venerdì 1 febbraio 2008

Cloverfield

Anno: 2008
Regia: Matt Reeves
Distribuzione: Uip

Quando “Godzilla” incontra la tecnica usata per girare “The Blair witch project”, nasce una pellicola dal titolo “Cloverfield”, un film che per la sua natura innovativa riesce a ritagliarsi un posto nel panorama del “Cinema dei Mostri”.

Un party con gli amici è l’occasione per Rob di festeggiare un nuovo posto di lavoro che lo porterà a lasciare l’America per trasferirsi in Giappone. Durante la festa però, Manhattan viene attaccata da una bizzarra e gigantesca creatura venuta da chissà dove. Per Rob e i suoi amici inizia una lotta per la sopravvivenza…

L’idea di girare tutta la pellicola con la videocamera non è nuovissima nel panorama cinematografico. Fu proprio il già citato “The Blair witch project” a dare vita a questa tendenza che, con questo “Cloverfield” diretto da Matt Reeves, sembra aver toccato - per adesso - il suo apice.
L’inizio è di quelli tranquilli, quasi noiosi, che fa storcere il naso davanti a dialoghi non proprio incalzanti e una trama che sembra girare intorno al mero triangolo amoroso. Pretesto: lo schianto della testa della Statua della Libertà nel cuore di Manhattan dà il via alle danze. Da quel momento viene infatti rivelata tutta la natura “giocattolo” del film che come una giostra, un ottovolante, o quegli strani incroci tra montagne russe e realtà virtuale visitabili in certi parchi giochi, si dipana tra palazzi in distruzione, attacchi militari e fughe a perdifiato viste attraverso la telecamera a mano di uno dei protagonisti.
Un tentativo il cui risultato porta il pubblico a una immedesimazione quasi totale.

Se davanti ai vari “Godzilla” o “King Kong” la tensione veniva filtrata attraverso l’occhio imparziale della cinepresa, in “Cloverfield” il terzo occhio è parte integrante della narrazione, il suo unico punto di vista. Rinunciare alla trama (che non si può definire tale in quanto mancante di un intreccio) favorisce quindi il coinvolgimento, tanto efficace da far pensare che l’unico prossimo passo in avanti in questa direzione sia l’interazione con il film stesso, la possibilità di scegliere il tragitto dei protagonisti.
Ma è fantascienza (per ora) e “Cloverfield”, che porta anche la firma del produttore J.J. Abrams, si lascia vedere.
Alla prima scena che richiama le immagini dell’undici settembre segue il panico nelle strade per un mostro che non si conosce, in un vertiginoso immaginario collettivo fatto di fiction vista attraverso internet e telefonini. E’ la nuova società, insomma, quella descritta: in preda al panico e alla xenofobia.

Al di là però di tutte queste possibili letture, che nascondono la colpa (grande) di non trovarsi più di fronte a un vero “film”, rimane l’idea di quell’ottovolante, che farà anche venire il mal di mare, ma appena ne sarete usciti avrete avuto l’impulso di rimontarci sopra per farvi un altro giro.

Diego Altobelli (01/2008)
estratto da http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1815

mercoledì 30 gennaio 2008

Transporter: Extreme

Anno: 2005
Regia: Louis Leterrier
Distribuzione: 20th Century Fox

Seguito di un film del 2002, "Transporter: Estreme" porta la sceneggiatura di Luc Besson e Robert Mark Kamen, che già avevano lavorato insieme alla prima pellicola. La regia è invece affidata a Louis Leterrier, recentemente autore di "Danny the Dog" e che del primo "Transporter" era il direttore artistico. "Squadra che vince non si cambia" e dunque ecco tornare anche l'attore Jason Stathamm nei panni dell'autista Frank Martin, ex agente di non meglio identificate forze speciali ora ritiratosi a autista mercenario full-time.

A metà strada tra la saga di "Mission: Impossibile" e "Man on fire", "Transporter: Estreme" vede il nostro autista provvedere alla sicurezza di un bambino, Jack Billings, figlio di un ricco imprenditore. Sulle tracce del piccolo c'è infatti una temibile organizzazione criminale atta a (nell'ordine): rapire il piccolo; iniettargli un potentissimo veleno; chiedere il riscatto; restituire il bambino alla famiglia... a quel punto il veleno (che "ovviamente" si trasmette per via aerea) infetterebbe anche il padre che, in vista di una conferenza con altri potenti industriali, contagerebbe tutti i presenti al gran galà... E dunque, concludendo: una volta che sono stati infettati tutti gli illustri personaggi presenti al congresso, Gianni - il capo dell'organizzazione criminale - potrebbe avere finalmente "via libera" nel diventare il più grande trafficante di droga di Miami…
mmm... un piano a dir poco ardito…

Posto che il fantomatico piano criminale fa acqua da tutte le parti, e detto in nuce che i buchi nella trama sono a dir poco imbarazzanti, il film, a dispetto di quanto si possa immaginare, è un vero spasso.

Quando uscì il primo "Transporter", passò un po' defilato nei cinema, e fu accolto tiepidamente dalla critica. Ciò malgrado il film divenne presto un grande successo nel mercato dell'homevideo.
Questo seguito è decisamente più incisivo e appare del tutto collaudato.
La regia di Louis Leterrier è pura adrenalina cinematografica: prendendo in prestito idee visive dai vari "Bad Boys" o dai già citati "M:I 2" e "Man on fire", Leterrier costruisce sequenze che hanno a dir poco dell'incredibile.
Macchine volanti, inseguimenti mozzafiato, combattimenti repentini e originali: tutto girato con una lucidità registica invidiabile. Ad una regia eccitante uniamo una sceneggiatura che, una volta tanto, non si prende sul serio e riesce a regalare più di un sorriso.
La trama avvincente è accompagnata da una recitazione all'altezza: Jason Stathamm è meglio di molti Bruce Willis, e il suo personaggio è un misto di forzature "coatte" e eleganza spicciola. Un mito.
Il suo nemico è un divertito Alessandro Gassman: improbabile quanto riuscito "killer- magnaccia- mafioso- assassino" di nome Gianni e dalle dubbie calate siciliane. Spassoso.
Il resto è "botte e inseguimenti a tutto spiano". Insomma, un divertente delirio.

"Transporter: Estreme" va visto per quello che è: un film d'azione riuscito, coinvolgente e adrenalinico, senza altre pretese.
E poi ha un pregio sopra a tutto il resto: far rimanere incantati di fronte all'Impossibile del Cinema.

Diego Altobelli (07/2005)
estratto da http://filmup.leonardo.it/thetransporter2.htm

Ti va di ballare? - Take the lead

Anno: 2006
Regia: Liz Friedlander
Distribuzione: Eagle Picture

La danza vista come strumento educativo per recuperare dalla strada ragazzi difficili e insegnargli ad avere fiducia nel prossimo: il primo film che vede la debuttante regia della "newyorkese" Liz Friedlander è un divertente e appassionante viaggio nel mondo scolastico giovanile americano, dove la danza diventa uno strumento di recupero e di liberazione da situazioni piuttosto difficili come droga e prostituzione.

Girato con toni a metà strada tra la commedia e il serial televisivo in stile "Dawson Creek", "Ti va di ballare?" narra le gesta di Pierre Dulaine educatore di ballo da sala che decide, in maniera a dire il vero piuttosto fortuita, di insegnare ad alcuni giovani studenti con problemi di integrazione proprio la disciplina di cui lui è maestro. In questo modo Dulaine intende aiutare i ragazzi a uscire dai propri problemi a passo di Rumba, Tango, e Valzer...

La trama riprende, in maniera piuttosto "romanzata" e "favolistica", la vera storia della vita di Pierre Dulaine, i cui corsi di danza sono attualmente seguiti da più di 1200 scuole in America e coinvolgono centinaia di insegnanti e studenti: un uomo che ha saputo trasmettere la propria passione al Mondo e che ha saputo con essa recuperare tanti ragazzi dalla strada.
La regia di Liz Friedlander va a tempo con la musica di sottofondo in un curioso mix tra musica da sala e musica da strada: si assiste quindi a una sorta di lungo videoclip sicuramente dinamico, ma che purtroppo poco ha a che fare con una vera e propria regia cinematografica. A questo aspetto poco convincente si aggiunge una sceneggiatura non esattamente all'altezza delle aspettative, caratterizzata da una gara di frasi a effetto e dialoghi che sembrano incompiuti: la sensazione per quanto riguarda la trama è che molte delle situazioni che emergono dalla storia, non trovano giusta conclusione alla fine del film. Malgrado questi aspetti discutibili "Ti va di ballare?" si lascia comunque vedere nelle sue due ore di girato, e finisce per appassionare e divertire anche lo spettatore più scettico. Godibile.

Per il ruolo di Pierre Dulaine Antonio Banderas è perfetto. Il suo charme e la sua caratterizzazione un po' sorniona di questo insegnante con un passato misterioso alle spalle risulta abbastanza convincente, considerando anche i limiti già menzionati della sceneggiatura e della regia. Al suo fianco un cast di giovani attori e ballerini che curiosamente impersonano un gusto retrò un po' anni Ottanta. Diventeranno famosi.

Insomma "Ti va di ballare?" è un film leggero e disimpegnato che somiglia più a un lungo videoclip che non a un lungometraggio. Però se si sorvola sugli aspetti un po' inverosimili della trama (come ragazzi che imparano a ballare nel giro di poche settimane, partecipano ad una gara regionale e la vincono…), rimane un film che al di là della veridicità della storia intende soprattutto omaggiare la danza: vista non solo come disciplina artistica, ma come identità, come rivalsa, come naturalezza dell'esistere, come seduzione, complicità e armonia col Mondo. In una parola: come Vita. Riuscito.

Diego Altobelli (09/2006)
estratto da http://filmup.leonardo.it/tivadiballare.htm

Tropical Malady

Anno: 2004
Regia: Apichatpong Weerasethakul
Distribuzione: Istituto Luce

In concorso all'International Gay e Lesbian Film Festival di Torino 2004, e in gara per il Premio della Giuria al Festival del Cinema di Cannes 2004, "Tropical Malady" è un film che racconta la storia d'amore, silenziosa e conflittuale, tra due omosessuali.

La pellicola è divisa in due fasi ben distinte e separate tra loro: una prima in cui assistiamo alla storia d'amore ingenua e spensierata tra Keng, un soldato in congedo provvisorio, e Tong, un contadino in cerca di un impiego fisso; ed una seconda fase completamente diversa, narrativamente e visivamente, in cui Keng si ritrova a dare la caccia ad una bestia feroce nascosta, da qualche parte, nella giungla.

E se la prima parte del film colpisce per la delicatezza visiva con cui viene descritto l'amore tra i due giovani, la seconda affascina e intriga grazie all'atmosfera misteriosa e alienante che trasmette. Nell'oscurità della giungla, infatti, il giovane soldato Keng si ritrova a cacciare una tigre (controparte misteriosa e feroce del suo animo) e a dare la caccia a fantasmi in cui ricercare un nuovo livello di consapevolezza emotiva. Seondo la volontà del regista Weerasethakul è nella giungla che Keng vive intimamente (esemplificata attraverso la visionaria caccia all'uomo da cui non può che uscire sconfitto) il suo rapporto con Tong e, quindi, con la sua sessualità.

Già premiato nel 2002 con "Blissfully Yours", "Tropical Malady" è il secondo film del regista tailandese Apichatpong Weerasethakul, pieno di allegorie e di figure metaforiche che si prestano a svariate interpretazioni personali. Tra le altre, analizzando il sottotesto, si percepisce anche un senso di strana inquietudine nella descrizione della Tailandia, Paese a cui sembra mancare una vera identità culturale: basta osservare la scena in cui i due giovani pregano una statua giocattolo, per avere un'idea di ciò.

"Tropical Mallady" è un film non semplice in cui facilmente si perde il senso di orientamento, domandandosi cosa stia effettivamente accadendo sullo schermo.
Malgrado ciò, riesce a colpire lo spettatore... anche per la personalissima interpretazione che dà del Cinema: luogo ameno e oscuro in cui ritrovare il selvaggio animo umano. Da recuperare.

Diego Altobelli (12/2004)
estratto da http://filmup.leonardo.it/sudpralad.htm

martedì 29 gennaio 2008

Godzilla - Gojira

Anno: 1954
Regia: Ishiro Honda

Dal punto di vista dell'immaginario cinematografico Godzilla è sicuramente uno dei mostri più conosciuti. Secondo solamente a King Kong, di cui voleva essere il remake in salsa nipponica.

La trama: il lancio di una bomba H, a seguito di un esperimento nucleare, risveglia Godzilla (in originale Gojira), l'ultima creatura preistorica sopravvissuta nelle profondità marine. Il paleologo Kyohei Yamane e sua figlia Emiko svolgono indagini per scoprire le origini del mostro, ma ben presto questo distrugge e incendia gran parte del Giappone. Sarà invece uno scienziato, Serizawa, a trovare il modo per fermare l'avanzata distruttiva della bestia.

Straordinaria pellicola, che riesce a essere sconclusionata e ingenua, quanto appagante e di grande impatto visivo. Certo oggi risulta a dir poco ridicola, ma all'epoca, complici anche gli effetti speciali all'avanguradia ad opera di Eiji Tsuburaya, fu un campione di incassi.
Trasmesso in tutte le parti del Mondo (dall'India fino all'Alaska) si arrivò persino a parlare di "febbre di Godzilla" e la conseguenza fu una lunga serie di seguiti e rifacimenti. Talmente numeriosi che il film, diretto spartatamente da Ishiro Honda, diede vita a quel genere successivamente denominato Kaiju Eiga (cinema dei mostri).

Il sottotesto antiamericano (nella storia, i test nucleari che risvegliano il mostro sono effettuati dall'esercito yankee...) fece sì che in occidente la pellicola fu rimontata e ridoppiata "a dovere", con l'aggiunta persino di un nuovo personaggio - un giornalista - allo scopo di far prendere alla trama una prospettiva diversa: non "anti-nucleare". L'unico vero risultato che ottenne tale operazione fu la difficile reperibilità delle due pellicole e, naturalmente, una maggiore eco commerciale.

Curiosità:
- Il progetto originale prevedeva che Godzilla avesse le sembianze di una grande piovra;
- Uno dei nemici più famosi di Godzilla (soprattutto dal punto di vista del merchandising) è Gamera, una enorme testuggine radioattiva...

Diego Altobelli (01/2008)

Perfect stranger

Anno: 2007
Regia: James Foley

Rowena Price, una giornalista di talento, scopre che una sua amica è stata assassinata. La donna comincia a indagare con l'aiuto del giovane Miles, esperto di computer e innamorato di lei. Le ricerche li condurranno in un azienda di pubblicità, sulle tracce di un importante dirigente senza scrupoli...

James Foley dirige questo trittico di attori ben nutrito in un thriller, a dire il vero, un po' annacquato.
La protagonista Halle Berry, sempre magnetica, non riesce a concretizzarsi nel personaggio di una giornalista in gamba e carismatica e finisce, tra un martini e un invito galante, a "chattare sporco" con un presunto assassino.
Bruce Willis, dal canto suo, si ritrova dirigente "non inquadrato", nemmeno nel ruolo che ha nella trama: apparentemente spietato e poligamo, si ritrova penosamente al guinzaglio di una moglie aguzzina.
Il terzo incomodo Giovanni Ribisi è bravo, forse addirittura più dei due protagonisti, ma smarrisce la strada anche lui, in un personaggio un po' guardone e un po' bonaccione. Sceneggiatura fragile, insomma, e dialoghi contradditori per i poveri personaggi che si ritrovano a dire cose che dovrebbe dire altri… Confuso.

Il guaio di "Perfect stranger" risiede nell'incapacità di assumere un'identità precisa, seguire un tema che lo contraddistingua o che quantomeno lo inserisca in un filone preciso. Thriller morboso? Indagine giornalistica o indagine personale? Film sulle chat, pellicola sensuale o thriller “hitchcockiano”? Un po' di tutto e molto di niente...
Un film che è un “perfetto sconosciuto”, insomma, e che purtroppo rimarrà tale anche alla fine della proiezione. Sia per il regista, che per il pubblico.

Diego Altobelli (01/2008)

lunedì 28 gennaio 2008

Non è mai troppo tardi

Anno: 2008
Regia: Rob Reiner
Distribuzione: Warner Bros. Italia

Due signori scoprono di essere entrambi malati terminali di cancro. Ma per sfruttare al meglio l'ultimo anno di vita che gli rimane, decidono di partire per un viaggio intorno al mondo stilando una lista di cose da fare prima del trapasso...

Strana coppia questa proposta dal poliedrico regista di "Harry ti presento Sally" e "Misery non deve morire" Rob Reiner. Jack Nicholson e Morgan Freeman sembrano giocare in casa, gigioneggiando in una pellicola che vorrebbe mirare al cuore, ma che non riesce neppure a colpirlo di striscio. Il motivo principale della debole resa della messa in scena risiede soprattutto in un soggetto e una sceneggiatura fin troppo leggeri per coinvolgere lo spettatore.
Jack Nicholson, ricchissimo e cinico come un personaggio di Dickens, scimmiotta lo stesso personaggio visto in "Qualcosa è cambiato", ma con più soldi e meno paranoie. Morgan Freeman, d'altro canto, riprende lo stesso personaggio di "Million dollar baby" (con tanto di lettera finale) con l'unica differenza che questa volta non gestisce una palestra per pugili, ma un’officina. Insomma fatica zero per i due veterani di Hollywood che senza infamia e senza lode portano a casa un risultato che non soddisfa.

Con uno script prevedibile e ripetitivo, supportato da una recitazione già vista e per nulla memorabile "Non è mai troppo tardi" delude le aspettative. Da due grandi interpreti e da un regista di talento come Rob Reiner, era legittimo aspettarsi qualcosa di più della mera sufficienza.

Diego Altobelli (01/2008)

domenica 27 gennaio 2008

Into the wild

Anno: 2007
Regia: Sean Penn
Distribuzione: Bim

Con “Into the wild”, ispirandosi al libro “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer, Sean Penn dirige un film lirico e introspettivo, che vuole essere al tempo stesso metafora della ricerca di sé, e ricordo di un’America che non c’è più.

Nel 1992, all’età di 23 anni, Christopher McCandless decide di lasciare famiglia, amici e fidanzata, donare ad una associazione benefica i suoi risparmi (24 mila dollari), e partire per l’Alaska con lo pseudonimo di Alex Supertramp. Si addentrerà nelle terre selvagge alla ricerca della felicità e di una identità più “alta”...

Come un respiro profondo la pellicola di Sean Penn si dipana in un cammino che lascia senza fiato lo spettatore. Il viaggio di Alex Supertramp, infatti, assume poliedriche sfaccettature significanti. Un percorso, il suo, alla ricerca di una pace interiore e di un posto dove trovare l’equilibrio con se stessi e il resto del Mondo, lasciandosi al contempo tutto alle spalle: vuoti affettivi, una famiglia che non comprende, amori, amicizie e, infine, beni materiali. In una sorta di nuovo ascetismo che è al tempo stesso mistico e agnostico, Alex Supertramp vaga tra le città, le campagne, le montagne di una America che sembra dimenticata o relegata a una visione periferica; incontrando di volta in volta vari personaggi “invisibili” (che divengono la proiezione stessa dell’essere spettatore) come nuovi hippy, vecchi solitari, ragazzi scapestrati, e lasciando in ognuno di loro qualcosa di immenso e inafferrabile.
Il film di Sean Penn descrive quindi il mistero e l’incertezza, e la volontà fortissima di affrontare le due cose.

Alex Supertramp/ alias Christopher McCandless, che poi divenne una icona della subcultura new-age, viene descritto in tutti i suoi aspetti e le sue sfaccettature. Facile ridere con lui, ed allo stesso tempo è facile provarne pena per la sua solitudine e per la sua fuga. Ed è semplicemente grande, nel trasmettere queste sensazioni, la recitazione e il trasformismo dell'attore principale Emile Hirsch.

“Into the wild” è un film da vedere, ascoltare, e comprendere come se si trattasse di un insegnamento di vita. La metafora politica è in agguato, ma viene meno di fronte a tanta bellezza.

Diego Altobelli (01/2008)