martedì 10 luglio 2007

I Fantastici Quattro e Silver Surfer

Anno: 2007
Regia: Tim Story
Distribuzione: 20th Century Fox


Tim Story torna alla guida del quartetto di supereroi più famoso dei fumetti: i Fantastici quattro. Questa volta affiancati sia nel titolo che nella trama da un altro pezzo da novanta dei fumetti “marvelliani”, ovvero Silver Surfer.

Il pianeta Terra è sconvolto da una serie di cataclismi naturali che ne minano l'equilibrio atmosferico. Reed Richards, messo al corrente dal governo nel bel mezzo dei preparativi al suo matrimonio con Sue, indaga sui fenomeni rintracciandone le cause in un uomo fatto d'argento che vola su una tavola da surf. Unire le forze con l'aricnemico Dr. Doom al fine di sconfiggere l'alieno, sarà solo il preludio a una battaglia molto più grande...

Il primo capitolo dei Fantastici quattro, pur presentando una trama piuttosto superficiale, una recitazione televisiva e una regia adeguata alla mediocrità generale, riusciva a salvarsi "in corner" suggerendo la possibilità che, tutto sommato, si potesse trattare di un film preparatorio, una sorta di "prova generale" per un successivo, migliore, capitolo della saga (un pò come era avvenuto per gli X-men di Bryan Singer...). Questa volta quindi Tim Story non ha scuse, e purtroppo il suo "Fantastici quattro e Silver Surfer" è un film che, come era avvenuto per il primo capitolo, finisce per lasciare l'amaro in bocca. Dialoghi stantii, intesi a dar ritmo a una trama che, malgrado le premesse, risulta profondamente statica; caratterizzazioni dei personaggi ancora, come nel film precedente, superficiali e volte sia a ridicolizzare le stesse situazoni vissute dai protagonisti, che a dar luce alla bella Alba (ancora una volta nuda, ma invisibile...); ma soprattutto è la sensazione di una generale mancanza di fiducia nei riguardi della trama a rendere piatta l'emozione vissuta dallo spettatore. Un soggetto che poteva essere più che interessante, con l'introduzione cinematografica dell'icona della pop art anni '70, il carismatico Silver Surfer (a cui stanno preparando un prequel incentrato sulle sue disavventure galattiche), ma che invece si risolve in uno scontro nemmeno troppo convinto tra i quattro e il Dr. Doom in versione doppiogiochista.

Inoltre, e questo va sottolineato a onor del giusto, si assiste all'uccisione narrativa di uno dei più imponenti personaggi dell'universo Marvel : il leggendario Galactus. Qui relegato a una breve apparizione negli ultimi dieci minuti di pellicola, il colossale "Divoratore di Mondi" viene introdotto (sotto forma di una inusuale nube cosmica nera, modello nuvola "fantozziana"...) per poi essere ucciso poco dopo dallo suo stesso araldo, il redivivo Silver Surfer. Peccato: siappiamo tutti che un personaggio di sì fattezze avrebbe dovuto godere di ben altro trattamento. E invece Tim Story butta via un bel soggetto per rincorrere, ma alla cieca, una spettacolarizzazione che, con solo due scene d'azione in tutto il film, pare non avvenire mai.

"Fantastici quattro e Silver Surfer", quindi, fa ancora sperare in un sequel migliore: qualcuno potrà considerarlo divertente, altri persino migliore del primo, ma in tutti rimarrà la sensazione che si poteva fare di più, molto di più...

Diego Altobelli (06/2007)

I Fantastici Quattro

Anno: 2005
Regia: Tim Story
Distribuzione: 20th Century Fox

Reed Richards è uno scienziato alle prese con una nuova ricerca che ha come ultima tappa il centro di una tempesta cosmica in orbita nello spazio: attraverso di essa Richards spera di comprendere la chiave per decifrare il D.N.A. umano. Non trovando però i finanziamenti, Richards chiede aiuto al suo antico rivale Victor Von Doom, uno dei più illustri industriali di New York. Nella missione spaziale vengono così coinvolti anche la bella Susan Storm, contesa dai due, il fratello di lei John e Ben Grim, amico di Reed. Quando la nave spaziale viene investita dalla tempesta cosmica, l’equipaggio acquista poteri sovraumani. Doom è deciso però a usare i propri poteri per scopi malvagi: spetterà agli altri quattro, divenuti nel frattempo “fantastici”, tentare di fermarlo.

Con una fase di sviluppo durata oltre un decennio, quattro volte il numero di effetti speciali utilizzati per Spider-man e la produzione a cura di Ralph Winter, che già si era occupato dell’ottimo X-men 2, definire I Fantastici Quattro un film “atteso” può suonare riduttivo. Tratto dalla celebre serie a fumetti ideata da Stan Lee e Jack Kirby nel 1961, I Fantastici Quattro è stato definito, durante la sua storia editoriale, “il miglior fumetto di sempre”. A tale affermazione hanno fatto seguito un paio di film mediocri, realizzati durante gli anni Settanta e Ottanta. Quest’ultima impresa è a tutti gli effetti una commedia dai toni simili a Gli Incredibili della Pixar anche se meno acuta.

Il film, diretto dignitosamente da Tim Story (già autore degli scarsi Barber Shop e Taxi), è uno spaccato della serie a fumetti in chiave ridanciana, che non va oltre una serie disordinata di scenette comiche. Se poi a una sceneggiatura da sit-com affianchiamo una recitazione, compresa quella della bella Alba, da “standard televisivo”, il risultato complessivo è deludente.
I Fantastici Quattro è un film senza pretese e senza ambizioni particolari, a parte quella di passare un paio d’ore in spensieratezza. Per un “titolo” del genere può sembrare poco ma non bisogna dimenticare che anche il fumetto aveva le stesse caratteristiche...

Diego Altobelli (06/2005)

Dear Wendy

Anno: 2005
Regia: Thomas Vinterberg
Distribuzione: Eagle Pictures

Nel 1995 Lars Von Trier e Thomas Vinterberg danno vita a "Dogma 95", un manifesto cinematografico che si pone l'obbiettivo di salvare l'arte cinematografica da una tendenza che, dagli anni Sessanta (in realtà fin dalle sue origini) ad oggi, ha investito il cinema mondiale: ovvero la capacità di illudere lo spettatore. Quella di Vinterberg e Von Trier ha il fascino di ogni utopia: realizzare un cinema puro, distante da effetti speciali, da finte scenografie, da suoni realizzati in post produzione e da "individualismi d'autore". Insieme i due registi stilano 12 regole precise e "indiscutibili" come vengono da loro stessi definite e ne firmano l'atto sottoscrivendo un simbolico voto di castità. Sono trascorsi 15 anni e Dear Wendy potrebbe essere, di quel manifesto, una logica evoluzione.

Scritto da Lars Von Trier e diretto da Thomas Vinterberg, già autore di Festen e Le forze del destino, Dear Wendy è un suggestivo esperimento di genere. Non rispettando alcuna delle famose regole del Dogma 95, Vinterberg dirige un film la cui trama non è semplicissima: un ragazzo crea, insieme a un gruppo di amici, un movimento chiamato "Pacifismo con le armi", originando un bizzarro stile di vita, il "Dandie", che vede nella cultura western le sue più profonde fondamenta. Nel "Dandie" le armi sono amate, rispettate, e accudite. Hanno un anima e un nome che le caratterizza. Nel "Dandie" le armi non si debbono usare, come dame di compagnia si limitano ad accompagnare il loro proprietario (ma ne hanno poi uno?) e gli infondono forza, coraggio. Molteplici le chiavi di lettura. La visione delle armi come figure autenticamente femminili, signore il cui "atteggiamento" può far nascere sentimenti di gelosia o di rabbia. Donne da amare, fin anche rasentando il patetico, fino a far loro violenza, fino a desiderare, infine, di morire per mano loro. Ma le armi anche come messaggio utopico di pace. La cui proprietà rassicura, dà forza. Promette rispetto e fa scoppiare guerre, inutili e penose, rappresentate nel film da un ultimo sacchetto di caffè. Romantico.

Dear Wendy è un film affascinante e completo la cui costruzione si allontana decisamente da quelle regole rigide scritte dagli stessi autori del film. Una regia oculata e divertita fa da guida ad una recitazione intuitiva, ma credibile. Un film che va visto, quindi, per rimanere sorpresi, ancora una volta, dell'incomprensibile capacità dell'uomo di credere in un sogno, che questo si chiami "Pacifismo con le armi" o "Dogma 95".

Diego Altobelli (09/2005)

Le crociate

Anno: 2005
Regia: Ridley Scott
Distribuzione: Medusa Film, 20th Century Fox

Il premio Oscar Ridley Scott, dopo l'apprezzato Black Hawk Down, torna al cinema con un film che possiede tutte le caratteristiche per poter diventare un nuovo Classico. Ambientato a cavallo tra la seconda e la terza crociata, Le Crociate - Kingdom of Heaven racconta la saga delle Guerre di Religione viste attraverso gli occhi di Baliano, maniscalco rimasto vedovo a cui la Morte ha sottratto anche il figlio. Troverà il riscatto nella difesa di Gerusalemme o "Regno dei Cieli", come veniva chiamata nell'antichità. Con questo film Ridley Scott riesce a catturare sia il pubblico di appassionati del genere "cavalleresco", sia i meno avvezzi alle storie di cappa e spada: mescolando sapientemente una regia cupa, in perfetta armonia con il periodo narrato, ed una limpida capacità narrativa, con alcune scene di battaglia davvero degne di nota. Una regia imponente fa quindi da sostegno ad una sceneggiatura che, purtroppo, risulta a tratti debole: attraverso un gioco di dialoghi che sanno di "già sentito", la trama si sviluppa in maniera leggermente scattosa e giunge a conclusioni un po' affrettate con alcune svolte narrative che hanno l'aria di essere un po' forzate. Colpiscono invece alcune tematiche sottotestuali: la solitudine di un uomo di fronte al suo credo, che nel film diviene un ideale morale piuttosto che un alibi di fronte a Dio; e la generale smania collettiva che colpisce i popoli posti davanti a temi religiosi, giustificando ogni tipo di atto in nome di una religione che non li appoggia davvero. Quasi sfacciata invece la critica che Scott muove al governo americano, non troppo velatamente, nella dedica finale del film, dove indica (a ragione) l'Iraq come il Kingdom of Heaven del titolo sottolineando come le cose, dalle Guerre di Religione ad oggi, non siano cambiate più di tanto.

Il cast è ricco: da Jeremy Irons a Liam Neeson, che donano interpretazioni importanti e sentite; ma la recitazione, generalmente buona, alterna momenti più intensi ad altri meno, risentendo di dialoghi che non convincono. Un identità maggiore in questo senso, avrebbe giovato all'immedesimazione da parte del pubblico, oltre naturalmente a rendere più solida tutta la pellicola. Infine la recitazione di Orlando Bloom, nei panni del protagonista, appare ancora un po' immatura, quasi inesperta: un ruolo, quello di Baliano, che forse avrebbe dovuto maturare ancora un po'.Un film importante comunque, un buon esempio di cinema "Cavalleresco".

Diego Altobelli (05/2005)
estratto da http://filmup.leonardo.it/lecrociate.htm

La contessa bianca

Anno: 2005
Regia: James Ivory
Distribuzione: Medusa Film

1936. In una Shangai crocevia multi culturale di rifugiati politici, soldati, potenti uomini d'affari e esponenti della malavita organizzata, si incrociano i destini di due persone: Jackson, ex diplomatico rimasto cieco a causa di un attentato politico; e Sofia, una nobile russa in fuga che si ritrova a lavorare come ballerina nei night club. E' proprio la bella ex-contessa a ispirare Jackson per la realizzazione del suo sogno: costruire un luogo perfetto, un'oasi felice, un night club nel cuore della città cinese. Un rifugio ideale per tutti chiamato "Contessa bianca"...

Il ritorno di James Ivory viene accompagnato da grande aspettativa: autore di sontuose pellicole come "Casa Howard", "La figlia di un soldato non piange mai" e, soprattutto, "Quel che resta del giorno", cui condivide con quest'ultimo lavoro lo stesso sceneggiatore, il regista americano ha saputo ritagliarsi un pubblico internazionale grazie a film realizzati in modo impeccabile e tratti, il più delle volte, da romanzi famosi. "La contessa bianca" non fa eccezione: ispirato dal libro "Diario di un vecchio pazzo" del giapponese Junichiro Tanizaki, il film è una metafora sulla ricerca ossessiva della perfezione in un mondo confuso e disordinato visto attraverso gli occhi di un cieco. Lavoro ambizioso quindi, nel classico stile del regista, ma ci sentiamo di dire riuscito a metà. "La contessa bianca" si trascina a fatica in assenza quasi totale di ritmo, e sorretto da una sceneggiatura non del tutto lucida: quel che pesa allo spettatore è una scelta non convincente da parte del regista nel rappresentare determinati avvenimenti narrativi. La stessa guerra ad esempio, vista sul finire del film attraverso l'attacco giapponese al porto di Shangai, non viene costruita durante lo svolgimento della pellicola, tanto che lo spettatore si ritrova catapultato in uno scenario bellico senza sentirlo veramente. Insomma si contesta quindi un certo distacco emotivo nel racconto della vicenda che non aiuta a creare il giusto pathos nell'appassionarsi alla storia di Jackson.

La vicenda vuole puntare l'accento sull'incontro platonico tra Jackson e Sofia, due personaggi alla ricerca di "pace", che nelle interpretazioni di Ralph Fiennes e Natasha Richardson trovano la più autentica identità filmica. Malgrado Fiennes risulti quasi catatonico nel suo recitare, è soprattutto la Richardson a convincere e a trascinare il film: sorregge la pellicola quasi come fa con il protagonista maschile. Appoggio morale. Convince anche il giapponese Hiroyuki Sanada, già apprezzato ne "L'ultimo samurai", perfetto nell'interpretare un politico corrotto e malavitoso. Il resto del cast comunque è buono, semmai minato, come il resto del film, da un ritmo troppo lento e da una storia troppo prolissa che minaccia qualsiasi forma di impeto passionale.

Concludendo, "La contessa bianca" è un film bello e impegnativo che vanta una fotografia da Oscar, merito di Christopher Doyle, e una sceneggiatura ispirata, del giapponese Kazuo Ishiguro. Malgrado tutto questo però, risulta lento, lungo, e poco emozionante.

Diego Altobelli (02/2006)

lunedì 9 luglio 2007

Lupin III - Il castello di Cagliostro

Anno: 1979
Regia: Hayao Miyazaki
Distribuzione: Yamato Video, Mikado Film, Dolmen Home Video

In occasione del quarantesimo anniversario dalla nascita di Lupin III Yamato Video, in collaborazione con Mikado Film e Dolmen Home Video, omaggia il ladro gentiluomo, nato dalle matite di Monkey Punch, distribuendo nelle sale il suo film più rappresentativo: “Lupin III - il castello di Cagliostro”, in una versione rimasterizzata e con un inedito doppiaggio fedele alle voci italiane “storiche” delle serie TV.

In seguito a un colpo ai danni del casinò di Montecarlo, Lupin e Jigen scoprono che al suo interno vengono distribuite banconote false. Essi decidono quindi di iniziare un’indagine per scoprire la fonte di questo mercato illecito: un viaggio che li porterà tra le mura del castello del piccolo villaggio di Cagliostro, dimora di un perfido conte e della bella Clarisse, sua prigioniera e futura sposa...

Nel 1979 veniva proiettata nelle sale cinematografiche giapponesi quella che nella lunga filmografia di Hayao Miyazaki è considerata dagli appassionati la pellicola meno rappresentativa del maestro due volte premio Oscar. Più comunemente associata al piccolo schermo e al mondo truffaldino del protagonista, invece, “Lupin III - il castello di Cagliostro”, seconda pellicola in ordine di tempo dedicata al ladro gentiluomo, è un film che rivela molto, se non tutto, dell’arte del regista giapponese. Miyazaki aveva avuto modo di avvicinarsi al personaggio di Lupin già nel 1972 ai tempi della messa in onda della prima serie televisiva. Già in quella sede aveva introdotto caratteristiche visive e caratteriali che stravolgevano in parte, rigenerandola, l’idea originale del personaggio di Monkey Punch: tra le altre, la più indicativa fu l’introduzione della Fiat 500 gialla, un omaggio alla passione che il capo animatore Yasuo Otsuka aveva per l’automobile italiana.

Ma “Lupin III – il castello di Cagliostro” non è solo uno dei tanti film ben riusciti incentrati sulle disavventure del personaggio di Lupin. Quella di Miyazaki è soprattutto una pellicola che attinge alla natura stessa dell’autore, già all’epoca limpido, coerente e efficace nel rispettare quelli che poi sarebbero divenuti i segni distintivi del suo Cinema. Le ambientazioni naturali, ma labirintiche; le fughe liberatorie, a “perdifiato”; i protagonisti virtualmente invulnerabili, ma spesso doppiogiochisti; e caratterizzazioni ottimistiche dettate dalla giustezza degli intenti personali, ma volti a convincimenti “socialisti”. Tutti questi elementi, all’epoca della sua prima proiezione, grezzi eppure vividi come diamanti, sono presenti in “Lupin III – il castello di Cagliostro”: un film che, secondo la leggenda, quando fu trasmesso a Cannes nel 1979, fece alzare in piedi un giovane Steven Spielberg in un lungo applauso di ammirazione.

“Lupin III – il castello di Cagliostro” è da considerarsi un film di culto e forse uno dei pochi film in circolazione da consigliarsi senza remore a tutti, davvero. A chi ha amato il personaggio in TV, riscoprendolo in un nuovo, ottimo doppiaggio; a chi ha amato e ama l’autore Miyazaki; a chi non conosce né l’autore né il protagonista, ma che semplicemente cerca una bella storia, avventurosa e divertente; e infine a tutti quelli che amano il Cinema: quel mezzo di celluloide che cela al suo interno un’anima sottile, che sia questa fatta di CGI, di attori in carne e ossa, o di cartoni animati...

Diego Altobelli (07/2007)