sabato 10 maggio 2008

Notte brava a Las Vegas

Anno: 2008
Regia: Tom Vaughan
Distribuzione: 20th Century Fox

Una storia leggera, da giovani innamorati, che diverte grazie all’esuberanza e alla complicità dei protagonisti Cameron Diaz e Ashton Kutcher.

Jack Fuller, scapolo incallito, deve superare la delusione di essere stato licenziato dal padre; Joy Mc Nally, donna in carriera, vuole lasciarsi alle spalle il ricordo di essere stata mollata dal suo futuro sposo. Con un viaggio organizzato dai loro migliori amici i due si ritrovano a Las Vegas e, dopo una notte di eccessi, sposati con 3 milioni di dollari. Finito l’effetto dell’alcool i due cercano di divorziare, ma davanti a un giudice integerrimo vengono costretti a sei mesi di convivenza forzata alla fine dei quali potranno dividersi i soldi equamente. Malgrado la difficile convivenza, i due si innamorano...

Un vecchio detto recita: “Quello che succede a Las Vegas, rimane a Las Vegas” vero o no, pare che la commedia romantica di Vaughan voglia prendersi gioco proprio di questa diceria. Contrapponendo le due personalità agli antipodi - quella della perfettina Diaz e dello scapestrato Kutcher -, il regista confronta allo stesso modo le due città in cui la storia si ambienta: Las Vegas a New York, che in qualche modo rispecchiano i caratteri dei due protagonisti. L’approccio alla vita da scapolo, da “ogni lasciata è persa”, rintracciabile a Las Vegas, irretisce la bella Cameron Diaz che però si riscatta vincendo la sua partita (quella dei sentimenti) a New York: città dove invece gli eccessi vengono ridimensionati a una quotidianità fatta di impegni di lavoro, traffico e pianificazione. Il regista è bravo a gestire questo gioco di specchi e, con mano divertita, dirige i due attori che sembrano al loro meglio.
D’altro canto la sceneggiatura di Dana Fox (“Un amore in prestito”, “27 volte in bianco”) si fa apprezzare soprattutto perché incentrata su una finta guerra tra sessi: due persone che non hanno la minima intenzione di scontrarsi realmente, ma solo di dimostrare che potrebbero farlo. Un atteggiamento tanto infantile quanto divertente e riuscito.

Diego Altobelli (05/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1875

Slipstream - Nella mente oscura di H.

Anno: 2008
Regia: Anthony Hopkins
Distribuzione: Delta Pictures

Uno scrittore sta lavorando alla sceneggiatura del suo prossimo film dal titolo “Slipstream”. Senza però rendersene conto, realtà e immaginazione si confondono divenendo un bizzarro affresco visivo che affonda le sue radici nel sogno.

Anthony Hopkins alla sua terza prova come regista dopo “Dylan Thomas: Return Journey” del 1990 e “August” del 1996, imbocca la strada del cinema sperimentale con una pellicola fortemente biografica, che ricorda la recente esperienza di Francis Ford Coppola con “Un’altra giovinezza”.
In “Slipstream – Nella mente oscura di H.” (mai titolo fu più profetico) immagini, suoni, persino intere sequenze, si intersecano l’uno all’altra, sfalsando i piani di lettura narrativa, giocando con il fuori sincrono della voce e, infine, creando volontari errori visivi. Una pellicola talmente “al limite” da far impallidire i lavori di Luis Bunuel come “L’età dell’oro” o un certo modo di narrare di “lynchiana” memoria.

Malgrado la difficile lettura del testo visivo, “Slipstream” è anche un film interessante che parla di cinema e della sua intima creazione. Non a caso la storia racconta la nascita di una sceneggiatura e del caos che questa porta: nell’animo e nel cuore di chi vi lavora prima; di chi la interpreta poi; e infine di chi la osserva sottoforma di pellicola ambiziosamente finita. Ma mai lo sarà nel cuore di chi l'ha scritta cercando nella sua opera la perfezione dell'arte.

Diego Altobelli (05/2008)

giovedì 8 maggio 2008

Speed Racer

Anno: 2008
Regia: Fratelli Wachowsky
Distribuzione: Warner Bros.

Nel 1967 Tatsuo Yoshida - il maestro creatore di serie animate come "Gatchman: La guerra dei pianeti", "Judo Boy", "Il mago pancione Etciù" e, soprattutto, "Kyashan" -, considerato uno dei pionieri dell’animazione giapponese, creò e disegnò un cartone che divenne nel giro di una decina di anni, un vero anime di culto. "Match Go Go Go", giunto in Italia solo nel 1980 con il titolo "Super auto Match 5" (con la mitica colonna sonora cantata dai Cavalieri del Re) si impose nel fragile ma variegato palinsesto televisivo di primi anni ’80 con la sua struttura episodica che vedeva ad ogni nuova puntata il protagonista Go Mifune (da qui il gioco di parole del titolo dove "go" in giapponese significa "cinque") iscriversi ad una nuova corsa su un circuito ai limiti delle capacità umane, e vincerla ricorrendo all’aiuto dei marchingegni installati sulla sua vettura, sbaragliando gli avversari venduti a una organizzazione criminale. Ad assisterlo vi erano tutta una serie di personaggi dalla presenza piuttosto pretestuosa di puro intrattenimento: dalla bella Trixie, innamorata del protagonista, alla scimmietta Chim-Chim, e a seguire tutta la famiglia Mifune.
Malgrado la natura profondamente ingenua del cartoon, e nonostante la serie si reggesse su assunti piuttosto improbabili, il programma proseguì per oltre 50 episodi, facendosi apprezzare proprio per la sua semplicità e immediatezza. Inoltre "Super auto Match 5" attingeva a un immaginario figlio di quegli anni: e non stupiva quindi ritrovare nei vari episodi personaggi e situazioni che sembravano usciti da film come "007 - Gold Finger" o dai dischi di Elvis Prestley.

E dopo questa lunga premessa, doverosa per ricordare in linea generale l’opera di un grandissimo autore di anime, giunge nelle sale il remake di quel famoso cartoon con il titolo americano di "Speed Racer" ad opera dei fratelli Wachowsky che, dopo la fantascienza dai motivi new-age di "Matrix", ci deliziano visivamente con un film che è costato oltre 120 milioni. Il risultato è un'orgia visiva ai limiti del glamour più spinto e provocatorio.

I Wachowky ci mostrano le gesta di Go Mifune, divenuto semplicemente Speed di nome e Racer di cognome, che alla fine di una vittoria su pista si vede offrire un contratto da capogiro dalla multinazionale Royalton che comanda segretamente l’esito di tutte le gare. Il ragazzo rifiuta per non venire meno ai valori della sua famiglia, ma così facendo si ritrova contro tutti i piloti in una corsa all’ultimo giro per vincere la World Racing League. Ad assisterlo, tra gli altri, un misterioso personaggio di nome Racer X, che ricorda lontanamente il suo fratello morto durante una corsa...

C’è da dire che l’impatto non manca. La pellicola dei fratelli Wachowky è una festa di colori, azione frenetica, gran ritmo guidati da una trama raccontata ricorrendo a sovrapposizioni e flashback continui. A colpire della regia soprattutto l’uso frequente di parallasse e fondali bidimensionali che si sovrappongono, richiamando alla mente la natura spartana dell’animazione del cartone cui si ispira. Mentre però le scene d’azione, le gare, divertono per la loro assurdità (giri della morte, tornanti impossibili, curve paraboliche) e per i numerosi marchingegni a cui ricorre il pilota della Match 5, di contro il film pesa - per non dire annoia - durante le fasi di collegamento tra una corsa e l’altra, cui dialoghi eccessivamente prolissi a tema "famiglia e affetto" prendono il posto alla velocità vista su strada. Sceneggiatura dunque piuttosto debole che si fa presto caotica, divisa tra arti marziali, retorica famigliare, umorismo un poco spicciolo (dove i ninja diventano nonja), e gare sfrenate: queste ultime tra l’altro, a volte risultano, causa proprio la velocità, piuttosto confuse.
Il film dei fratelli Wachowsky, quindi, è un film che diverte ed entusiasma solo se si decide di vederlo per la sua forte personalità visiva, figlia di CGI a valanga (dove ogni inquadratura è stata ritoccata al computer), e per ricordare, omaggiandolo con un pizzico di furbizia, un anime culto degli anni Sessanta. Un film adatto a tutti, soprattutto ai più piccoli, e che lascerà storditi per la mole di colori ed effetti speciali.
Di contro abbiamo una trama debole, prevedibile e alla lunga piuttosto noiosa dove troppo spesso capita di chiedersi: "Quando si rimette in pista?".
Poco importa insomma, a chi non ha amato e visto il cartone, se i personaggi e le situazioni ricalcano fedelmente l’anime: da Emile Hirsh e Christina Ricci, sino ai veterani John Goodman e Susan Sarandom, gli attori sembrano usciti direttamente dal cartone di Tatsuo Yoshida. Molti contesteranno invece l’assenza di vero pathos narrativo, magari citando certi "Giorni di tuono" del cinema automobilistico.
E ai più rimarrà la triste idea di un film travestito da cartoon che si è messo a lucido per prepararsi a una gara importante, decidendo di lasciare il cuore e le emozioni lungo la strada.

Diego Altobelli (05/2008)
estratto da http://filmup.leonardo.it/speedracer.htm