venerdì 20 giugno 2008

Gardener of Eden – Il giustiziere senza legge

Anno: 2008
Regia: Kevin Connolly
Distribuzione: Medusa

Adam Harris è un ragazzo di 25 anni che è tornato a vivere nel New Jersey a casa dei genitori, dopo che è stato cacciato dall’università per essere stato beccato a flirtare con una prostituta.
Apatico, stanco, annoiato, dopo l’ennesima delusione da amici e ragazze, Adam decide una sera di ubriacarsi e fare a botte con il primo che passa per la strada. Il caso vuole che incroci e malmeni proprio un ricercato dalla polizia per stupro. Adam diventa quindi un eroe agli occhi della comunità, ma allo stesso tempo finisce schiavo dell’idea di aver trovato un ruolo come vigilantes.

A metà strada tra film di denuncia, pellicola grottesca, e fumetto dark, il nuovo film dell’esordiente Kevin Connolly cavalca l’attuale moda per i supereroi e ispirandosi (piuttosto superficialmente) agli eroi Marvel confeziona una pellicola incerta e zoppicante.
Di natura ambigua infatti le motivazioni concettuali che spingono Adam a divenire un vigilantes, là dove i fumetti insegnano che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, qui assistiamo al trionfo dell’apatia e dell’inconsistenza motivazionale.
Adam è certamente un anti-eroe, nerd, annoiato e cinico, ma queste caratteristiche non lo trasformano in un eroe positivo, piuttosto in un eroe molto, ma molto negativo e molto più pericoloso di certi super-criminali visti nei fumetti. Le sue azioni e le sue idee nascono e scaturiscono dal mero capriccio, dalla noia e dall’incapacità (tutta umana) di non trovarsi un ruolo adatto a lui. Di super-umano non c’è nulla, nemmeno le buone intenzioni (utopiche) di voler ripulire le strade dalla violenza e dalla “sporcizia”.
La frase del film che diventa il suo tormentone: “Perché le cose brutte capitano sempre alle persone buone”, perde di credibilità se viene pronunciata da un personaggio che raccoglie pezzi di cervello per strada (!); va a prostitute (dichiarando ironicamente che ognuno ha le sue fisse); picchiando arbitrariamente persone sconosciute; e ricorrendo all’omicidio per puro autocompiacimento e voglia di sentirsi più forte e migliore di altri.
Il fare del bene descritto nel film è quindi una facciata, un mero tentativo (molto pericoloso) di legittimare la violenza. E aggravato dall’incapacità, tutta della regia, di prendere una posizione in tal senso. Spiegare dove si trovi il bene e dove il male, a differenza di altre pellicole come “Il buio nell’anima” di Neil Jordan dove il tutto era rappresentato con piglio più adulto e maturo.

Sfortunatamente in questa confusione di intenti e motivazioni, alcune volute altre apparentemente casuali, la regia risulta noiosa e inconcludente come il protagonista che descrive. Debole sceneggiatura, per le motivazioni già spiegate, che grava su una recitazione troppo debole e pretestuosamente antipatica. Tutti personaggi apatici con l’unica eccezione di Giovanni Ribisi, che non solo interpreta bene il ruolo di spacciatore convinto, ma risolleva il morale a un film che dell’insegnamento dei veri supereroi non ha appreso nulla. Scempio.

Diego Altobelli (06/2008)

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