venerdì 5 novembre 2010

Vuelve a la vida

Anno: 2010
Regia: Carlos Hagerman

Il regista Carlos Hagerman si ritrova nel suo Messico a raccontare le gesta di Long Dog, marinaio leggendario le cui gesta sono entrate nel mito. Donnaiolo, sempre sbronzo, capace di restare sott'acqua anche 4 minuti, Hilario Martinez, meglio conosciuto come Pejo Largo o Long Dog (chiamato così sia perchè era molto alto, sia perchè il termine "long", lungo, in messicano si interpreta anche volgarmente come "gradasso", o "gonfiato") viene ricordato con accorato affetto nelle spiagge di Acapulco per aver cacciato un gigantesco squalo tigre ed esserne uscito incolume.

"Vuelve a la vida" (Back to life) è sia il titolo del film, sia il nome di uno speciale cocktail a base di pesce fresco, noto in Messico per la sua capacità di far passare sbronze epocali. La scelta del titolo, quindi, diviene assai simbolico.

Il racconto di Hagerman, alla sua seconda prova dopo "Los que se quedan" (2008), si fa da subito piuttosto grottesco e l'aria del Messico riporta alla vita (un po' come suggerisce il titolo del film) le suggestioni di un'era dell'oro che oggi non c'è più. A ogni modo, il film è un romanzo impossibile, nato come un documentario sulla caccia allo squalo e diventato, quasi subito a sentire il regista, un inno alla gioia di vivere e alla goliardia. Le sbronze, le scazzottate, le donne, il mare, e gli squali. Quando realtà e leggenda divengono una cosa sola.

Diego Altobelli (11/2010)

Porco Rosso (Kurenai no Buta)

Anno: 1992
Regia: Hayao Miyazaki
Distribuzione: Lucky Red

Insieme a “Nausicaa nella Valle del Vento” “Porco Rosso” è forse il film più rappresentativo dello Studio Ghibli. Anche perché rappresenta una sorta di ideale giro di boa, un passaggio tra una prima fase dell'animazione, che aveva portato successi come “Laputa”, “Kiki's Delivery Service” e lo stesso “Nausicaa”, e una seconda fase in cui i film si sarebbero fatti più sofisticati e narrativamente più complessi, è il caso a riguardo de “La principessa Mononoke” o “La città Incantata”.

La trama: in un'epoca definita "degli idrovolanti" facciamo la conoscenza del pirata del cielo Porco Rosso, un aviatore colpito da una misteriosa maledizione che lo ha reso un maiale parlante. La sua abilità in volo però, è rimasta immutata...

La leggenda vuole che il nome "Ghibli" è lo stesso che i piloti italiani, durante la seconda guerra mondiale, davano al vento caldo che soffiava dall'Africa. Miyazaki, appassionato di aviazione, disse all'alba di una nuova era: "Facciamo soffiare un vento caldo nel mondo dell'animazione". Nel film, Ghibli è anche il nome del motore che il protagonista monta sul suo idrovolante e, naturalmente, non è un caso.

Un film colmo di citazioni e curiosità, quindi. Ad esempio la maledizione che colpisce il protagonista Marco è la stessa che poi colpirà i genitori di Chichiro ne “La città incantata”; molti i riferimenti all’Italia, terra amata dal maestro, come la Mole Antonelliana visibile nella sigla di chiusura o il nome di Ferrarin come ex commilitone di Porco, realmente esistito negli anni Venti. Comunque, al di là del gioco citazionistico, Miyazaki con "Porco Rosso" realizza effettivamente una specie di manifesto della sua animazione. Assenza di una vera distinzione tra personaggi buoni e cattivi, il tema della magia (anche se qui solo accennato), i paesaggi suggestivi e verdeggianti... “Porco Rosso” è allo stesso tempo un film maturo e una pellicola straniante. Inizialmente concepito come un cortometraggio celebrativo, Miyazaki non c’ha messo un secondo a sfruttare l’idea per farci un lungometraggio. Forte anche di una vena politica antifascista (“Meglio porco che fascista”, dirà il protagonista) che forse per la prima volta emerge così chiaramente in una sua produzione.

Il film vinse tra gli altri anche il premio come miglior colonna sonora consegnato a Joe Hisaishi, già collaboratore di Takeshi Kitano.

Diego Altobelli (11/2010)

giovedì 4 novembre 2010

The People vs. George Lucas

Anno: 2010
Regia: Alexandre O. Philippe

Alexandre O. Philippe è il regista di quello che forse è uno dei documentari più interessanti, ironici e riusciti degli ultimi anni. "The People vs George Lucas" dà voce ai fan di Guerre Stellari, letteralmente infuriati con il regista per aver stravolto la sua opera. Guerre Stellari, attraverso la prima riedizione rimasterizzata, e la seconda trilogia- prequel, ha effettivamente subito variazioni non solo visive, ma anche concettuali. Ci ritroviamo scene stravolte (come quella in cui Han Solo spara per secondo e non per primo nel bar del porto aeronavale), reinterpretazioni della Forza (nel 1977 una energia spirituale che poteva essere in tutti, oggi una energia legata al sangue e al dna). Quello che emerge è un affresco complesso che riesce a dare voce a tutti, anche allo stesso Lucas che, in un finale un po' buonista, dichiara di essere diventato, da regista anti major, un regista-giocattolo nelle mani di Hollywood. Una specie di Darth Vader dei nostri giorni. Lascia perplessi.

Lo stile è graffiante, il ritmo concitato, il tema è di quelli "scottanti", ma per gioco.

Da non perdere, infine, la parte in cui i fan ricordano il leggendario "Star Wars - Special Holyday," uno speciale natalizio di due ore, di cui mezz'ora completamente parlata in Woki senza sottotitoli. Esilarante, insieme ai centinaia di lavori realizzati dai fan in omaggio a Lucas, e mostrati nel documentario di Philippe, tra cui spicca una versione di "Misery non deve morire" con il regista come protagonista della vicenda. Bellissimo.

Diego Altobelli (11/2010)

mercoledì 3 novembre 2010

Yoyochu-sex to Yoyogi Tadashi no Sekai (Yoyochu in the land of the rising Sex)

Anno: 2010
Regia: Masato Ishioka

Controverso documentario su una delle figure chiave del panorama del porno giapponese. Parliamo di Yoyochu, nome d'arte di Tadashi Yoyogi, un uomo che da un passato nella Yakuza, riesce a sfondare nel mondo del Porno rivoluzionando e allo stesso tempo condizionando l'immaginario erotico di una intera nazionale. Il documentario diretto da Masato Ishioka ripercorre la storia del genere e ne fa emergere le contraddizioni. Si sofferma poi, con lunghe interviste allo stesso Yoyochu, sulla ricerca dell'orgasmo e i meccanismi (anche culturali) legati ad esso. Yoyochu è stato in un certo senso un innovatore, non privo di difetti o vizi, che ne hanno condizionato l'esistenza (con scelte particolari come quella di ipnotizzare, a un certo punto della sua carriera, le sue attrici): ha praticamente creato diversi generi come quello delle Idol, i primi amatoriali, fino al primo reality show a sfondo pornografico. Insomma, un innovatore che ha saputo sfruttare a suo vantaggio il lato nascosto di una intera società.

Curiosità: il regista ha dichiarato prima della proiezione di aver diretto questo film per dimostrare l'amore che esiste nell'ambiente del porno. In un certo senso (senza fare facile umorismo) c'è riuscito.

Diego Altobelli (11/2010)

martedì 2 novembre 2010

Let me in

Anno: 2010
Regia: Matt Reeves

Il regista di "Cloverfield" Matt Reeves mette le mani sull'omonimo horror svedese "Lasciami entrare" e compie quella che potremmo definire una calcomania arricchita dell'originale. Abbandona la Svezia, trasporta il film dalle parti del Messico, la ambienta negli anni Ottanta. Ma in buona sostanza non aggiunge nulla a quanto già era stato detto nell'originale.

Abby è una misteriosa adolescente trasferitasi da poco con il padre in un nuovo condominio dove conosce Owen. Il giovane amico ha però problemi a scuola con un gruppo di bulli che proprio non vogliono lasciarlo in pace...

Non male questo remake, forte di un'ottima ambientazione e una ricostruzione storica dell'era Reagan che si fa sentire. Insieme alla favola nera dei due giovani protagonisti che in questa versione americana si allunga un pochino, rendendo il tutto leggermente più pesante. Insieme ai messaggi di uguaglianza e tolleranza ancora più incisivi anche grazie all'utilizzo di effetti speciali che, a differenza dell'orignale low budget svedese, qui non tenta alcuna mediazione con il genere horror mostrandoci sequenze di vera paura.

Diego Altobelli (11/2010)

Oranges and Sunshine

Anno: 2010
Regia: Jim Loach

Chissà che non vinca qualche cosa questo "Oranges and Sunshine" di Jim Loach, debuttante figlio d'arte del più famoso Ken. Verrebbe da dire buon sangue non mente, perchè la pellicola presentata in concorso al quinto Festival del cinema di Roma è potente e coraggiosa come poche altre.

Storia vera dell'inglese Margaret Humphreys, assistente sociale che scoprì nel 1986 un terribile segreto nascosto dal governo. Negli anni Cinquanta l'Inghilterra deportò all'estero oltre centomila bambini con difficoltà famigliari per risparmiare sulle casse dello Stato. Alle famiglie dei bambini venivano inventate fandonie, ai bambini invece che i genitori erano morti. I piccoli si ritrovano sperduti, vittime di abusi e violenze di ogni tipo...

Un fatto recente (Gordon Brown è stato costretto a scusarsi pubblicamente per i fatti sopra citati) del nostro Mondo. Ed è forse qui il punto di forza del film di Jim Loach: quello di parlare della omertà che ancora vive nella nostra cultura. Ad aiutarlo in questo compito non facile per un esordiente, la grande attrice Emily Watson che tratteggia con determinazione un personaggio forte come un'onda sugli scogli.

Calibrata e sempre nitida, la regia del figlio Loach già promette grandi cose. La storia è sporca, il film un pò meno, e forse è un peccato, ma riesce comunque ad andare dritta sul bersaglio.

Diego Altobelli (11/2010)

Dog sweat

Anno: 2010
Regia: Hosein Keshavarz

Con il termine "dog sweat" vengono intese in gergo bevande alcoliche come whisky, vodka e altre. E viene utilizzato soprattutto dai giovani non ancora maggiorenni per identificare anche una sorta di ribellione dalle istituzioni e dalle regole imposte dalla società.

Iran, oggi. Storie di vari ragazzi e ragazze che si intrecciano cercando di superare le barriere del pregiudizio e della chiusura intellettuale voluta dal Paese in cui vivono...

Buon film. Va detto subito e chiaramente, ma forse manca di quella vera libertà intellettuale che la regia di Hosein Keshavarz va cercando ostinatamente per tutta la durata della pellicola. In pratica è un film di denuncia sulla mancata libertà di espressione che però non rompe effettivamente gli schemi. Non esce dai binari culturali che (probabilmente) la società iraniana impone. Questo rende anche particolarmente difficile parlarne in termini più specifici. Però, per fare un esempio, si parla di omossessualità, ma non si vede mai una carezza (per non parlare di baci!) tra due uomini. Si parla di adulterio, ma non c'è neppure un nudo (e anzi a letto si sta vestiti). Come se il film abbia cercato una mediazione tra ciò che si voleva dire e ciò che si poteva rappresentare. Perdendo però di efficacia.

Per il resto è un buon film - che echeggia l'Altman migliore di "America Oggi" - che rappresenta, al di là dell'amaro finale, una finestra sull'Iran. Speriamo che questa venga spalancata.

Diego Altobelli (11/2010)

Gangor

Anno: 2010
Regia: Italo Spinelli
Distribuzione: Rai Cinema

Rai Cinema produce l'interessante "Gangor", film diretto da Italo Spinelli che riserva qualche sorpresa.

Di Upin, fotoreporter appassionato del suo lavoro, scompare. Un suo Amicoo si mette sulle sue tracce, ma si ritroverà perduto in una storia di violenza sulle donne...

Italo Spinelli dirige in modo convincente questo "thriller drammatico" ambientato nell'India del Bengala occidentale. Gli anni passati nel cinema documentaristico emergono dalla fotografia e da una certa capacità di catturare la naturalezza dei posti in cui il film è girato. Questi elementi, uniti a una trama che si incentra sul paradosso culturale che vede l'India sia la patria di Shiva, sia un Paese dove la violenza sulle donne viene taciuta, fa del film di Spinelli un'opera affascinante, molto interessante, e coinvolgente.

Buona in questo caso la sceneggiatura isipirata a un racconto di Mahasweta Devi, pubblicato anche in Italia da Filema nel volume "Trilogia del seno".

Diego Altobelli (11/2010)

Haeven - In a better world

Anno: 2010
Regia: Susanne Bier

Dopo aver rischiato di vincere l'Oscar come miglior regista con "Noi due sconosciuti" (2007) e "Dopo il matrimonio" (2006), Susanne Bier torna sul grande schermo - e al Festival del Cinema di Roma - con una storia potentissima.

Anton è un medico del Darfur diviso tra Africa e Danimarca, dove ha lasciato moglie e figli. Proprio il più grande dei due piccoli, Elias, fa la conoscenza di un ragazzino difficile trasferitosi da poco nella comunità, Christian. I due bambini stringono amicizia, ma il disagio giovanile di Christian, dovuto alla perdita della madre, porterà i ragazzini a mettersi nei guai. Anton cercherà di insegnare loro a stare al mondo...

Quello che Susanne Bier riesce a fare con astuto mestiere e grande ispirazione artistica è quello di amalgamare due film distinti e renderli un unica entità. Da una parte abbiamo la situazione del Darfur, con la situazione dei medici che cercano di tamponare una ferita profonda del Mondo. Dall'altra abbiamo un panorama completamente diverso, la tranquilla e agiata Danimarca, con la vicenda di bullismo che lega i due giovani protagonisti. A unire due trame e due situazioni così profondamente diverse è il protagoinista Anton che riesce a trovare una risposta morale al problema esistenziale che aleggia nell'aria. Rispondere alla violenza con la violenza? C'è un'altra via? Se sì, come applicarla.

Forse si dirà che la pellicola pecchi di buonismo, e potrà apparire vagamente ingenua. Ma al contrario quello della Bier, oltre che essere un film girato in modo impeccabile, è un messaggio importante. Esiste un'altra strada. Esiste un mondo migliore ancora possibile.

Diego Altobelli (11/2010)

The Woodmans

Anno: 2010
Regia: C. Scott Willis

La storia vera della famiglia Woodman, noti artisti colpiti dalla morte della giovane Francesca, la più piccola della casa, suicida a 23 anni.

Il documentario diretto da C. Scott Willis ha trionfato al Tribeca Film Festival nel 2010. La regia alterna interviste ai protagonisti a immagini dei lavori degli artisti. A colpire, naturalmente, è la triste vicenda della giovane Francesca, i cui lavori da fotografa sono ancora oggi attualissimi e richiamano l'attenzione del mondo dell'arte contemporanea. Il film di Willis non tenta di indagare sulle motivazioni che hanno spinto all'estremo gesto, ma astutamente se ne tiene a distanza, indagando invece sulla capacità di reagire della famiglia Woodmans. In questa ottica, il film acquista un valore aggiunto. L'arte come motivo di reazione ai sensi di colpa e all'autodistruzione. Non è quindi un film sulla morte di un'artista, ma una pellicola sulla capacità di un'intera famiglia di reagire a una tragedia. E l'Arte ne è solo il mezzo.

Diego Altobelli (11/2010)

Il padre e lo straniero

Anno: 2010
Regia: Ricky Tognazzi

E’ tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo il nuovo film di Ricky Tognazzi che torna alla regia dopo "Canone Inverso" (2000) e "Io no" (2003). Ne "Il padre e lo straniero" troviamo il regista di "Vite strozzate" alle prese con una difficile (in tutti i sensi) storia di integrazione.

Diego (interpretato da Alessandro Gassman) è il padre del piccolo Giacomino, un bambino disabile con problemi motori. Durante una visita a un centro di riabilitazione, Diego conosce Walid, un arabo padre a sua volta di Yusef, un bambino nato con una grave malformazione. Tra i due nasce una profonda amicizia che li porterà a capire il vero significato della parola “diverso”…

Ancora una volta ci troviamo ad affermare una innegabile verità: scrivere un libro non equivale a scrivere un film. La sceneggiatura per un film è una cosa completamente diversa dalla stesura di un romanzo. Va detto questo perché chi scrive, a onor del vero, non ha letto il romanzo di De Cataldo da cui questo film è tratto, ma considerando che lo stesso De Cataldo ha curato soggetto e sceneggiatura, e visti i risultati, ci sentiamo di affermare (ancora una volta) che scrivere un libro e scrivere un film sono evidentemente due cose profondamente diverse. E chissà che un dubbio in merito, a qualcuno delle produzioni non venga.

In attesa della rivelazione tocca adeguarsi. Mettersi comodi, inspirare profondamente e prepararsi all’ennesimo “frullatone” di intenzioni tutto italiano. Ma lo ripetiamo, non è un problema di regia (Tognazzi dimostra in più occasioni di non essere uno sprovveduto), ma di sceneggiatura. Nello script, il bravo Alessandro Gassman si muove per tutto il film chiedendo cosa stia succedendo, e questo malgrado i dialoghi (improbabili) ci spieghino di continuo “chi è chi” e “perché”. La prima parte del film, poi, è una lunga spiegazione delle usanze arabe, interessantissimo in un documentario, ma un po’ ridondante in un “thriller”. Sì perché questo "Il padre e lo straniero" assume i connotati della spy story nella seconda, prolissa, parte, con tanto di passato nei servizi segreti e interrogatori portati da un poco convinto detective che risponde al nome del grande Leo Gullotta. Peccato, inoltre, che al fatidico “dunque” il film non spieghi la trama. Incredibile, ma vero. Non sapremo cosa sia effettivamente accaduto nel film!

Tralasciamo in questa sede, invece, di parlare dei “messaggi” più o meno velati che la regia di Ricky Tognazzi inserisce con grande modestia. In un momento ad esempio uno dei personaggi dice: “Ho la freccia rotta, allora girerò sempre a sinistra!”; in un altro, un prete, che dice cose sconvenienti nei confronti del bambino disabile, viene cacciato in malo modo. Insomma, ma perchè?

Quindi, "Il padre e lo straniero" è un film di buone intenzioni, ma che si perde in un labirinto di problemi formali che, oltretutto, finiscono per scontrarsi con dubbie motivazioni registiche. Potremmo dire: inaccettabile. Diciamo: improponibile.

Diego Altobelli (11/2010)