martedì 27 ottobre 2009

Fame - Saranno famosi

Anno: 2009
Regia: Kevin Tancharoen
Distribuzione: Lucky Red

Alla High School of Music & Art di New York è iniziato un nuovo anno. Le matricole si accalcano all’entrata per essere ammesse dopo estenuanti provini. A quelle che ce la fanno aspettano quattro anni di sudore, esercizi, studio e fatica. Ma il traguardo porta il nome di fama. Non tutti, naturalmente, la raggiungeranno…

Per la cronaca. Dalla vera High School of Music & Art di New York (fondata nel 1936 dall’allora sindaco di New York Fiorello H. La Guardia) sono usciti personaggi come Ellen Barkin, Al Pacino, Jennifer Aniston e Liza Minnelli. Sempre per la cronaca. Dal film culto di Alan Parker che ha ispirato la serie TV (e ora questo film omonimo) sono passati solo 29 anni e, considerando che rivedendolo oggi farebbe ancora la parte del re nel panorama di titoli dello stesso genere (Save the last dance; Step Up; Shall we Dance; High School Music; tanto per citarne alcuni), non si capisce il motivo di tirare fuori questo remake. Davvero. È imbarazzante e, in un certo senso, anche pericoloso!

Lasciatecelo dire una volta di più. Con tutti questi remake e rivisitazioni, reboot e “riget” (quest’ultimo l’ho inventato io) ci si chiede cosa rimarrà alle generazioni future dei film originali. Quelli che avevano un’anima (che in Cinema prende il nome curioso di “regia”), che avevano una sceneggiatura (detta anche “ossatura”), e una recitazione convincente (il suo cuore). Nel caso di Fame, poi, non rimarrà davvero niente del personaggio di Leroy e nulla della grande Coco, ad esempio. Ed è un peccato. Perché la serie è ancora oggi godibile e di tutto rispetto. L’istinto quindi sarebbe quello di dire: “Evitate questo remake imbarazzante sotto ogni punto di vista e se proprio dovete, recuperatevi la serie e il film originali”. Stop.
Ma siamo persone per bene, e il bon ton ci impone una critica che tenti di essere il più possibile argomentata. Rimbocchiamoci le maniche e partiamo.

Il regista Kevin Tancharoen sbaglia tutto. Dalla regia, che sceglie di utilizzare la telecamera a mano, salvo poi cambiare idea strada facendo e adeguarsi a uno stile più televisivo; fino alle scene di ballo, punto di forza del film, le quali rimangono strutturate male e fortemente confuse. Oltretutto, la coreografia e il lavoro fatto sui costumi non alleggerisce la visione, rendendo lo spettacolo molto… ruvido. Passiamo alla sceneggiatura, allora, che tenta varie strade senza criterio, presentandoci i quattro anni di scuola dei protagonisti senza dare al trascorrere del tempo la giusta consecutio narrativa. In pratica, se volessimo vedere prima il terzo anno, poi la parte relativa al primo, poi il quarto e infine il secondo, nell’economia della comprensione del testo, non cambierebbe nulla. Incredibile, ma vero. I personaggi non crescono né regrediscono. La scuola è un limbo in cui i caratteri non vengono espressi. Pazzesco, considerando di cosa parla il film!Nella recitazione, infine, prendono tutti “4”. Sia studenti che professori. I primi perché nessuno trova una propria identità artistica, risultando tutt’al più la macchietta di personaggi presi da altre pellicole. I secondi perché risultano tedianti e fortemente improbabili. Con l’unica eccezione della grande Megan Mullaly, la Karen Walker della serie Will & Grace, che riesce a raggiungere (quantomeno) la sufficienza. Uno spettacolo generale abbastanza penoso, comunque.

Ma ci preme di dire che a monte di tutte queste considerazioni accademiche quello che davvero sfugge al film di Tancharoen è il senso. Una morale. Un motivo che lo giustifichi sia dal punto di vista tecnico, sia (soprattutto) dal punto di vista del messaggio che manda. Molte le scelte “ambigue” operate in fase di scrittura. Professori che aprioristicamente dicono ai ragazzi che non diverranno nessuno rivelando episodi drammatici della loro vita che li ha portati a essere dei “meri” insegnanti. Oppure attori che ce l’hanno fatta, ma che sfruttano il proprio successo per portarsi a letto le aspiranti attrici. O ancora, genitori che per nulla credono nel sogno dei propri figli. E c’è persino un tentato suicidio. A ben vedere, in Fame di Kevin Tancharoen non ce la fa proprio nessuno. Né i professori, segregati, come in una vecchia battuta di Woody Allen, in un ruolo che non avrebbero voluto rivestire. Né gli studenti, che vedranno tutti i loro sogni infranti. E a pensarci vengono i brividi. Insomma, è un messaggio davvero terribile da mandare!

Per la cronaca. Nella vita qualcuno ce la fa a "sfondare". Sempre per la cronaca. Potreste essere proprio voi. E, ci crediate o no, il vero talento non sta nel modo in cui vi esprimete, ma in quello che volete dire. Lascio a chi legge ogni altra considerazione in merito.

Diego Altobelli (09/2009)
estratto da http://www.moviesushi.it/html/recensione-Fame___Saranno_famosi_Ventinove_anni_di_studio_e_non_sono_serviti-3302.html

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