sabato 26 aprile 2008

Jimmy della collina

Anno: 2008
Regia: Enrico Pau
Distribuzione: Arancia Film

La difficoltà del vivere quotidiano di un giovane annoiato; la malavita; il malessere nei carceri; e l’inconsistenza della scelte, sono tutti temi su cui ruota l’ultimo film di Enrico Pau (conosciuto ai più per il lungometraggio “Pesi leggeri”) “Jimmy della Collina”.

Jimmy è un giovane senza sogni e certezze. Si vede chiuso in una fabbrica ad appena vent’anni come suo padre e il suo unico fratello: una prospettiva di vita che vede come una prigionia. Per fuggire da quella organizza una rapina in una villa. Le cose vanno male e Jimmy si ritrova da lì a poco rinchiuso in un centro di recupero. Inerme e fragile, finisce per soccombere sotto la sua stessa ansia di libertà...

Bel tema e bell’incipit, con i primi dieci/quindici minuti di metraggio che intrigano con una regia audace fatta di continui flashback e flashforward che mostrano l’entrata di Jimmy nel carcere, e il come ci sia finito. Purtroppo però, andando avanti con la visione del film ci si comincia a rendere conto dei limiti della pellicola di Enrico Pau: una trama che stenta a decollare, per poi non farlo proprio; la stessa regia che inizialmente appariva interessante, d’un tratto diventa pretestuosa e molto più assimilabile a certe “video installazioni” dell’arte contemporanea; e infine anche i personaggi deludono, con caratteri potenzialmente molto interessanti ma che non vengono approfonditi o, nel peggiore delle ipotesi, messi addirittura da parte dal regista Pau a favore dei pensieri di Jimmy (un protagonista decisamente poco affascinante). Il risultato è un film di noia e caratterizzato dagli sbadigli dove qua e là si intravede le potenzialità per emergere, ma che non vengono sfruttate abbandonando il pubblico a un finale irrisolto e senza soluzione.

Unica nota intonata in un film decisamente fuori sincrono è rappresentata dall’interpretazione della brava attrice Valentina Carnellutti (vista anche in “Tutta la vita davanti”): la scena più “forte” del film è la sua (un esempio raro di recitazione), e con la sua interpretazione trascina il film, adombrando perfino il triste protagonista Nicola Adamo.

Un film debole comunque, e dalla natura troppo incerta. Alla fine del film si ha il dubbio che l’effetto fosse voluto, ma ci si distrae subito dopo pensando che comunque non è bastato a fartelo piacere.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/

venerdì 25 aprile 2008

L'altra donna del re

Anno: 2008
Regia: Justin Chadwick
Distribuzione: UIP


Il regista Justin Chadwick si è fatto le ossa in televisione, dirigendo soprattutto serial e episodi pilota. Il suo esordio sul grande schermo è di quelli da far girare la testa: tre grandi attori come Eric Bana, Scarlet Johansson e Natalie Portman; una costumista, Sandy Powell, con due statuette al suo attivo (per “Shakespeare in Love” e “The Aviator”); e un romanzo di successo (scritto da Phillippa Gregory) da cui trarre la sceneggiatura, rendono la produzione di “L’altra donna del re” a dir poco ambiziosa.

Enrico VIII desidera un figlio maschio dalla moglie Caterina di Aragona, che però non sembra in grado di dargliene alcuno. Quando Sir Thomas Bolena viene a sapere il desiderio del Re, si offre di regalargli le doti delle figlie: Anna e Maria, molto legate ma anche molto diverse l’una dall’altra. Il Re si innamora di Maria che così adombra le mire della sorella maggiore con cui entra inevitabilmente in conflitto. La giovane Bolena gli dà un figlio, ma femmina anch’esso, e per Maria è il momento di riproporsi al Re. Quando questo, finalmente, si invaghisce della donna ripudiando la moglie Caterina, inizierà il triste epilogo che porterà le sorelle Bolena innanzi alla forca...

Ambizioso, non c’è un altro termine per definire "L'altra donna del re". E un poco furbo, se vogliamo, con una operazione produttiva che odora tanto di rilancio per le due grandi star Natalie Portman e Scarlett Johansson, che subito dopo l’uscita del film in America hanno fatto girare molte voci sul loro conto e la loro amicizia. Storie di gossip e di star system, un po’ come quelle descritte nella pellicola acerba diretta da Justin Chadwick, anche se naturalmente contestualizzate nell’Inghilterra pre-elisabettiana. Ne esce fuori un affresco a tratti avvincente, sorretto dalla grande bravura (ma, diciamolo, anche bellezza) delle due protagoniste che inscenano una lotta senza esclusione di colpi per il cuore del bel Re Enrico VIII, interpretato da un asettico Eric Bana, decisamente non al suo meglio.
La pellicola diretta dall’esordiente Justin Chadwick non delude, ma nemmeno esalta e si lascia semplicemente vedere. Merito indubbiamente anche dei costumi e della ricostruzione storica: attenta, minuziosa, e visivamente ipnotica.

“L’altra donna del re” è un film di maniera caratterizzata da una regia opaca e i cui punti a favore sono certamente la recitazione delle due protagoniste e i costumi della grande Sandy Powell.
Del resto, sarebbe abbastanza logico pensare che per dare luce a due astri nascenti si scelga un sole minore a dirigerle.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1869

Tutti pazzi per l'oro

Anno: 2008
Regia: Andy Tennant
Distribuzione: Warner Bros.

Ci sono film che piacciono subito, persino vedendone il trailer. Hanno successo, e magari servono al lancio di qualche astro nascente, o per rilanciare un attore o un’attrice in una nuova interpretazione. E ci sono film che invece, contando sugli stessi elementi (ironia, bravi attori, storia azzeccata e una location da sogno) non riescono a “bucare” il grande schermo. Dinamiche strane e misteriose della fabbrica di sogni chiamata cinema e purtroppo, questo secondo caso, appartiene a “Tutti pazzi per l’oro”, pellicola diretta con piglio divertito dal veterano Andy Tennant che ha diretto in passato pellicole come il riuscito “Hitch” e il drammatico “Anna and the King”.

Benjamin è un cacciatore di tesori con pochi pensieri per la testa, ma tanti problemi a cui dar conto. Non ultimo la sua ex moglie che chiede disperatamente di divorziare da lui, ma che non riesce mai a rintracciarlo. Un giorno, durante una spedizione, Ben trova sul fondo marino un manufatto che sembra appartenere a quello che fu definito “la dote della Regina”, un inestimabile tesoro risalente al XVIII secolo. Per mettere le mani su quel tesoro però, dovrà chiedere aiuto alla sua ex moglie e coinvolgerla in una pericolosissima caccia all’oro...

Gli elementi c’erano tutti: divertimento, una trama dal sapore piratesco, un’ambientazione da sogno fatta di spiagge e mari incontaminati, un buon cast - Kate Hudson e Donald Sutherland sono due grandi nomi - e infine un protagonista simpatico, Matthew McConaughey che riprende un po’ il personaggio visto in “Sahara” un paio di anni fa. Peccato, viene da dire, perché anche la regia di Tennant era buona, con alcuni momenti davvero spassosi.
Malgrado tutto questo, il film annoia. I lati negativi vanno rintracciati soprattutto in una sceneggiatura piuttosto banale, caratterizzata da dialoghi e colpi di scena prevedibili, e nella generale sensazione di avere sfruttato male le buone intuizioni che il soggetto aveva descritto.

A fungere da salvagente ci pensa il cast, come dicevamo, con un Sutherland immenso e una Kate Hudson davvero convincente. Più fiacca invece la recitazione di Matthew McConaughey che sembra scimmiottare troppo il Johnny Depp dei “Caraibi” .
“Tutti pazzi per l’oro”, (il titolo originale in inglese suonava più come “L’oro degli sciocchi”) è una commedia d’avventura semplice ma un po' tediosa.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1870

Ortone e il mondo dei Chi

Anno: 2008
Regia: Jimmy Hayward e Steve Martino
Distribuzione: 20th Century Fox

Dai creatori de "L'era glaciale" una deliziosa favola indirizzata a un pubblico di grandi e piccini. "Ortone e il mondo dei Chi" racconta l'avventura dell'elefante Ortone che scopre, attirato da un curioso granello di polvere, un mondo in miniatura che fluttua nell'aria. Abitanti di quello strano mondo sono i Chi, gli esseri più piccoli dell'Universo, guidati dal Sindaco, detto appunto "Sinda-chi". Questi approfitta dell'incontro con l'elefante per chiedergli di proteggere il Mondo dei Chi dalle grinfie di uno spietato Condor...

Nell'ampio - e un po' saturo - panorama del cinema d'animazione comincia a essere sempre più difficile imbattersi in storie entusiasmanti o innovative. E se la Pixar punta l'attenzione soprattutto sulla tecnica, i ragazzi della Dreamworks tentano invece strade più audaci e provocatorie. Ecco poi che dopo i successi dell'"Era glaciale" (prodotto dalla Fox) giunge quasi in sordina questo "Ortone e il mondo dei Chi", una favola che possiede un'anima profonda.
A colpire maggiormente l'immaginazione dello spettatore è la sua struttura - potremmo dire - "a matriosca", in cui tutti i protagonisti si ritrovano a scoprire mondi e personaggi più piccoli o più grandi di loro. Al centro di questi c'è l'elefante buono Ortone che tenta, malgrado la sua mole, di salvare il popolo dei Chi, dimostrando così che una vita, per quanto piccola e numericamente superflua, è comunque sacra.
Dal punto di vista tecnico ci troviamo su standard molto alti e ben ragionati, con qualche scena davvero degna di nota (come l'incontro tra Ortone e il mondo dei Chi) che convince della buona capacità registica.

Bello anche il doppiaggio italiano, una volta tanto, anche se forse la voce di Christian De Sica prevarica un po' troppo sul resto del cast.A dirigere la pellicola i due registi Jymmy Hayward e Steve Martino che, meglio del loro precedente "Robots", sono riusciti a creare un film avvincente e dal messaggio universale. Un inno alla vita che avvolge ed esalta come certe favole della buonanotte.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1864

Next

Anno: 2008
Regia: Lee Tamahori
Distribuzione: Medusa Film

E’ tratto dal racconto “The golden man” dello scrittore di fantascienza Philip K. Dick, il film “Next” firmato dal regista Lee Tamahori, conosciuto per “007 –La morte può attendere” e “XXX: The Next Level”.

Cris è un prestigiatore che ha il potere di “vedere” in anticipo ciò che accadrà nei prossimi due minuti della sua vita. La preveggenza però è limitata solo a fatti che coinvolgono la sua persona, e solo nei 2 minuti successivi alla visione. Quando Callie, agente dell’FBI, capisce le potenzialità dell’uomo, decide di coinvolgerlo in una operazione antiterroristica...

Trama piuttosto sfuggente e regia precipitosa, fanno da contraltare all’idea originale e al ritmo incalzante di “Next”: pellicola che dal racconto di Dick riprende solo lo spunto di partenza. Nel racconto dello scrittore americano infatti, “precognitivi” e umani si affrontavano in un futuro post apocalittico per definire quale razza avrebbe continuato a vivere sulla Terra. Nulla di tutto questo viene ripreso dal film di Lee Tamahori, che tralascia pavidamente le atmosfere cupe e le descrizioni catastrofiche presenti nel racconto, confezionando un più semplice e fruibile action movie.
Siamo lontani dalla magnificenza delle ambientazioni di “Minority Report”, o dalle ambizioni alte di “Paycheck”, entrambi film tratti da racconti di Dick ed entrambi aventi il tema della preveggenza (o precognizione). Malgrado questo, pur riducendo all’osso le idee presenti nel racconto, e spostandole in un contesto affatto futuristico, Lee Tamahori riesce a carpire l’intuizione di Dick e a farla sua in modo efficace. Ecco quindi che tutti quegli elementi che avrebbero fatto di “Next” un film da dimenticare (come dialoghi eccessivamente lacunosi, scene d’azione efficaci quanto concise, e personaggi costretti in una trama traballante), si legittimano in un colpo di scena finale che rimette tutto in discussione e che fa del film un caso unico di “precognitività” nella storia del cinema.

Fragili anche le recitazioni dei sempre verdi Cage, Moore e Biel. La loro non è certamente una grande interpretazione, ma in fondo chi vi dice che questa sia accaduta davvero?

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1850

Colpo d'occhio

Anno: 2008
Regia: Sergio Rubini
Distribuzione: 01 Distribution

Adrian Scala è un giovane scultore che si innamora di Gloria. La ragazza però è legata sentimentalmente al critico d'arte Lulli. Il triangolo amoroso ha esiti tragici...

Per "Colpo d'occhio" la regia di Sergio Rubini appare molto attenta, sia nel tratteggiare i personaggi, sia nel delineare le scene e a inserirle nelle "artistiche" scenografie. Proprio su queste ultime, infatti, Rubini gioca con l'arte e con le opere disegnate per il film da Gianni Dessi. Curiosamente però, malgrado si abbia la sensazione che il tutto sia studiato attentamente e che ogni cosa sia messa sullo schermo per una ragione precisa, alla fine il film ha il difetto di risultare un poco spocchioso e saccente.

La vicenda dei due innamorati perseguitati dal critico Rubini assume da subito connotazioni sì morbose (con inquadrature attente a trasmettere la giusta angoscia allo spettatore), ma si perde in una eccessiva pignoleria visiva.
Troppa arte, forse, e troppa foga nel rappresentarla (in una scena Scamarcio insegue la giovane Puccini tra le sale della Berlinale), in un thriller atipico.

Un brutto film quindi? No, e non totalmente. I tempi del genere ci sono, sostenuti dalle musiche suggestive di Pino Donaggio, e la tensione fa capolino di tanto in tanto sullo schermo invogliando nella prosecuzione della visione.
Ma al di là di alcuni interessanti spunti, la pellicola di Sergio Rubini risulta comunque troppo velata di quell'arroganza snob, tipica del mondo dell'arte, che raggiunge lo scopo, ma non il cuore.

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1845

La zona

Anno. 2008
Regia: Rodrigo Plà
Distribuzione: Sacher Distribuzione

Opera prima di Rodrigo Plà che prende spunto dall’omonimo racconto di Laura Santullo, che ha partecipato anche nella stesura della sceneggiatura della pellicola.

Nel centro di Città del Messico c’è un quartiere benestante che viene definito “la zona”, un luogo fatto di villette a schiera, strade pulite, ordine pubblico. Fuori dalle mura della zona, Città del Messico continua a pulsare nella sua sporcizia e nei suoi traffici illegali di droga, prostituzione e corruzione. Quando a seguito di un temporale un muro di cinta del quartiere frana sotto il peso di un palo della luce, gli abitanti della zona devono decidere se e come far rimanere il loro quartiere un posto “sicuro” e “pulito”...

Tagliente critica alla società moderna: “La zona” colpisce nello stomaco come un pungo inferto con rabbia. Un po’ “Stalker” di Tarkovskyana memoria, un po’ “The Truman show”, il film di Rodrigo Plà centra il bersaglio descrivendo con cinica calma il delirio che si forma all’interno della zona. Un lungo viaggio nell’ipocrisia e nel perbenismo dell’uomo che per puro egoismo finisce per calpestare ogni diritto umano.
Alla sceneggiatura equilibrata sono di grande supporto gli attori tutti bravi, anche se non conosciuti, nel descrivere ognuno una sfaccettatura diversa del quartiere che abita. Tra questi degni di nota sono il protagonista Daniel Tovar e Carlos Bardem, fratello del più celebre Javier.

E’ un film di crescita, identificata nel giovane protagonista Alejandro, e come tale porta con sé il seme della delusione e della perdita.
Gli abitanti della zona sono ricchi auto-esiliati da una società primordiale (perché senza regole) che la circonda, ma il confinarsi (ed escludersi) dal mondo esterno porta la stessa zona a regredire a uno stadio ancora più crudo e violento. Uno stato delle cose basato sulla paura e il sospetto. E da quello Daniel scappa, in un finale irrisolto quanto desolante. Da vedere.Forse un po’ lento, ma certamente ben girato e costruito, “La zona” ha ricevuto il premio Leone del Futuro alla 64° Mostra del Cinema di Venezia e il Premio della Critica al Festival di Toronto 2007.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1851

Il cacciatore di aquiloni

Anno: 2008
Regia: Marc Foster
Distribuzione: Filmauro

Kabul, 1978. Amir e Hassan sono due ragazzini, legati da un profondo sentimento di amicizia, il cui passatempo preferito è quello di “cacciare” aquiloni. Quando i Russi entrano a Kabul, i due sono costretti a separarsi. Amir emigra negli Stati Uniti; Hassan invece cerca riparo in terre confinanti. Le loro strade però, sono destinate a incrociarsi nuovamente con risvolti imprevedibili...

Tratto dal best seller omonimo di Khaled Hosseini, il film diretto da Marc Foster (regista di “Neverland” e “Vero come la finzione”) non riesce nella difficile impresa di trasmettere alla pellicola la stessa magia che emergeva dalle parole dello scrittore afghano. Regia troppo piatta e decisamente sottotono rispetto alle pellicole precedenti che hanno fatto conoscere il regista tedesco. “Il cacciatore di aquiloni” è un film a metà strada tra il dramma personale e quello storico, ma il suo più grande difetto è quello di non riuscire a imprimere la giusta forza né nel descrivere l’una, né nel descrivere l’altra. L’effetto che si ha alla fine è quindi quello di una pellicola decisamente “scolastica”: più adatta cioè a gite per classi studentesche.

Poca magia, poca poesia, e debole resa nel descrivere i (pochi) colpi di scena per cui vive la trama. Dilatandosi nel tempo infatti, questa si fa di più difficile comprensione e poco facile da seguire: cambiando scenari - Afghanistan, Usa, di nuovo Afghanistan - cambiano anche i tempi (fine anni Settanta, inizio anni Ottanta, Novanta, fino a giungere al 2004...), e il tutto si fa sfuggente e, fondamentalmente, poco incisivo.
Alla sceneggiatura monocorde non aiuta neppure la recitazione degli attori: troppo spesso televisivi e raramente cinematografici.

“Il cacciatore di aquiloni” è un film che si può consigliare solo a due tipologie di pubblico: il primo la scolaresca in gita, che grazie alla buona ricostruzione storica potrà avere materiale per dibattiti di ritorno in classe; il secondo è chi ha letto il libro. Anche se quest’ultimo rimarrà profondamente deluso dall’incapacità del bravo Marc Foster di catturare la magia del romanzo di Khaled Hosseini.

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1848

Spiderwick - Le cronache

Anno: 2008
Regia: Mark Stephen Waters
Distribuzione: UIP

Diretto da Mark Stephen Waters “Spiderwick – Le cronache” è la nuova pellicola di ispirazione fantasy tratta da una serie di romanzi a misura di teenager. Questa volta gli autori sono Tony Di Terlizzi e Holly Black e il libro è la “Guida pratica di Arthur Spiderwick” che ha riscosso un discreto successo librario giungendo nel volgere di pochi anni al quinto volume.

Jared, Simon e Mallory sono tre fratelli che insieme a loro madre si sono trasferiti da poco in una casa in campagna. Una notte, cercando un luogo dove rifugiarsi coi propri pensieri, Jared arriva in soffitta e lì scopre un libro, “Guida pratica al mondo fantastico, di Arthur Spiderwick”. Iniziando la lettura, il giovane capisce subito la potenzialità di quel tomo: rivelare agli occhi umani le creature magiche che popolano la Terra…

Lo spunto era vincente con una trama che, pur ricordando “La storia infinita”, con i classici problemi adolescenziali di incomprensioni e ripicche tra coetanei, poteva giocare efficacemente su ciò che vediamo e su ciò che non possiamo vedere ad occhio nudo. Purtroppo però, le idee sui fermano allo spunto di partenza, e la noia fa capolino presto sul grande schermo, troppo presto. La regia di Mark Stephen Ewaters . La regia di Mark Stephen Ewaters è di quelle senza infamia e senza lode, non particolarmente ispirata e che piuttosto sembra fare il minimo indispensabile per rendere la pellicola quantomeno gradevole. Così è, ma non basta. La sceneggiatura si affida troppo ai luoghi comuni del caso, i dialoghi non convincono, e neppure la stesura della trama: non solo scontata, ma anche improbabile e non del tutto sviluppate.
Nemmeno gli attori convincono del tutto, con l’unica eccezione del giovanissimo Freddie Highmore: una doppia parte la sua davvero convincente.

“Spiderwick – Le cronache” è quindi un fantasy piuttosto fiacco. Sorretto da una buona intuizione di partenza, ma dalla struttura narrativa troppo debole e prevedibile.Anche questa volta ci verrà voglia di tornare ad apprezzare la carta stampata: più evocativa e magica della celluloide.

Diego Altobelli (03/2008)

La seconda volta non si scorda mai

Anno: 2008
Regia: Francesco Ranieri Martinetti
Distribuzione: Mikado

Giulio è un trentenne apatico, un poco cinico, e dall’atteggiamento insoddisfatto e stanco. Durante una rimpatriata con dei vecchi compagni di liceo, incontra Ilaria, sorella di un suo vecchio amico. Tra i due scoppia la passione...

Alessandro Siani è un comico napoletano che si è fatto apprezzare, grazie a una comicità scoppiettante e cinica, sia nella sua terra d’origine, sia nel resto d’Italia, favorito anche da alcune comparse in film come “Natale a New York”. Non basta la simpatia però per fare un film, e certamente non basta per fare un film che si possa definire ben riuscito. Serve impegno, servono idee, e soprattutto serve metodo. Nessuna di queste cose, purtroppo, è presente nella pellicola di Alessandro Siani, “La seconda volta non si scorda mai”, sua seconda interpretazione da protagonista dopo “Ti lascio perché ti amo troppo”. Riassumibile come un insieme per niente amalgamato di scenette e siparietti comici, legati tra loro da una fragilissima (per non dire inconsistente) storia d’amore. C’è un po’ di tutto: dall’umorismo grottesco che vede tra le altre scene un pesce rosso prendere il Viagra e ingrandirsi a dismisura, alla bassa barzelletta con protagonisti due carabinieri che pensano di avere tra le mani un pedofilo, fino ai più classici pri pro quo napoletani in cui mantenere “toni pacati” in una conversazione diventa un nome e un cognome. Un costrutto così fragile e così povero di idee davvero comiche o divertenti che fa pensare che il film sia stato scritto e diretto frettolosamente e senza alcuna ispirazione.

A gravare sulla generale leggerezza della pellicola (distribuita con coraggio - o con furbizia? - in duecento copie...) c’è anche la recitazione da fotoromanzo dei due protagonisti, Siani – Canalis, che non convincono mai con il loro atteggiamento più “piacione” che simpatico.
“La seconda volta non si scorda mai” è un film che potrà piacere agli incalliti della commedia napoletana e del comico Siani. A tutti gli altri si consiglia caldamente di guardare altrove: là, dove esistono film in cui la regia non mozza maldestramente le teste dei personaggi inquadrati...

Diego Altobelli (04/2008)

Amore, bugie e... calcetto

Anno: 2008
Regia: Luca Lucini
Distribuzione: Warner Bros

Il calcetto come fuga e come sfogo da una vita di impegni, ansie e frustrazioni; ma il calcetto anche come momento di riflessione sulla vita stessa. Questo il punto di partenza per la nuova commedia di Luca Lucini, regista che esordì con “Tre metri sopra il cielo”.

Sei colleghi di lavoro si ritrovano ogni venerdì a disputare un campionato di calcetto tra squadrette di fabbriche e aziende private. Durante la settimana però, i sei aspiranti calciatori devono fare i conti con ex mogli; fidanzate adultere; contrasti con i figli; matrimoni in crisi...

“Amore, bugie e calcetto” vuole essere una commedia corale e bonariamente ottimistica che, senza alcuna pretesa, intrattiene lo spettatore per tutta la sua durata. E in questo il film riesce in parte.
Il motivo non è la regia, che mantiene comunque un profilo piuttosto basso e che proprio per questa ragione si fa apprezzare, ma il cast di attori. Se da una parte infatti abbiamo Claudio Bisio e Angela Finocchiaro (soprattutto quest’ultima) a portare avanti i momenti più divertenti del film; dall’altra parte abbiamo nomi come (tra gli altri) Claudia Pandolfi, Filippo Nigro e Andrea De Rosa che non trasmettono nulla alla pellicola risultando spesso macchiettistici e il più delle volte accademici. Poco male, comunque, se la recitazione non è il punto forte del film la sceneggiatura frizzante e ben sostenuta sul piano del ritmo riesce a far dimenticare le sbavature attoriali e le (poche) pretese di riflessione che il film vuole infondere.
Proprio su quest’ultimo piano il film risulta anche di difficile interpretazione: là dove una fidanzata non rivela al proprio compagno di essere rimasta incinta di un suo collega, ma preferisce continuare a fingere un rapporto di amore e fiducia; o un uomo preferisce tornare con la sua ex moglie piuttosto che rischiare di proprio in un nuovo amore...
Il festival del qualunquismo, quindi? Può darsi, ma tra una risata e un gol (quello della bandiera a Stefano Tacconi) il tutto passa inosservato. Purtroppo per il regista però, probabilmente accadrà la stessa cosa al suo film...

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1854

Oxford Murders

Anno: 2008
Regia: Alex De La Iglesia
Distribuzione: Warner Bros

Partendo dall’enunciato di Ludwig Wittgenstein "...su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere...", che rivelava l’impossibilità dell’uomo di arrivare alla verità assoluta verso le cose, il nuovo film di Alex De La Iglesia (conosciuto per "La Comunidad" e "Crimen Perfecto") è un thriller dai connotati fortemente filosofici.

Martin è un promettente studente di Oxford che sogna di incontrare il professore e scrittore Arthur Seldom per proporgli una ricerca di dottorato. L’incontro tra i due non è dei più entusiasmanti, ma quando muore un’anziana signora in circostanze misteriose, lo studente e il professore iniziano ad indagare sull’accaduto...

Ad Alex De La Iglesia qualcuno avrebbe dovuto suggerire che c’è un motivo se i filosofi non indagano sui fatti di sangue. E la causa è anche semplice: si rischierebbe di trasformare ogni volta l’indagine in una inconcludente diatriba tra pensatori che magari trovano pure la "verità assoluta", ma certamente non il colpevole. Questo è ciò che purtroppo avviene nel film "Oxford Murders": un lungo, e a tratti estenuante, dialogo tra due menti che cercano di arrivare ad una verità coinvolgendo nella loro conversazione (e ciò rende il tutto abbastanza grottesco) tutti i personaggi che incontrano, poliziotti e infermieri compresi.
Che il film non intenda percorrere i binari usuali del genere giallo è chiaro fin dalla prima scena: quando i due protagonisti, soli nella casa della vecchia signora, la trovano cadavere e chiamano la polizia, ma al commissario non viene in mente che gli assassini possano essere proprio i due (tranquilli, non vi sto dicendo il finale) e anzi si unisce a loro nella tediosa, quanto improbabile disquisizione su "ciò che si vede e ciò che non si vede". E purtroppo il film segue questa strada narrativa per tutta la sua durata, che appare eccessiva anche questa volta (ma di questi tempi non è una novità).
Lunghi dialoghi accompagnano quindi la poca azione del film, tra l’altro confusa quest’ultima tra flashback che somigliano a buchi di trama e un’indagine basata sul peso incorporeo delle parole. Sbadiglio.

Inoltre, a pesare su una sceneggiatura pretestuosa e nulla più, ci si mettono anche gli attori poco in parte e appena accennati nei caratteri generali. Deboli interpretazioni al servizio del “già visto” e “già dato” che non aiutano certo nella difficile immedesimazione con la storia.

Di “Oxford Murders” si può apprezzare il ritmo e qua e là qualche scena ben riuscita (c’è un finto piano sequenza piuttosto interessante), ma alla fine del film si ha la netta sensazione che registi, filosofi e poliziotti, nell’ansia di trovare l’agognata verità, si siano miseramente confusi i ruoli...

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/sc_oxfordmurders.htm

Shoot'em up

Anno: 2008
Regia: Michael Davis
Distribuzione: Eagle Pictures

Fumettone surreale, a metà strada tra il videogioco e il cinema grottesco “Shoot’em up” (già il titolo è tutto un programma) è una lunga, scanzonata sparatoria intervallata da qualche momento (invero poco convinto) di riflessione, e una scena d’amore (quella tra i bellissimi Clive Owen e Monica Bellucci) da “storia del cinema”.

Smith è un personaggio assai curioso. Appassionato di carote, senza un vero lavoro, sempre in giro a ficcare il naso in questioni che non lo riguardano. Una sera, aspettando l’autobus, si ritrova persino a salvare la vita a un neonato che un'organizzazione criminale vuole morto per motivi misteriosi. A fuggire e mettersi in fuga insieme al piccolo, lo aiuterà una sua vecchia fiamma: la prostituta Donna Quintano...

L'inglese Michael Davis (al suo attivo qualche film Tv e Monster Man, un horror inedito in Italia) dimostra di avere tanta fantasia nel confezionare un film che è un concentrato di sparatorie insensate e senza soluzione di continuità. “Shoot’em up” diverte e fila via liscio, costruito com’è sulla violenza gratuita, una scena di sesso mai vista prima (davvero, vedere per credere!), e un generale atteggiamento di strafottenza verso le regole e le organizzazioni criminali che, secondo il film, queste rappresentano.
Non un bel film, sia chiaro, ma divertente.

Diego Altobelli (04/2008)

Tutta la vita davanti

Anno: 2008
Regia: Paolo Virzì
Distribuzione: Medusa
Ispirandosi al libro “Il mondo deve sapere” scritto dalla blogger Michela Murgia, Paolo Virzì dirige “Tutta la vita davanti”, una grottesca e tragicomica commedia nera ambientata nel difficile contesto del precariato in Italia.

Marta è una neo laureata con lode in filosofia che, pur vedendosi pubblicare la tesi in un rinomato giornale accademico trova difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro. Dopo aver ricevuti numerosi rifiuti da molte case editrici, Marta inizia a lavorare come baby sitter e poi come centralinista “outbound” nel call center della Multiple, una società che vende un “esclusivo” prodotto per la casa...

Con umanità Paolo Virzì ci mostra cosa accade a una giovane studentessa (ma il sesso in questo caso non conta) che vuole entrare nel mondo del lavoro in Italia. Narrata cautamente dalla voce di Laura Morante la vicenda di Marta si fa via-via più drammatica riuscendo, però, a rimanere in difficile equilibrio tra realismo (quello del mondo del lavoro) e fantasia (quella che usa Marta per stemperare la tristezza che la circonda).
La Multiple descritta da Virzì è la summa dei Call Center in Italia, luoghi in cui il vero business è quello di assumere personale a ciclo continuo, elargendo compensi “a prestazione” e in cui tutti, dal direttore (interpretato da un “miserabile” Massimo Ghini) alla capo struttura (la convincente e “in parte” Sabrina Ferilli) vivono con disperata angoscia l’ansia per il futuro. Infatti, tranne la speranzosa Marta (identificata nell’“aliena” e ottimista Isabella Ragonese), tutti i personaggi sono fragili e indirizzano la loro rabbia in un lavoro precario che li unisce e li incatena a una vita di incertezze. Proprio queste esitazioni descritte dai personaggi sfoceranno nel finale drammatico che li riunirà tutti, in una conclusione aperta e, fondamentalmente, irrisolta.
Bravissimi gli interpreti, che sostengono con mestiere l’incalzante sceneggiatura, scritta dallo stesso autore in collaborazione con il suo abituale partner Francesco Bruni. I già citati Ghini, Ferilli e Ragonese trascinano il film, ma non sono da meno neppure Elio Germano (davvero convincente nell’interpretare un impiegato dalla personalità labile), Valerio Mastrandrea (un ambiguo militante della CGIL), e Micaela Ramazzotti (una ragazza madre incapace di prendersi cura di sé).

“Tutta la vita davanti” è un film che coglie nel segno. Un po’ critica sociale, un po’ commedia nera, con elementi di musical a condire il tutto, per un film narrato come fosse una favola contemporanea. E come le migliori favole nasconde dietro la sua storia, profonde e commoventi verità sul mondo che descrive.

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1847

Riprendimi

Anno: 2008
Regia: Anna Negri
Distribuzione: Medusa

Unico film italiano in concorso al Sundance Film Festival, e notato da Brad Pitt (secondo voci di corridoio) per potervi realizzate un possibile remake americano: “Riprendimi” è il nuovo lavoro di Anna Negri che, dopo aver esordito nel 1998 con “In principio erano le mutande”, torna dietro la macchina da presa con una pellicola semplice, ma audace.

Due amici, un cameraman e un fonico, stanno realizzando un documentario che ha come tema il precariato nel mondo dello spettacolo in Italia. Come traccia del film decidono di seguire le giornate di due precari, una loro coppia di amici: Giovanni e Lucia, lui attore di fiction, lei montatrice. Purtroppo però i due si stanno separando, e il documentario diventa tutt’altro...

Ci troviamo di fronte all’ennesimo film italiano la cui trama ruota intorno ad una separazione o al mondo del lavoro - A.A.A.: soggetti nuovi cercasi -, malgrado questo assunto però "Riprendimi" risulta più originale e coinvolgente di molte altre pellicole della stessa specie.
A suo favore una serie di fattori, prima fra tutti l’idea alla base del soggetto: quella di fare un film che si "riprende" da solo, che sa essere sia spunto di riflessione, che di siparietti comici volti a spezzare la generale drammaticità delle scene. La regia di Anna Negri si divide agilmente in due, rivestendo un doppio ruolo di cinema amatoriale (quello della telecamera dei ragazzi) e cinema autoriale: un lavoro di montaggio e costruzione, gravoso e non facile, che convince e appassiona.
Se la regia appaga lo spettatore, non sempre all’altezza è la sceneggiatura che troppo spesso torna sui luoghi comuni del lavoro e dei problemi di coppia, confezionando un finale un pò troppo generico e su cui forse valeva la pena soffermarsi di più.
Poco male comunque, fortunatamente il buon cast di attori, primi fra tutti i due protagonisti Marco Foschi e Alba Rohrwacher (entrambi visti in "Nelle tue mani"), sostengono la pellicola riuscendo ad oltrepassare senza esitazioni anche i momenti meno convincenti.

"Riprendimi" è un film curioso, diverso e abbastanza veritiero nel descrivere sia il precariato nel mondo dello spettacolo - costruito su santi, carabinieri e vari medici bellocci -, sia il rapporto di coppia dei trentenni di oggi, spesso insicuri, alla ricerca dell’eterno innamoramento e mai pronti per un rapporto serio. Questi punti di forza, sorretti da un cast azzeccato fanno di "Riprendimi" un film riuscito....
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che ci troviamo davanti, ancora una volta, l’ennesimo film che parla di precariato in Italia e storie d’amore e separazioni.
Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/riprendimi.htm

In amore niente regole

Anno: 2008
Regia: George Clooney
Distribuzione: UIP

Omaggio alla commedia sofisticata degli anni Quaranta: il ritorno di Clooney dietro la macchina da presa somiglia molto a un atto d’amore, un omaggio, al cinema americano.

South Carolina, 1925. Dodge è il capitano della squadra di football Duluth Bulldogs. Quando in seguito a una inosservanza delle regole, la squadra perde sponsor e ingaggio, Dodge si improvvisa manager. Decide così di ingaggiare l’eroe di guerra Carter Rutherford. L’attenzione dei media fa esplodere il caso: la squadra riprende a giocare, ma una giornalista, Lexie Littlelton, si mette a indagare sul passato del militare americano mettendo in dubbio i suoi atti eroici. Dodge, nel frattempo, comincia a fargli una corte spietata...

George Clooney è uno dei pochi attori di Hollywood che riesce a districarsi con maestria tra film di inchiesta e blockbuster, pellicole indipendenti e commedie.

Anche in questo caso, dopo il riuscito “Good night, good luck”, Clooney fa centro omaggiando un genere di cinema caro all’autore: quello che ha fatto di Billy Wilder (con “Prima Pagina” e “L’appartamento”) e Howard Hawks (con “Susanna”) i suoi più grandi rappresentanti, ovvero la “commedia sofisticata”. “In amore niente regole” è un film che parla dell’America fotografandone le contraddizioni e le idiosincrasie, per raccontare con fare entusiastico (osservabile attraverso gli occhi del suo protagonista) la storia di una squadra di football che vive come un trauma il cambiamento epocale di un’era sportiva.

L’America, quindi, come luogo in continuo conflitto con ciò che è e con ciò che deve apparire, assunto questo che si risolve sia nella storia del finto eroe militare (interpretato dal bravo John Krasinski), sia nella storia d’amore, in realtà molto meno centrale di quanto non si possa pensare (soprattutto per via del titolo), vissuta attraverso il punto di vista di Renée Zellweger, divisa tra il gioco del football, la carriera di giornalismo, e la seduzione del protagonista/regista Clooney.

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1857

Gone baby Gone

Anno: 2008
Regia: Ben Affleck
Distribuzione: Columbia Pictures

Patrick e Angie sono due giovani investigatori privati che vengono contattati da una madre tossicodipendente per seguire il caso della figlia scomparsa, una bambina di 4 anni. La ricerca risulta subito difficoltosa, e i due decidono di unire le loro forze a quelle della polizia. L’indagine rivelerà retroscena scottanti...

Al suo esordio come regista Ben Affleck colpisce nel segno confezionando per il bravo fratello Casey un film ispirato al romanzo omonimo di Dennis Lehane, lo stesso scrittore di “Mistic River”. “Gone baby gone” non è solo un buon thriller poliziesco incentrato su un rapimento, ma smuove le coscienze dello spettatore, costretto a compiere scelte morali, esattamente come avviene al giovane protagonista. Proprio Casey Affleck, nel ruolo di Patrick, appare perfetto nel descrivere un personaggio perennemente in bilico tra insicurezza e risoluzione, sentimenti che lo porteranno a decidere per il contestato finale del film. Insieme alla sua partner Angie (interpretata con verosimiglianza da Michelle Monaghan), i due disegnano un interessante rapporto di coppia basato sul rispetto, che esce dagli stereotipi del genere donando alla pellicola una scintilla in più.

Ottima sceneggiatura quindi, e regia ispirata, ma mai pretenziosa, supportata anche da due veterani del cinema hollywoodiano: Morgan Freeman e Ed Harris, entrambi autentici nel rappresentare i difficili caratteri che interpretano.

“Gone baby gone”, che ha ispirato altri tre libri con gli stessi protagonisti, è un film bello e intrigante che al contempo sconvolge nel descrivere il sottile confine tra torto e ragione nell’affidamento di un minore. Punto di vista che però il regista non giudica, preferendo (con intelligenza) semplicemente descrivere.

Diego Altobelli (03/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1853

Step-Up 2

Anno: 2008
Regia: John Chu
Distribuzione: Moviemax

La giovane Andy, rimasta orfana, si trasferisce insieme alla zia nel Maryland. Andy ha un’unica passione: quella per la danza di strada che purtroppo la coinvolge, di tanto in tanto, in giri poco raccomandabili. Proprio per far allontanare la ragazza dalle cattive compagnie, la zia iscrive Andy alla Maryland School of Arts. Malgrado la vergogna per essere diventata una “brava ragazza” agli occhi dei suoi vecchi compagni, Andy troverà la forza per riscattare il suo orgoglio e vincere la “The Street”, una competizione clandestina di danzatori di strada...

“La musica unisce tutti”, diceva qualcuno, e guardando “Step-Up 2”, diretto con sguardo appassionato dall’esordiente John M. Chu, lo stesso si può dire per la danza.
Il secondo capitolo, che ricalca quasi in fotocopia la trama del primo, riporta lo spettatore in un universo fatto di salti acrobatici, sfide all’ultimo passo (le cui regole continuano a sfuggire al povero pantofolaio che guarda il film), tanto sudore, fatica, e un pizzico di sana voglia di vincere e vivere gli anni della giovinezza. Questo lo spirito di un film che non ha pretese cinematografiche se non quelle di intrattenere un pubblico di appassionati, ballerini o coreografi che con molta probabilità si ritroveranno ad entusiasmarsi di fronte alle incredibili coreografie e acrobazie dei protagonisti. Certo, al resto del pubblico rimane ben poco: una sceneggiatura piuttosto piatta, caratterizzata da personaggi che ricordano non troppo velatamente la serie di culto “Saranno famosi”, e che non sembrano molto interessati al dialogo, piuttosto al ballo, sempre e comunque. Ecco che quindi ci si ritrova di fronte situazioni anche un poco surreali e involontariamente comiche in cui un passo di danza diventa la risposta alla domanda: “...Che fai stasera?”. Grottesco.

Ultimo appunto sulle coreografie, tutte concentrate nella competizione finale che si conclude con una lunghissima sequenza di ballo sotto la pioggia che molti hanno interpretato come un omaggio alla celebra scena di Gene Kelly in “Cantando sotto la pioggia”. Ma più che un omaggio, osservando attentamente il film, ad alcuni potrebbe apparire come una “sfida”, lanciata da una giovane filmografia piena di energia, ma con poco, pochissimo metodo.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1865

Un amore senza tempo

Anno: 2008
Regia: Lajos Koltai
Distribuzione: Medusa

Lajos Koltai è un eccellente direttore della fotografia che in oltre trent’anni di carriera ha lavorato con registi come Giuseppe Tornatore.Dopo aver convinto pubblico e critica con il film "Fateless", tratto dal romanzo omonimo del premio nobel Imre Kertèsz, Voltai torna dietro la macchina da presa con "Un amore senza tempo – Evening", adattamento cinematografico di un complesso romanzo di Susan Minot. Ad aiutare nella sceneggiatura il regista, troviamo il Premio Pulitzer Michael Cunningham, lo stesso che ci regalò il copione di "The Hours".

L’anziana signora Ann Lord, in punto di morte e in preda alle allucinazioni, rivela alle due figlie un amore segreto tenuto nascosto per lungo, lunghissimo tempo. Le donne cercano di apprendere di più dal racconto della donna, ma man mano che Ann procede nella narrazione le due si trovano costrette a rimettere in discussione il loro rapporto e le scelte che hanno fatto nella vita...

Con un cast così impegnato e nomi così altisonanti è normale sentirsi un poco in soggezione. Se dal punto di vista tecnico i già citati Voltai e Cunningham bastano da soli a far sistemare nervosamente il colletto della camicia, dal punto di vista artistico c’è da scappare via in preda al panico. Glenn Close, Meryl Streep, Vanessa Redgrave e Natasha Richardson, quattro delle più grandi attrici dei nostri tempi, si presentano a sorpresa in un film tutto al femminile, sorretto sulle spalle delle protagoniste Claire Danes e Toni Collette – e scusate se è poco.
Un cast di sole donne di grande impatto e intensità che dipingono, con i colori caldi del regista-fotografo, una storia commovente e decisamente drammatica.
Se però esuliamo l’elettrizzante cast dal mero prodotto finale, ci troviamo di fronte un film che non definiremmo propriamente entusiasmante. Il problema di "Un amore senza tempo" risiede nella difficile interpretazione del messaggio che vuole dare e nella complicata trasposizione dal romanzo al film.
Quello che infatti era una sorta di gigantesca saga famigliare viene ridimensionato a "racconto della buona notte", con la grandissima Vanessa Redgrave in veste di simpatica nonnina che ci racconta (non senza un pizzico di rammarico) come mai la sua vita, che pure gli ha regalato due figlie e una casa su un mare da cartolina, non gli abbia dato quello che più voleva: l’amore per il bello (e anonimo) Harris.
La risposta alla domanda di una delle figlie - l’impegnata Toni Collette - che chiede timidamente come mai la madre si fosse invaghita di questo "tal" Harris, arriva da Meryl Streep nelle fasi finali del film che con un laconico: "Tutte quante amavamo Harris..." chiude ogni altro dialogo.
Un pò poco insomma, quello che nel romanzo emergeva come un convincente atto d’amore senza tempo (come il film) e senza fine (come la canzone), nel film diventa una - francamente - debole presa di posizione negativa nei confronti di un amore vissuto una notte e scappato via il giorno dopo in preda al rimorso.
Di "grande" insomma non sembra che ci sia granché, e certamente non è l’amore che viene descritto.Ci sono però i nomi che compongono il cast: quelli sì, immensi e senza tempo.

Diego Altobelli (04/2008)

Sfiorarsi

Anno: 2006
Regia: Angelo Orlando
Distribuzione: Atalante Film

"Sfiorarsi", realizzato nel 2006, racconta la storia d’amore tra il fotografo Paolo (interpretato da Angelo Orlando) e l’attrice Céline (interpretata da Valentina Carnelutti): due personaggi innamorati l’uno dell’altro che per tutta la vita non fanno altro che sfiorarsi, incrociarsi e intrecciare le loro vite, senza rendersene conto.

Al suo esordio come regista Angelo Orlando, che molti ricorderanno per il suo passato da cabarettista e molte apparizioni al Maurizio Costanzo Show, dimostra non solo di aver qualcosa da dire, ma di sapere anche come esprimerla. La storia d’amore che il regista racconta è di quelle toccanti, leggere, aeree. Una vicenda che, senza avere pretese assolute come molte pellicole di questi tempi, con semplicità e poesia arriva a toccare le giuste corde dello spettatore.
Infatti, aiutato da un finale a sorpresa (a dire il vero un pò forzato, ma comunque efficace), Angelo Orlando ci trasporta, tra richiami biografici e comicità velata, nel mondo di due personaggi che si sfiorano senza mai toccarsi davvero. Il film è un inno alla gentilezza, quindi, alla forza che questa possiede quando si vuole esprimere un sentimento d’amore sincero e non pretestuoso."Sfiorarsi" di Angelo Orlando, Premio Miglior Sceneggiatura al "Solinas" nel 2005 con "Casamatta Vendesi", è una pellicola che sembra narrata e realizzata in punta di piedi, silenziosamente e con ispirazione vera.

Bravi anche i protagonisti. Valentina Carnelutti – vista anche in "Tutta la vita davanti" - dimostra di avere talento e forza nel ruolo della giovane innamorata e mai sconfitta. Angelo Orlando, d’altro canto, pur pretendendo un pò troppo dal suo personaggio, fila liscio e convince, dimostrando sensibilità attoriale oltre che registica.

E proprio con una regia che colpisce per la maturità e il coraggio, "Sfiorarsi" è un film che va dritto al cuore. Una delle più convincenti pellicole italiane degli ultimi tempi.
Un bellissimo esordio.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/sfiorarsi.htm

3ciento - Chi l'ha duro la vince

Anno: 2008
Regia: Jason Friedberg, Aaron Seltzer
Distribuzione: 20th Century Fox

...E dopo il pessimo “Hot Movie” e seguendo la triste esperienza vissuta da “Epic Movie”, ecco che il duo Jason Friedberg e Aaron Seltzer ci riprova con un’altra presa in giro del cinema e dello star system hollywoodiano. Questa volta però con risultati meno penosi...

L’eroico Leonida si mette alla guida di 13 guerrieri spartani per difendere la propria terra dalle mire del re Serse. I guerrieri di Sparta si troveranno davanti nemici temibili come Rocky Balboa, i Transformers, Britney Spears e Ghost Rider...

Cosa ci sia di divertente nel realizzare un film senza né capo né coda con l’unico vezzo di omaggiare goliardicamente pellicole e scene del cinema contemporaneo è ancora, giunti ormai alla terza pellicola del genere e in procinto di vedere la quarta sui supereroi, un mistero assoluto.
Evidentemente in America questi film trascinano con sé una qualsivoglia forma di pubblico, identificando in esso anche forme di vari vegetali e esseri unicellulari. La critica, del resto, era stata abbastanza chiara: magari scettica per il primo “Hot Movie”, decisamente dura per il secondo “Epic Movie”; eppure il duo Friedberg- Seltzer continua a realizzare pellicole a costo e fatica pari allo zero, contando su una sceneggiatura da scuola elementare e una recitazione al minimo storico.
Mistero, dicevamo, come pure rimane un enigma ai limiti della psicologia “froidiana” quale sia il criterio che muove la scelta delle gag, e se c’è dietro ad essa una qualsivoglia forma di studio sociologico. Purtroppo dobbiamo necessariamente soccombere a tutti i quesiti del caso, sperando magari nella risoluzione di alcuni di questi da parte di un qualche luminare di Storia del Cinema, e sorbirci l’ennesima valanga di luoghi comuni, doppi sensi, e volgarità gratuite. Evidentemente il pubblico ha bisogno di ridere, e poco importa del modo in cui la risata fuoriesce. Tutto è lecito, ogni colpo, perfino il più basso (anzi, più è basso meglio è!) è ammesso. Ecco quindi che Paris Hilton diventa una gobba deforme e libidinosa, Britney Spears una tossica senza pudori, la Lohan una alcolista che esce come niente fosse da un centro di recupero, e il cinema (ah già! Il Cinema...) un enorme calderone non-visivo in cui buttare dentro tutto, reality show compresi.

Il Cinema come pozzo senza fondo: lo stesso usato da Leonida per punire i suoi rivali all’inizio del film. Il film, d’altro canto, come risata resa ubriaca da tanto apparire e nulla dare. E davanti a questa stessa schiavitù che l’immagine senza corpo impone, l’ennesima sciocchezza (ma quale film?) realizzata da Jason Friedberg e Aaron Seltzer si abbassa, si inchina, prostrandosi per un pizzico di compiacimento in più. I registi che tanto giudicano e criticano il mondo che osservano con tanta goliardica durezza, lo usano come trampolino di lancio per arrivare al successo (leggi anche “risata”) facile. Esattamente come fanno e hanno fatto le varie Lohan, Spears e Hilton.

Ecco quindi che la bassezza di un film - va detto a onor del vero migliore degli altri due, se non altro perché più breve e più concentrato sulla presa in giro di una sola pellicola - si fa evidente: là, dove si critica il nulla che abbiamo costantemente davanti agli occhi, si riutilizza lo stesso nulla per farci ridere. Vergogna!

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/meetthespartans.htm

21

Anno: 2008
Regia: Robert Luketic
Distribuzione: Sony

Tratto dal romanzo di Ben Merzich, "Blackjack Club", a sua volta ispirato ad una storia vera, "21" è il nuovo film con la stella di "Across the Universe" Jim Sturgess. Accanto a lui giovani astri nascenti del cinema hollywoodiano e due veterani quali Kevin Spacey e Laurence Fishburne.

A Ben Campbell occorrono 300.000 dollari per potersi pagare le rette del college. In suo aiuto accorre un eccentrico professore di matematica e la sua combriccola di giovani giocatori di Blackjack.Cooperando insieme nel famoso gioco di carte, tramite un sistema di segni e conteggi, svaligeranno Las Vegas...

La pellicola della Columbia Pictures cela, dietro le sembianze di "pseudo thriller giovanilistico", una più acuta e disarmante metafora sui giovani di oggi. "21" infatti, non è solo il punteggio utile per vincere a Blackjack, ma è anche e soprattutto l’età dei protagonisti.
Giovani senza grandi idee sul mondo in cui vivono, che re-interpretano l’idea di sogno americano districandosi tra locali alla moda, belle donne e bei ragazzi, ammiccamenti, e tanti, ma tanti soldi.
E a questo, di fatto, si riduce la pellicola di Robert Luketic (regista de "La rivincita delle bionde" e "Quel mostro di suocera") che rinuncia ad assecondare i pochi spunti della trama, per soffermarsi, con varie panoramiche e carrellate, sulla vita notturna di Las Vegas e i numerosi divertimenti che offre. Neppure le partite di carte, motivo iniziale del film, avvincono: divenendo mera scappatoia per sapere cosa si compreranno i ragazzi con quello che vincono al gioco. Fiacco.
La sceneggiatura d’altro canto, pare confermare, con le sue numerose lacune, la natura pretestuosa della pellicola. Non viene ad esempio spiegato fino in fondo come avviene il conteggio tra i vari giocatori (una serie di associazioni di idee e numeri che convincono poco, a meno che già non si conosca il sistema); neppure l’incontro tra il professore Kevin Spacey e il protagonista è dei più credibili, sostanzialmente fragile perché avviene tropo in fretta; come anche il rapporto tra i vari giocatori, tutti estranei l’uno all’altro e la cui relazione si basa sulla funzione che ognuno ha nel gioco.

Opportunistici.Un film debole quindi, che si conclude in modo superficiale (come del resto è il mondo che descrive) e con un colpo di scena molto prevedibile. Ridateci “Il colore dei soldi”!

Gli attori sostengono le loro parti senza infamia e senza lode. Da Jim Sturgess a Laurence Fishburne tutti coprono il ruolo quasi si trattasse, per l’appunto, di una partita a carte. Con l’unica eccezione negativa di Kevin Spacey: abituati a vederlo sempre in gran forma sul grande schermo, questa volta gigioneggia troppo con un personaggio forse poco riuscito.

“21” è un film pieno di buchi di trama, spiegazioni lacunose, e una generale inutilità narrativa. Una pellicola che forse, se avesse giocato meno con le immagini e più con i personaggi, avrebbe potuto vincere la partita. Così com’è invece, è meglio passare la mano.

Diego Altobelli (04/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/21.htm