martedì 31 maggio 2011

La polvere del tempo

Anno: 2011
Regia: Theo Angelopoulos
Distribuzione: Classic

Il maestro Theo Angelopoulos torna alla regia con un film manifesto del suo amore per la Settima Arte. Autore sofisticato, regista intrigante, attento analista dello sguardo. Suoi capolavori indiscussi del calibro de “Lo sguardo di Ulisse” (Miglior Film Straniero all’Argentinean Film Critics Association Award 1999); “L’eternità e un giorno” (Palma d’Oro al Festival di Cannes 1998); “Alessandro il Grande” (Leone d’Oro a Venezia nel 1980).

Il regista A. sta finendo di lavorare al film della sua vita. E’ la storia d’amore tra una donna, Eleni, e due uomini. Ben presto, appare evidente che la vita di A. altro non è che un proseguimento ideale del suo film, e che i protagonisti della pellicola sono in realtà i suoi genitori. A. ricorda allora persone e avvenimenti del passato, in un vortice spazio temporale che attraversa tutta la Storia recente: dalla morte di Stalin, al Watergate, fino alla caduta del muro di Berlino...

Sono sempre problematici i film di Angelopoulos. Sia per il pubblico che per la critica. Troppo cerebrali, ambiziosi, vagamente criptici. Nel caso di “La polvere del tempo” poi, non serve il nutrito cast di stelle a rendere la pellicola meno enigmatica. Willem Dafoe, Bruno Ganz, Michel Piccoli alternano momenti emozionanti ad altri meno incisivi, in un’altalena sentimentale che disorienta. La sceneggiatura, che vanta il nome del nostro Tonino Guerra tra i suoi realizzatori, inoltre non appare uniforme, col risultato di rendere ancora più difficile la “lettura” del film. Piuttosto frammentata, la trama è più che altro un fluire caotico di situazioni non sempre di chiara collocazione spazio temporale, e questo malgrado siano molteplici i riferimenti storici nel film.

Chi conosce il Cinema del maestro Angelopoulos sa bene che molte delle cose fin qui dette sono in realtà un marchio di fabbrica del suo modo di fare Cinema. Lunghi tempi di attesa, dialoghi sfuggenti, scene sporche. Angelopoulos o lo ami, o lo odi. O ti incanta, o ti sfianca. Ma quale che sia il vostro parere, pare evidente una volta di più che se certi registi non si prendessero tanto sul serio, magari ne guadagnerebbero in comprensibilità. E chissà, magari non li chiameremmo neppure “maestri”.

Diego Altobelli (05/2011)

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