascia incustodito Molto Molto Lontano alla mercé del Principe Azzurro, libero di conquistare la corona del re con un esercito di cattivi al suo seguito.

La serie di Shrek ha incassato milioni di dollari in tutto il mondo e, anche grazie a un Oscar vinto con il primo episodio, si è innalzata a nuovo paradigma per tutte le produzioni animate in CGI. Se i personaggi, comunemente al suo immaginario anti- disneyano, continuano ad avere un’eco tra il pubblico di tutte le età, bisogna anche ammettere che gli anni, per l’orco più amato dei cartoni animati, cominciano a farsi sentire. Shrek Terzo risulta meno ispirato dei suoi capitoli precedenti, soprattutto se paragonato al secondo scoppiettante episodio che aveva regalato risate al vetriolo, radendo al suolo tutte le convenzioni delle favole. In questo terzo capitolo, complice forse la prossima paternità del protagonista, Shrek tende a controllarsi, dimensionandosi nelle battute e negli scketch. Timido.

Rimangono ciò nonostante gli elementi che hanno distinto la pellicola in questi anni: grandiosa la produzione in CGI, piena di particolari, fluida, e con buone intuizioni di regia, come la riscossa di Biancaneve. Resta invariata la natura scanzonata della trama, così come rimangono i protagonisti, più maturi e affiatati rispetto agli altri episodi. A conti fatti però l’unica vera satira presente in “Shrek – Terzo” - quella su re Artù e il mago Merlino - non convince affatto...

Diego Altobelli (08/2007)