lunedì 11 aprile 2011

127 Ore

Anno: 2011
Regia: Danny Boyle
Distribuzione: 20th Century Fox

Danny Boyle è regista che ha sempre cercato di mediare tra il ritmo e la narrazione. Nel suo cinema gli esiti non sempre sono stati felici (come il macchinoso “The Beach”), ma altre volte hanno lasciato il segno (“The Millionaire” su tutti, ma anche “28 giorni dopo”). La sua regia quindi si potrebbe definire in qualche modo “estrema”, sempre pronta a rischiare tutto (credibilità, senso del racconto, persino recitazione) a favore dell’impresa. Quella scena, quel giro di vite che lascia (o vorrebbe lasciare) senza fiato.

Aron Ralston è un giovane di 26 anni che ama la vita e le sfide. Anche per questo, si ritrova da solo a percorrere in bicicletta lunghi tratti del Blue John Canyon, o persino a scalare pareti di roccia senza adeguata attrezzatura. Un giorno, dopo un incontro fortuito con due belle studentesse, si ritrova di nuovo solo alle prese con un crepaccio. Un piede in fallo, una mano appoggiata alla roccia sbagliata e la tragedia si compie. Aron si ritrova con il braccio destro incastrato sotto una roccia inamovibile. Ma la speranza, come si dice, è davvero l’ultima a morire…

Il parallelismo è abbastanza logico, e ovvio. Lo sport estremo del protagonista Aron diventa il cinema per Danny Boyle. Forse il regista non si appenderà con una mano a una parete di roccia, ma sicuramente prende l’arte del fare cinema con lo stesso spirito con cui il giovane Aron vive la vita. Energia, ritmo, un po’ di confusione, una vaga ironia e la voglia di spiccare l’ennesimo salto nel vuoto. In questo caso l’esito è decisamente apprezzabile pur non lasciando il segno. Si assiste cioè a una doppia prova: da una parte quella del regista Boyle alle prese con un film senza una vera evoluzione drammatica; dall’altra la prova d’attore di James Franco. Ed è proprio quest’ultimo che alla fine ci comunica qualcosa di più. Franco sembra avere l’opportunità di dimostrare di saperci fare e la utilizza al meglio. Danny Boyle gli va dietro, lo segue, lo tiene e alle volte lo lascia da parte per tentare evoluzioni registiche che somigliano a intuizioni lampo. Purtroppo però, per fare una battuta, alla fine più che il segno ci lascia il braccio.

Diego Altobelli (02/2011)

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