Anno: 2009
Regia: Oliver Parker
Distribuzione: Eagle Pictures
Il regista Oliver Parker traduce in Cinema il romanzo estetico che introdusse il culto per il Bello come oggi lo conosciamo. Il suo Dorian Gray appare però troppo pulito e di "buone maniere".
La trama è universalmente nota. Dorian è un ragazzetto dall'animo puro che viene iniziato alla vita dagli aforismi di Lord Wottom. Quest’ultimo per il giovane orfano diventa un mentore e un punto di riferimento. Poi, durante una delle lunghe conversazioni che tengono i due, Dorian esplicita il desiderio di rimanere bello in eterno. La sua anima viene così impressa nel suo ritratto, e mentre l’immagine nel quadro avvizzisce per i peccati commessi da Dorian, lui rimane bello e giovane…
Perché si diceva di “buone maniere”... Perché manca la ruvidità. Manca la sporcizia. Manca la perdizione. Dorian Gray di Oliver Parker è come una scampagnata a catturare insetti: usi il retino e non ti sporchi le mani. E questo malgrado il regista tenti in più occasioni di mostrare il lato oscuro del protagonista. Dorian uccide (il film inizia proprio con lui che fa a pezzi una persona…); ha rapporti sessuali con donne di malaffare e ambigui uomini; passa dal libertinaggio più sfrenato alla totale mancanza di morale, come da un bordello a un altro. Eppure il risultato è tutto fuorché traumatico o impressionante. Scelta voluta? Può darsi. Viene invece da pensare che ormai il pubblico è abituato a tutto e certamente non rimarrà colpito dalla presunta immoralità incarnata dal visino candido dell’attore protagonista Ben Barnes: bello come un soprammobile. Ci voleva qualcosa di più forte. Una regia più cattiva e, in qualche modo, pulp.
Invece abbiamo Ben Barnes che già avevamo visto nel secondo capitolo di Narnia nei panni del principe (“principino” rende meglio l’idea), e anche lì non è che ci avesse convinto poi molto… Meglio allora l’altro protagonista, Colin Firth, che malgrado la barba “fintissima”, riesce quantomeno a incarnare l’atteggiamento snob upperclass.
Dorian Gray, insomma, delude le aspettative perché la dignitosa regia di Parker (Un marito ideale; L’importanza di chiamarsi Ernest) pecca di coraggio. Forse anche di eccessiva reverenza. Francesco Alò nella sua recensione ne Il Messaggero suggeriva di recuperare American Psyco e ha proprio ragione: è lui oggi il nostro Dorian Gray.
Diego Altobelli (11/2009)
Regia: Oliver Parker
Distribuzione: Eagle Pictures
Il regista Oliver Parker traduce in Cinema il romanzo estetico che introdusse il culto per il Bello come oggi lo conosciamo. Il suo Dorian Gray appare però troppo pulito e di "buone maniere".
La trama è universalmente nota. Dorian è un ragazzetto dall'animo puro che viene iniziato alla vita dagli aforismi di Lord Wottom. Quest’ultimo per il giovane orfano diventa un mentore e un punto di riferimento. Poi, durante una delle lunghe conversazioni che tengono i due, Dorian esplicita il desiderio di rimanere bello in eterno. La sua anima viene così impressa nel suo ritratto, e mentre l’immagine nel quadro avvizzisce per i peccati commessi da Dorian, lui rimane bello e giovane…
Perché si diceva di “buone maniere”... Perché manca la ruvidità. Manca la sporcizia. Manca la perdizione. Dorian Gray di Oliver Parker è come una scampagnata a catturare insetti: usi il retino e non ti sporchi le mani. E questo malgrado il regista tenti in più occasioni di mostrare il lato oscuro del protagonista. Dorian uccide (il film inizia proprio con lui che fa a pezzi una persona…); ha rapporti sessuali con donne di malaffare e ambigui uomini; passa dal libertinaggio più sfrenato alla totale mancanza di morale, come da un bordello a un altro. Eppure il risultato è tutto fuorché traumatico o impressionante. Scelta voluta? Può darsi. Viene invece da pensare che ormai il pubblico è abituato a tutto e certamente non rimarrà colpito dalla presunta immoralità incarnata dal visino candido dell’attore protagonista Ben Barnes: bello come un soprammobile. Ci voleva qualcosa di più forte. Una regia più cattiva e, in qualche modo, pulp.
Invece abbiamo Ben Barnes che già avevamo visto nel secondo capitolo di Narnia nei panni del principe (“principino” rende meglio l’idea), e anche lì non è che ci avesse convinto poi molto… Meglio allora l’altro protagonista, Colin Firth, che malgrado la barba “fintissima”, riesce quantomeno a incarnare l’atteggiamento snob upperclass.
Dorian Gray, insomma, delude le aspettative perché la dignitosa regia di Parker (Un marito ideale; L’importanza di chiamarsi Ernest) pecca di coraggio. Forse anche di eccessiva reverenza. Francesco Alò nella sua recensione ne Il Messaggero suggeriva di recuperare American Psyco e ha proprio ragione: è lui oggi il nostro Dorian Gray.
Diego Altobelli (11/2009)
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