venerdì 28 ottobre 2011

The Lady

Anno: 2011
Regia: Luc Besson

Era atteso con curiosità alla sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dopo aver ricevuto un discreto consenso al Toronto Film Festival, "The Lady" è l’ultima creazione del regista visionario Luc Besson ("Nikita", "Il quinto elemento", "Giovanna d’Arco") alle prese questa volta con un biopic che odora di svolta creativa.

La vera storia del premio Nobel per la pace nel 1991 Aung San Suu Kyi, donna che ha saputo imporsi sul governo militare birmano, diventando per il suo popolo un’icona di libertà. Aung San Suu Kyi lotterà contro la dittatura in nome della democrazia. Dovrà pagarne il prezzo. Gli arresti domiciliari; la sfortunata morte del marito; l’attentato nel 2002 da cui si salverà, ma che la debiliterà fisicamente...

L’interprete malesiana già protagonista de "Memorie di una Geisha" Michelle Yeoh veste i panni della donna simbolo della democrazia birmana Aung San Suu Kyi in modo impeccabile, scrupoloso, fino al manierismo più estremo. E forse questo eccedere nelle convenzioni è anche il difetto alla base della pellicola, che non pecca in equilibrio formale - riuscendo a dosare nel giusto modo gli ingredienti del dramma - ma in quello sostanziale. Difficile anche riconoscere il timbro registico di Besson, se non avventurandosi in improbabili parallelismi tra le protagoniste dei suoi film e la Suu Kyi. Giovanna d’Arco, Nikita, o la giovanissima protagonista di "Leon", possiedono la stessa potenza emotiva della donna birmana. Ma qui parliamo di un personaggio vero, ancora vivente e questo particolare finisce per pesare per forza di cose sul modo di osservare il film. Luc Besson allora cerca la svolta. Il passaggio dalla finzione di un "Adele e l’enigma del faraone" al realismo dei giorni nostri, ma allo stesso tempo non vuole tradire il suo stile. Realizza un buon film, ma piatto e vagamente asciutto.

Diego Altobelli (11/2011)

Le avventure di Tintin - Il segreto dell'unicorno

Anno: 2011
Regia: Steven Spielberg

Direttamente dalle tavole di Hergè prende vita l’ultima creazione del mito Steven Spielberg. “Tintin e il segreto dell’unicorno” è al tempo stesso il ritorno di un maestro al cinema e l’esercizio di stile, anche un po’ pedante.

Il giornalista Tintin, accompagnato dal fidatissimo (e acutissimo) cane Milou , scova in un mercatino una vera e propria occasione: la perfetta riproduzione in scala di un veliero con la prua a forma di testa di unicorno. Sfortunatamente Tintin ancora non sa che quel magnifico modellino nasconde un segreto: nientemeno che la parte di una mappa per raggiungere un tesoro sommerso. Rapito da dei sicari che bramano l’oro, Tintin si ritrova coinvolto in una nuova avventura…

Realizzato con la tecnica del motion capture - alla stregua di pellicole come “Polar Express”, “Beowulf” e “A Christmas Carol” – Tintin approda sullo schermo con piglio orgoglioso. Un debutto in grande, non c’è che dire. A dirigerlo del resto c’è Steven Spielberg, che gioca con le prospettive e i punti di vista cercando di riprodurre lo stesso effetto che si aveva leggendo, sfogliando e immergendosi nelle tavole di Hergè. D’altro canto, lo stesso Hergè è da considerarsi (senza esagerare) uno dei più importanti autori di fumetti mai esistiti. Un grande, come Will Esner o Cesare Zavattini. Quindi, con due nomi così a sorreggere il peso dell’opera, sbagliarne l’esito è francamente difficile. “Le avventure di Tintin – Il segreto dell’unicorno” è un film che sotto certi aspetti sbalordisce. Richiama in più riprese il meglio di “Indiana Jones”, ci trasporta in un universo “giallo” cristallizzato tra Agatha Christie e Sherlock Holmes, invoglia la visione a ogni nuova svolta narrativa.

Non tutto oro è quel che luccica, si dice, e allora ecco forse un eccesso di vanità da parte di quel regista, Steven Spielberg, che ha saputo toccare con il cinema quasi ogni corda del “vedere”. Il suo Tintin piace e diverte, ma alla fine si ha la sensazione del “compitino” ben fatto. Gli si dà un voto alto, ma il primo della classe questa volta sembra distratto.

Diego Altobelli (10/2010)

La brindille

Anno: 2011
Regia: Emmanuelle Millet

Film che segna l'esordio alla regia per Emmanuelle Millet, la quale gioca con un suo romanzo e lo traduce abilmente in cinema. Il risultato è denso di melassa e buoni sentimenti, ma può fregiarsi dell’ottima interpretazione di Christa Theret, già vista un paio d’anni fa in “Lol” al fianco di Sophie Marceau, e di una sceneggiatura piuttosto coinvolgente.

Il “ramoscello” del titolo è la giovane Sarah che scopre di essere rimasta incinta. Confusa da questa nuova prospettiva e senza poter contare su nessuno, la ragazza comincia un viaggio che la porterà in una clinica per abortire. Ma la vita sarà più forte…

Un po’ “Juno”, “La Brindille” possiede come il film di Jason Reitman vincitore del Marco Aurelio del 2007 il piglio giusto per parlare di maternità senza annoiare. Manca un po’ di pathos, un briciolo di coinvolgimento in più, forse anche quel pizzico di rarefatta follia che si respirava nel film di Reitman. Al di là di questa (unica) annotazione, “La brindille” sa essere un buon esordio, arricchito da una interpretazione vivace. Un racconto di formazione senza tempo.

Diego Altobelli (10/2011)