giovedì 2 agosto 2007

Psycho

Anno: 1966
Regia: Alfred Hitchcock

La giovane Marion, interpretata da Janet Leigh, fugge verso il motel di Norman Bates, l'indimenticabile Anthony Perkins, con 40.000 dollari in una valigetta: la sua fine diverrà la più celebre nella storia del Cinema. A sua sorella, invece, il compito di indagare sulla sua scomparsa...


Forse il film più famoso di Alfred Hitchcock e in assoluto una delle pellicole più conosciute al Mondo. Nel 1960 il "maestro del brivido" stravolgeva le regole della sceneggiatura facendo morire la protagonista dopo quaranta minuti di film, in un vorticoso e continuo cambio di prospettive e punti di vista. Qui Hitchcock gioca con le attese, inganna lo spettatore, ma sempre "onestamente": ovvero mostrando solo ciò che è indispensabile alla trama. Cult assoluto e metro di paragone del genere, ancora oggi insuperato e insuperabile.Hitchcock affermerà: "Ho giocato a dirigere il pubblico esattamente come si suona uno strumento". Con "Psycho" il "maestro" diventa tale. E Hichcock si destreggia superbamente tra le note del suo pentagramma che è la pellicola. Esempio di come il Cinema, che è già Arte, possa superarsi diventando esemplificazione del suo potenziale: un caso di "Cinema puro".

Perkins, allora alle prime armi, non riuscì più a scrollarsi di dosso il personaggio di Norman Bates, che lo interpretò in due seguiti non proprio riusciti.

Numeri famosi:
4 nomination all'Oscar;
72 sono le inquadrature diverse utilizzate nella scena nella doccia che dura
45 secondi per
7 giorni di lavorazione e
1 controfigura.

Diego Altobelli (08/2007)

Io e Annie - Annie Hall

Anno: 1977
Regia: Woody Allen

Alwi Singer è un cabarettista di successo che si innamora di Annie Hall, un'intelletuale dalla personalità spiccata e vivace. La loro storia d'amore, divertente e frizzante, verrà presto corrotta dalle nevrosi del vivere quotidiano.

Vincitore di quattro premi Oscar: due come miglior sceneggiatura (ad Allen e a Marshall Brickman); uno come miglior regia; e infine a Diane Keaton come miglior attrice.E' in assoluto uno dei migliori Allen di tutti i tempi. Fortemente autobiografico e venato di malinconia per l'incomunicabilità che vi è alla base di ogni rapporto. Allen descrive una storia d'amore che le ingloba tutte, a tutti i livelli. La prende per mano, come fa con lo spettatore, e come una guida turistica descrive la storia: la sua e quella degli altri. Eccentrica la regia: piena di ripetuti flashback e flashforward volti a creare una sensazione di vertigine propria dell'innamoramento.

Straordinaria la dialettica di Allen che la fa da padrone e che trova nella Keaton la "spalla" migliore che abbia mai avuto. Celebre, infine, il suo rivolgersi continuo allo spettatore: idea che sarà copiata e ripetuta infinite volte nel Cinema. Insuperato.

Ideale seguito di "Provaci ancora Sam", con "Io e Annie" Woody Allen sigla il suo film della maturità.Tra le curiosità: nel cast compaiono le future stelle del Cinema Jeff Goldblum e Sigourney Weaver.

Diego Altobelli (08/2007)

La sconosciuta

Anno: 2006
Regia: Giuseppe Tornatore
Distribuzione: Medusa

Echi hitchcockiani nell'ultima fatica di Giuseppe Tornatore: la sua "sconosciuta" rende omaggio al thriller d'autore attraverso una serie di rimandi visivi, con una regia d'alta scuola, e sonori, grazie alle musiche di Ennio Morricone.In una città italiana del nord giunge Irena, una giovane donna ucraina che, in breve tempo, trova un appartamento in cui vivere e un lavoro come domestica in una famiglia benestante. La "sconosciuta" vive segretamente con fantasmi e incubi del passato di cui teme l'improvviso ritorno. Ciò, però, non la distoglierà dall'obiettivo ultimo di riprendersi la propria vita...

Collante della trama è la solitudine: Tornatore tratteggia con toni fortemente decisi personaggi soli, la cui condizione non pone via d'uscita. Solo la speranza, vista attraverso gli occhi della protagonista nel sogno di una maternità mai vissuta, sembra poter fungere da consolazione in un mondo disincantato e fortemente realista.

La regia affascina grazie all'utilizzo di geometrie sceniche atte a trasmettere, come accadeva nella scuola espressionista, le emozioni dei personaggi. La sceneggiatura al contempo cattura, con dialoghi fortemente caratterizzanti e un uso sapientemente equilibrato delle scene: infatti niente di quello che viene rappresentato sullo schermo appare forzato o superfluo, al contrario tutto è utile all'economia della trama e alla comprensione del complesso evolversi della stessa. Le musiche invece sono d'eccezione, con l'intervento di Ennio Morricone che, senza esagerazioni, regala un intensità alla pellicola capace di alienare e, a tratti, letteralmente sconvolgere. E la recitazione appare, infine, convincente: un cast stellare danza ai ritmi ipnotici della pellicola, regalando emozioni e infondendo apprensione per quella che è la storia di ogni singolo personaggio.

Un film bello quindi, senza troppi equivoci: "La sconosciuta" di Giuseppe Tornatore non offre molto il fianco a possibili critiche, siano esse tecniche o concettuali, evitandole grazie alla maturità e all'esperienza dello stesso regista. Nel film si possono trovare riferimenti forzati alla cronaca dei nostri giorni; lo si può accusare di essere, a volte, un pò troppo sviscerale; o ancora gli si può rivolgere l'obiezione di non apparire del tutto convincente nella sua crudezza narrativa, magari rinfacciandogli quel finale fortemente fiducioso e buonista. Non è così: al di là dei richiami e degli omaggi più o meno evidenti o più o meno voluti al cinema d'autore (da Hitchcok a Paul Verhoven solo per citare dei nomi), e oltrepassando le critiche forzate di un certo pubblico, forse troppo accecato dal proprio ego per apprezzarne la sensibilità filmica, "La sconosciuta" rimane un film d'autore di grande carattere e di forte coinvolgimento emotivo, privo di sbavature e, anche per questo, vicino alla perfezione.

Diego Altobelli (10/2006)

Salvador Allende

Anno: 2004
Regia: Patricio Guzman
Distribuzione: Fandango

"Salvator Allende", film documentario sulla vita del presidente cileno morto suicida, vince il premio come Miglior Documentario al Festival di Lima nel 2004. Nello stesso anno concorre al Festival di Cannes e a quello di Locarno, in entrambe nella selezione ufficiale. La pellicola racconta la vita di Allende, dall'infanzia fino al fatidico 11 settembre 1973, giorno in cui le forze militari provenienti dagli alti gradi della Marina e dell'Aviazione, con l'aiuto di Augusto Pinochet, muovono il definitivo colpo di Stato e salgono al potere. In particolar modo il film approfondisce l'aspetto storico che vide il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon "interessarsi" ad Allende, tentando di eliminarlo con l'ausilio della CIA. Salvator Allende sembrava facile da eliminare poiché nella sua politica fatta di ideali socialisti, la forza, verbale o fisica, non era contemplata. Malgrado ciò la morte lo raggiunse solo al suo volere, sotto forma di pallottola in testa. La sua voleva essere una rivoluzione pura, fatta di uomini lavoratori che scendono in strada credendo nella democrazia. Il giorno della sua morte il presidente cileno, prima di infilarsi un fucile in bocca, fece divulgare in radio un comunicato in cui spiegava la sua volontà: quel gesto doveva apparire come la sconfitta di ogni dittatura e la vittoria definitiva dei suoi ideali. Doveva essere un nuovo inizio… la dittatura in Cile durò invece per oltre diciassette anni.

La pellicola di Patricio Guzman è "sentita": il tema sulla vita di Salvator Allende è trattato con lucidità. Guzman dirige il documentario sapendo esattamente cosa dire e come dirlo. Ricorre quindi all'aiuto del popolo, lo stesso popolo che ispirava Allende, e come lui pone domande e si confronta con le loro idee. Si serve poi di una vasta documentazione antologica: alterna interviste a reportage di archivio, oltre a trasmettere immagini di documentazioni storiche che filtrano il clima di omertà che ancora traspare, in alcuni momenti, dalla gente intervistata. Accorato. Comunque siamo lontani dalle indagini da "iena" di Michael Moore, e viaggiamo al contrario su binari più lenti e pacati. Al film si rimprovera quindi solo che alcuni argomenti vengano appena tratteggiati e paiono sfuggire all'attenzione del regista, che invece intende sottolineare l'aspetto idealista e utopico di Salvator Allende.

Diego Altobelli (09/2005)

Prime

Anno: 2005
Regia: Ben Younger
Distribuzione: Eagle Pictures

Seguito ideale di "Boiler Room" con Vin Diesel e Giovanni Ribisi, "Prime" è una commedia romantica tra le più disincantate e acute viste negli ultimi anni.

Sullo sfondo di una Manhattan metropolitana si incrociano le vite di David, ragazzo ebreo di ventitre anni, con l'hobby della pittura e indeciso sulla sua vita, ma con la voglia di emergerete nel mondo della maturità; e di Rafi, una trentasettenne "sopravvissuta" a un divorzio, in analisi dalla psicanalista e col bisogno di lasciarsi tutto alle spalle. Rapidamente quanto inaspettatamente tra i due "scoppia la scintilla" e decidono di iniziare insieme una relazione nonostante i 14 anni di differenza. Quando Rafi scoprirà che la sua analista è la madre di David, comincerà a vedere il rapporto col ragazzo sotto altri punti di vista…

Film non banale e diretto con mano sicura da Ben Younger che per questa pellicola ha potuto contare sull'appoggio di due tra le donne più incisive di Hollywood: la maestosa Meryl Streep e la smaliziata Uma Thurman. Malgrado un ritmo narrativo non sempre costante, dovuto alla doppia natura dolce-amara della pellicola, il film, che ha impiegato otto anni per essere scritto, risulta del tutto godibile, intrigante e tenero.I due protagonisti della storia sono, in verità, due personaggi molto diversi l'uno dall'altra:lui giovane ebreo in procinto di intraprendere il suo percorso di crescita; lei cattolica non praticante che, alla soglia dei quaranta, inizia a tirare un bilancio della propria vita. Ma la differenza di religione e d'età sono solo due dei tanti aspetti presi in esame dal film che, come una radiografia, scava più a fondo nel rapporto tra due persone, finendo per descrivere una storia d'amore di facile immedesimazione per chiunque.

La complicità posseduta dagli attori protagonisti lascia a tratti sconcertati, soprattutto quando la scena è lasciata nelle mani della Streep, la cui interpretazione è un vero e proprio spettacolo: vale da sola il film. I suoi duetti con la Thurman inoltre, oltre che risultare spassosi assumono i toni del "passaggio di consegne": una sorta di esame di maturità per la Thurman che dimostra di essere davvero un'attrice completa. Nella parte di David invece, vediamo Bryan Greenberg, attore proveniente dalla televisione e dal teatro: in piena crescita.

"Prime" nasconde, dietro alla facciata di commedia sentimentale, una più amara verità sul sentimento d'Amore: rivelazione "tutta da scoprire" in un finale affatto scontato e colmo d'intensità, che ricorda molto da vicino "Io e Annie" di Woody Allen. E in effetti, in ultima analisi, il film di ben Younger, pare avere molte cose in comune con il film premio Oscar di Allen del 1978, a cominciare dall'ambientazione, fino ad arrivare alla natura più intima della pellicola. Rivelazione.

Diego Altobelli (02/2005)

Nanny McPhee - Tata Matilda

Anno: 2005
Regia: Kirk Jones
Distribuzione: Eagle Pictures

Tratto da una sceneggiatura di Emma Thompson, e adattata da una serie di libri per bambini scritti da Christianna Brand, "Nanny McPhee" fa tornare in auge sul grande schermo il tema della tata: la signora di servizio con l'onere di tenere a bada i bambini. Film divertente che: strizza l'occhio, senza nasconderlo troppo, alle atmosfere di "Lemony Snicket" e alle scenografie di "Willy Wonka"; vede alla regia Kirk Jones, già famoso per "Svegliati Ned"; e che si fregia della partecipazione illustre di Angela Lansbury.

Il signor Brown può contare su sette intelligentissimi e crudelissimi figli per combattere la noia...
Le piccole pesti hanno già fatto fuggire diciassette tra tate e donne di servizio negli ultimi due mesi: un vero e proprio record. Il povero vedovo signor Brown non ha davvero più idee per tenere a bada i propri figli diviso com'è tra casa e lavoro, in più deve assolutamente trovare una nuova moglie entro la fine del mese: pena la rinuncia al sussidio economico che la vecchia suocera gli fa pervenire da tanti anni. Come fare? In suo aiuto interviene il fato e la magia, così che una notte alla porta di casa bussa Tata Matilda, una strega buona che vuole impartire cinque lezioni ai suoi piccoli figli...

Emma Thompson torna sul grande schermo a spalleggiare Colin Firth, "Il diario di Bridget Jones", e il mostro sacro Angela Lansbury, "La signora in giallo" più famosa della televisione, e il suo non può che essere un ritorno ad effetto. Malgrado una interpretazione modesta e senza grandi slanci, atta a favorire il lavoro attoriale dei piccoli figli del signor Brown, tutti attori giovanissimi e bravissimi, Emma Thompson risulta essere in perfetta sintonia con la parte della vecchia strega Matilda. A rendere la pellicola ulteriormente piacevole, sorretta comunque da un buon ritmo e una sceneggiatura ben articolata, interviene la Lansbury: davvero efficace e visibilmente divertita dal contesto del film.

Degne di nota le scenografie e la generale atmosfera di fiaba che, grazie a queste, si respira durante il trascorrere della pellicola."Tata Matilda" è un film leggero indirizzato a piccole pesti e a padri incapaci... un piacevole diversivo se non avete voglia di leggere un buon libro di favole a vostro figlio.

Diego Altobelli (04/2006)

Genere - Thriller


The final cut

Anno: 2004
Regia: Omar Naim
Distribuzione: Eagle Pictures

Con The Final Cut Robin Williams torna al thriller dopo aver interpretato Insomia e One Hour Photo, seguendo quindi una tendenza che da qualche anno a questa parte ha coinvolto la sua carriera. C'è un legame particolare che unisce i tre titoli citati: risiede nella recitazione dello stesso Williams, insondabile e capace di cambiamenti emotivi spesso inaspettati. Come i personaggi degli altri film, in The Final Cut il pluri premiato Robin Wiilliams interpreta allo stesso modo anche Alan Hackman, un montatore di vite umane.

Alla morte di una persona, la famiglia di questa può contattare Alan per fargli realizzare un filmino commemorativo sulla vita del defunto, servendosi dei suoi ricordi. Quando Alan accetta di realizzare il filmato di un ricco signore, scopre che nei ricordi del morto c'è qualcosa, un particolare, che interessa la sua vita...

Il tema delle memorie visive risulta sempre affascinante: da Strange Days a Se mi lasci ti cancello, la possibilità di poter interagire con i ricordi propri e di altri intriga il pubblico. Anche in questo caso la trama è molto coinvolgente: un alone "noir" di mistero e scoperta avvolge tutta la pellicola che, grazie alle buone interpretazioni dei due protagonisti, Mira Sorvino e lo stesso Williams, risulta davvero piacevole.Purtroppo però la stessa trama soffre di una certa incompiutezza di fondo. Pur risolvendosi, e facendo tornare ogni elemento narrativo al giusto posto, si ha la sensazione che la vicenda narrata non sviluppi sufficientemente alcuni particolari narrativi. Forse la pellicola avrebbe giovato di un più ampio respiro, un maggiore approfondimento drammatico.

Malgrado questo il film, che è ben girato dal debuttante Omar Naim, trascina il pubblico fino alla sua imprevedibile conclusione. A tal proposito, dal punto di vista "registico", degna di nota è la scena in cui la chiesa dove si celebra il funerale del ricco magnate, viene trasformata letteralmente in un cine-club. Visionario.The Final Cut è quindi un film intrigante, un suggestivo tentativo di indagare negli sfuggevoli meandri della memoria.

Diego Altobelli (05/2005)
estratto da http://filmup.leonardo.it/sc_thefinalcut.htm

martedì 31 luglio 2007

Blow-up

Anno: 1966
Regia: Michelangelo Antonioni

Un fotografo rampante della "swinging Londra" scopre, ingrandendo per caso una foto scatatta per un servizio di moda, le tracce evidenti di un delitto. La ricerca per la verità comincia subito, ma presto l'ossessione del fotografo diventa pura immaginazione...

Ispirato a un bellissimo racconto di J. Cortàzar dal titolo "La bava del diavolo", "Blow-up" è l'indagine di Antonioni nel mondo del Cinema, dell'inquadratura, del mostrabile e di ciò che si trova dietro il fotogramma.

Di più: Antonioni gioca con la mente del protagonista, nient'altro che spettatore come il pubblico in sala, e con lui interroga il sogno cercandone l'origine. Quella del protagonista è una ricerca inutile (o quantomeno intangibile), una indagine solitaria e silenziosa (celebre la scena dei mimi) che altro non vuole essere che metafora dell'esistenza umana. Vivere in un continuo riflettere sulla condizione altrui per sperare di dare senso alla propria.

Da specchio della vita modaiola anni Sessanta il film giunge a possedere un ritmo sospeso e tirato fino all'esasperazione. Antonioni racchiude in "Blow-up" tutto il problema del Reale. Di ciò che è "cosa" provabile, tangibile, sensibile e percepibile come vera. In assenza di una soluzione assoluta al quesito, Antonioni si ritrova coinvolto suo malgrado nella follia della ricerca stessa. Finendo per perdersi (ma per alcuni si ritrova) nell'immagine da lui dipinta.

Palma d'Oro a Cannes e Nastro d'argento per il miglior film straniero, fu osannato dalla critica che oggi invece riserva commenti acerbi e un poco freddi. Per tutti, comunque, "Blow-up" rimane un esempio unico di indagine sul Cinema. Meraviglioso.

Diego Altobelli (07/2007)

Il posto delle fragole

Anno: 1958
Regia: Ingmar Bergman

Il viaggio di un vecchio medico che, giunto ad un punto di arrivo della sua vita (un prestigioso riconoscimento accademico) si trova a rimettere in discussione tutta la sua esistenza e a ricercare, attraverso sogni e visioni, il suo "posto delle fragole". Un luogo dove ritrovare, e riscoprire, lo stupore...

Orso d'oro a Berlino nel 1958, Golden Globe come miglior film straniero nel 1960 e nominato agli oscar per la sceneggiatura nello stesso anno. Per molti uno dei migliori film di Bergman, affianco a "Il settimo sigillo" e "Fanny e Alxander", in assoluto una delle più grandi pellicole nella storia del Cinema. Delicato, profondo, avvincente e visionario: ne "Il posto delle fragole" c'è virtualmente racchiuso tutto quello che c'è da sapere sul Cinema. Una tecnica perfetta, data da un chiaro scuro nitido quanto eterno e una accuratezza delle inquadrature raramente viste, o ritrovate, sul grande schermo; una storia nostalgica e malinconica, in sintonia con lo spirito conflittuale del regista dove sono presenti l'attraversamento della linea d'ombra (l'incubo) e la fine della vecchiaia, visto come un nuovo inizio (il ricordo); e una regia esemplare, che pesca nel neorealismo (il viaggio quotidiano) e nell'espressionismo (quello onirico) tedesco le basi per rivoluzionare il modo di osservare il sogno. Capolavoro.

Hanno scritto:
"La costruzione è perfetta, l'intrecciarsi tra realtà, sogni e ricordi è dato da una sceneggiatura rimasta come un classico nella storia del cinema." Trosatti/ Il Castoro

"E' forse il più alto risultato di Bergman degli anni '50." M. Morandini / Zanichelli

Diego Altobelli (07/2007)

Addio Michelangelo Antonioni (1912 - 2007)

“Penso che gli uomini di cinema debbano sempre essere legati, come ispirazione, al loro tempo. Non tanto per esprimerlo nei suoi eventi più crudi e più tragici, quanto per raccoglierne le risonanze dentro di se." (M. Antonioni)

"...Noi sappiamo che sotto l'immagine rivelata ce n'è un'altra più fedele alla realtà, e sotto quest'altra un'altra ancora, e di nuovo un'altra sotto quest'ultima, fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa che nessuno vedrà mai, o forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà." (M. Antonioni)

Crank

Anno: 2007
Regia: Mark Neveldine e Brian Taylor
Distribuzione: 01 Distribuzione

I registi Mark Neveldine e Brian Taylor provengono dalla pubblicità, campo professionale dove hanno realizzato con successo spot per Nike, Motorola, Budweiser, e molte altre multinazionali. Da quel mondo, in cui bisogna imparare a enfatizzare il prodotto da vendere per non venire schiacciati dalla concorrenza, Neveldine e Taylor saccheggiano idee per realizzare “Crank”, un film che come uno spot cerca di darti tutto in poco tempo.

Chev è un killer a pagamento che una mattina si sveglia con una dose di veleno mortale nel sangue. A somministrargliela nel sonno è un suo rivale, con cui aveva dei conti in sospeso. Presto Chev capisce che il virus iniettato nelle vene non è un veleno “normale”, ma una diabolica “trappola cinese”: per sopravvivere infatti l’uomo deve mantenere il tasso di adrenalina nel sangue sempre a livelli altissimi, altrimenti il suo cuore si fermerà...

Jason Statham, dopo il successo in home video di “The Transporter”, ribadisce la sua predilezione nel vestire i panni di un killer senza scrupoli, con poca umanità e tanta determinazione. Nella sua interpretazione, a fianco a quella della poco nota Amy Stuart, c’è tutto il divertimento del film. Una pellicola che, tra citazioni ai noti “The Blues Brothers” (la scena dell’inseguimento nel centro commerciale ne è un “omaggio” palese) e “Die Hard”, non fa altro che strappare qualche sorriso nelle molte trovate grottesche. Si ride quindi, e senza aspettative si arriva a un finale a effetto che lascia perplessi.

Quello che colpisce in “Crank” non è la trama, figlia della generazione di ragazzi cresciuti tra videogames e spot pubblicitari. Non è nemmeno la regia, furba nel creare diversivi - pellicola sporca, filtri sull’obiettivo, carrellate al contrario - utili quando non si hanno idee su come rappresentare qualcosa sullo schermo. Neppure la recitazione è memorabile: urlata, enfatizzata, specchio riflesso di condizioni narrative improbabili. No, quello che colpisce in “Crank” è solo il coraggio dei due registi nel proporre un film che segue le medesime regole della pubblicità: brevità, finale a sorpresa, appagamento fittizio.

Diego Altobelli (07/2007)

lunedì 30 luglio 2007

Addio Ingmar Bergman (1918-2007)


Addio maestro.
Sarai per sempre nel posto delle fragole.

Nel fantastico mondo di Oz

Anno: 1985
Regia: Walter Murch
Distribuzione: Walt Disney

Film diretto dal bravissimo tecnico del suono Walter Murch (famoso collaboratore di George Lucas e Francis Ford Coppola) e seguito, più ufficioso che ufficiale, de "Il mago di Oz" del 1939. Murch riporta Dorothy "Nel fantastico mondo di Oz" dove scopre che la città di Smeraldo è stata rasa al suolo. Ritroverà l'uomo di latta (un robot...), uno spaventapasseri con la testa a forma di zucca, e il leone codardo: insieme scopriranno cosa è accaduto a Oz e, naturalmente, come tornare nel Kansas...

Celebre fiasco della Disney e manifesto della cultura pop anni '80: il film di Murch è molto più simile a una favola gotica o persino a un film horror, che a una vera e propria pellicola per bambini, soprattutto se si pensa che è prodotta da Disney! Comunque, il risultato finale è di sicuro effetto: streghe senza testa, uomini con ruote al posto di mani (i terrificanti "Wheelers"), muri parlanti, labirinti, specchi e un nemmeno troppo velato suggerimento ad una insanità mentale della piccola Dorothy, che in una scena viene legata a un letto da perfidi dottori... Il film insomma, riallacciandosi ai libri di Frank Baum (i seguiti "The land of Oz" e "Ozma Oz"), descrive uno scenario apocalittico, disperato e onirico ben lontano dalle atmosfere spensierate e ottuse raccontate da Flemming.

Nella parte di Dorothy la giovanissima Fairuza Balk, riconoscibile interprete del film "Giovani streghe" (1996). La sua interpretazione, caratterizzata da continue espressioni di stupore, risulta idonea al tenore del film: alienata, ambigua e un poco insana. Azzeccata.

Figlio dello stesso filone di "Labirinth", "Legend" e "La storia infinita", "Il fantastico mondo di Oz" è un film affascinante e, tutto sommato, "sottovalutato". Un piccolo cult che "...colpisce per i ricordi che lascia" (C. Gazzeri).

Diego Altobelli (07/2007)

Il mago di Oz

Anno: 1939
Regia: Victor Flemming

Uno dei primi esempi di spettacolarizzazione del mezzo Cinema e la rappresentazione più nitida del passaggio dal colore al bianco e nero: racchiusa nella scena in cui Dorothy apre la porta per il magico mondo di Oz. "Il mago di Oz" di Victor Flemming, regista preferito ai più famosi Thorpe, Cukor e Vidor (quest'ultimo riuscì comunque a siglare l'inizio e la fine girati in "seppia"), è "L'inno alla gioia" del Cinema degli anni '30. Il Tecnicolor descrive l'emozione che si prova nel trovarsi alle porte della città di smeraldo; Frank L. Baum racconta il soggetto; Flemming dirige; e la splendida Judy Garland (all'epoca appena sedicenne) canta la mitica "Over the rainbow" che vale ben due Oscar: un capolavoro.

Degne di nota sono la recitazione e le scenografie: immense quest'ultime e teatrali le prime, caratterizzate da una mimica molto marcata propria del genere musical, di cui "Il mago di Oz" risulta uno dei più grandi rappresentanti nella storia del Cinema.
Spettacolari anche gli effetti speciali, che all'epoca costarono quasi 3000 dollari: un'enormità.

Il film riscosse un successo planetario, ma non in Italia, dove anche i libri di Baum non vendettero molto e ancora oggi sono praticamente introvabili. Forse anche a causa delle molte metafore politiche (di stampo "conservatore") celate dietro il soggetto...
Per la cronaca Victor Flemming è lo stesso regista di "Via col vento": pellicola con cui condivide, oltre al successo e all'ambizione, anche il gigantismo produttivo.

Diego Altobelli (07/2007)